Quando parliamo di femminicidio e più in generale di violenza di genere facciamo riferimento ad un fenomeno di violenza esercitata sistematicamente sulle donne (bambine o adulte) per mano di uomini, in nome di una sovrastruttura ideologica di matrice patriarcale. L'intento è di annientarne l’identità delle vittime in questione, generando una condizione di subordinazione attraverso l’assoggettamento fisico o psicologico, fino alla schiavitù o alla morte.
Prima di addentrarci nel vivo della questione partiamo dalla tragica constatazione che suddetto fenomeno ad oggi continua ad annoverare un'incidenza pari ad una vittima ogni quattro giorni, per mano di un uomo, marito o ex partner delle donne coinvolte. Nella quasi totalità dei casi le violenze non vengono denunciate, continuando così a rimanere un fenomeno sommerso.
Quanti tipi di violenza esistono?
Esistono diverse forme di violenza:
-fisica, volta a far male o spaventare;
-psicologica, fatta di insulti, ricatti, umiliazioni, volta a ledere l’identità della persona;
-sessuale, con l’imposizione di pratiche e/o rapporti indesiderati, tramite la forza o ricatti psicologici;
-economica, che impedisce, ostacola o concorre a far sì che la donna sia costretta in una condizione di dipendenza quando non ha mezzi economici per sé e per i propri figli.
Le vittime, se esposte per lunghi periodi ad abusi e violenze, possono sviluppare un’alterata percezione di sé, delle proprie risorse personali e sperimentare un senso di fallimento rispetto alla possibilità di rendersi autonome sia economicamente che psicologicamente dal proprio partner, destinate inesorabilmente a ledere in maniera consistente all'integrità della propria identità.
A spiegare meglio questo complesso fenomeno concorrono diversi fattori di vulnerabilità quali : esperienze pregresse di abuso, modelli socio-educativi mirati alla sottomissione, aver subito umiliazioni, scarsa indipendenza economica, scarsa autostima, vissuti di vergogna e isolamento sociale, tipici tanto della vittima quanto del carnefice. Oltre a ciò è fondamentale tenere in considerazioe le possibili combinazioni personologiche dei due partner.
I fattori di rischio nelle dinamiche di violenza
Il ciclo della violenza è stato definito dalla psicologa americana Lenore Walker come “ il progressivo e rovinoso vortice in cui la donna viene inghiottita dalla violenza continuativa, sistematica, e quindi ciclica, da parte del partner ”. La teoria del ciclo della violenza (“cycle theory of violence”) parte dal presupposto dell’esistenza di più fasi che si ripetono “ciclicamente” nel corso di una relazione maltrattante. Walker ha individuato essenzialmente tre fasi nel ciclo della violenza:
- Fase di origine della tensione (tension building)
- Fase attiva degli episodi di violenza (active batteria incidents)
- Fase della contrizione amorosa (loving contrition)
Vi è sempre un inizio che, solitamente dalle donne è descritto come “normale”, la violenza si manifesta per gradi, in maniera subdola. L'intento iniziale è di colpire direttamente l’autostima della vittima (che viene ignorata, svilita, ridicolizzata pubblicamente dal partner ecc.). La donna, in questa fase, inizia ad avvertire la crescente tensione e cerca di prevenire l’escalation della violenza mostrandosi accondiscendente rinforzando in questo modo, però, nell’uomo la convinzione di avere il diritto di agire in modo violento. Questi comportamenti , inizialmente sporadici, si fanno sempre più frequenti fino ad un escalation di violenza.
Si arriva, poi, alla fase di "esplosione o aggressione" in cui l’uomo dà l’impressione di perdere il controllo di se stesso e passa ad agire la violenza fisica. Ai “semplici” spintoni e schiaffi si aggiungono pugni, calci, percosse con oggetti, fino all’estremo uxoricidio. Spesso alla violenza fisica si associa la violenza sessuale, utilizzata dall’uomo per sottolineare il proprio potere e predominio sulla partner. La donna tende a non reagire poiché si rende conto che, se resistesse, le cose potrebbero peggiorare.
La terza ed ultima fase del ciclo della Walter, è la cosiddetta fase di “contrizione amorosa”, nota anche in letteratura come “Fase della Luna di Miele”. L’uomo si mostra dispiaciuto e pieno di attenzioni, si scusa con la sua vittima e promette che non si comporterà mai più in quel modo. Questi comportamenti tuttavia rappresentano un'ulteriore manovra manipolatoria: infatti la donna spesso crede nel pentimento del partner e lo perdona. È in questa che molte donne nella speranza che il partner cambi davvero, possono giungere a ritirare la richiesta di separazione o a revocare la testimonianza resa per es. nell’ambito di un procedimento penale. Le speranze però, puntualmente disilluse determinano l'inizio del nuovo ciclo della violenza.
Identikit psicologico delle vittime di femminicidio
Tracciando un possibile identikit psicologico delle vittime di femminicidio, si è osservato (Baldry, 2006) come la determinazione familiare e culturale della violenza possa innescare quel meccanismo di “propensione alla vittimizzazione” che le vittime presentano.
Tra le dinamiche individuate nella “passività” delle vittime di fronte ad aggressioni anche ripetute, è stato messo in risalto il concetto di “incapacità appresa” (De Pasquali, 2009). Secondo questa ricostruzione, chi è ripetutamente esposto a una punizione da cui non ha vie di fuga, sviluppa la tendenza a non assumere il controllo del proprio comportamento anche quando tale controllo sarebbe possibile. Tra i motivi per cui queste donne non sanno sottrarsi alla violenza c’è quello del mantenimento della credenza che vi sia mancanza di alternative.
Donald Dutton e Susan Painter (Dutton & Painter, 2009) hanno rivisitato molti studi e ricerche sul motivo per cui le donne rimangano in relazioni violente il cui triste epilogo è spesso il femminicidio e sono giunti alla conclusione che l’elemento forte che spiega il permanere in una situazione di violenza è l’intermittenza dell’abuso. Molte donne hanno infatti descritto con espressioni di soddisfazione e gratificazione i periodi di riconciliazione intercorsi tra i momenti di violenza. Questo modello si mostra in sé perverso, in quanto conduce inevitabilmente a ignorare il problema della violenza e a considerarlo un’eccezione, un momento di aberrazione del rapporto che rimane, nella percezione complessiva della donna, come positivo.
Il Profilo del Femminicida
Relativamente alle strutture di personalità dell'uomo che commette femminicidio molti criminologi (Dutton,1981) hanno sottolineato la presenza di strutture personologiche improntate a fattori quali la prepotenza, la possessività, forse dettata da panico di fronte alla prospettiva dell’abbandono, ma in ogni caso fondata sulla mancata considerazione dell’altro con i suoi diritti e le sue esigenze.
Elbow (Elbow, 1977) descrive l’aggressore secondo quattro tipologie:
- Il controllatore: colui che teme che il proprio dominio e la propria autorità siano messi in discussione e che pretende un controllo totale sugli altri familiari;
- Il difensore: che non concepisce l’altrui autonomia, vissuta perciò come una minaccia di abbandono, e sceglie quindi donne in condizione di dipendenza;
- Colui che è in cerca di approvazione e deve continuamente ricevere dall’esterno una conferma per la propria autostima, mentre qualsiasi critica scatena una reazione aggressiva;
- L’incorporatore: colui che tende ad un rapporto totalizzante e fusionale con la partner, e la cui violenza è proporzionale alla minaccia reale o alla sensazione di perdita dell’oggetto d’amore vissuta come catastrofica perdita di sé.
Questi soggetti devono compensare la propria modesta autostima, ma talora dimostrano veri e propri sintomi.
Si spera che le campagne di sensibilizzazione contro la violenza di genere possano portare alla riduzione e un giorno al termine di questo tragico fenomeno, ribadendo con forza l'importanza di lavorare su un piano preventivo, riconoscendo e cercando di disinnescare le dinamiche violente nelle coppie ai loro esordi .