La coppia e il dialogo
Maurice Blanchot (1969) dice: “Parlare a qualcuno significa… riconoscerlo come uno straniero e accettarlo come tale, senza costringerlo ad abbandonare quello che lo rende diverso.”
Credo che in questa frase sia racchiuso il segreto di una buona relazione di coppia.
Guardare l’altro come “straniero” ridefinisce il confine necessario affinché ci si possa vedere e vedere chi si ha di fronte e al proprio fianco come altro da me.
È una difficile verità: il partner, purché talvolta chiamato con il pronome “mio/a”, in realtà sfugge alla possibilità di possesso. Anzi, per amare davvero l’altro, egli deve sfuggire a tale possesso. Solo il sapere che “l’altro è mio, ma che in fondo non mi appartiene” ci porta a ridefinire il giusto confine identitario e crea le condizioni da cui partire per costruire un buon rapporto di coppia.
Per incontrare in modo profondo l’altro, quindi, non possiamo prescindere da un reale incontro con noi stessi.
Lo sa bene Jake Sully, protagonista nel film “Avatar” (J. Cameron, 2009), il quale incontra se stesso attraverso conoscendo Neytiri e il popolo dei Na’vì. Egli è un ex marine ormai costretto sulla sedia a rotelle in seguito ad una missione. Improvvisamente viene assoldato all’interno del progetto “Pandora”, e a dover guidare l’“avatar” del fratello morto, poiché avente lo stesso DNA. Quest’ultimo era uno scienziato la cui missione era quella di esplorare il pianeta Pandora e il suo popolo.
Jake si trova inaspettatamente coinvolto in qualcosa di sconosciuto e soprattutto ad accordarsi con il comandante dell’esercito, il quale gli offre un paio di gambe nuove al posto della sottomissione degli indigeni Na’vi e la sottrazione del loro un minerale prezioso per la Terra.
Accade però qualcosa di inaspettato: conosce Neytiri, si innamora e l’obiettivo della sua missione cambia, entrando in contatto con se stesso, l’ambiente esterno e l’altro in un modo completamente diverso.
Un viaggio ricco di prove quello di Jake nel mondo di Pandora, un viaggio in cui l’attenzione al corpo e l’incontro con il corpo dell’altro è posta al centro. Il risveglio dei sensi, paradossalmente possibile solo in un corpo non reale e in un mondo parallelo, permette di riscoprire la pienezza della vita.
Se ci pensiamo bene è questo che in fondo accade quando ci si innamora: sensazioni ed emozioni prendono spazio in modo prepotente e contemporaneamente chiedono agli amanti, per incontrarsi nel profondo con l’altro, di volgere uno sguardo duplice verso se stessi e verso gli altri.
Nel film per incontrarsi è importante connettere i propri corpi. La connessione di cui si parla non è solo di carattere intimo e sessuale, ma va ben oltre. Esemplare il momento in cui Neytiri spiega a Jake che per imporre il suo comando/possesso, deve connettere la parte finale della coda dei suoi capelli con la parte finale della criniera del cavallo e successivamente del drago prescelto incrociando lo sguardo.
“Io ti vedo” Neytiri dice a Jake nel momento in cui egli è pienamente in contatto con se stesso, con lei e con il mondo che lo circonda. Non dice “ti amo”, ma “io ti vedo”. Queste parole vanno al di là il sentimento provato, poiché riconoscono la complessità dell’essere dell’altro nella relazione.
Ed in fondo è questo che si augura agli amanti: riuscirsi a “vedere pienamente”.
Ma cosa vuol dire “vedersi pienamente”?
Vi sono diversi elementi che contribuiscono a “vedere pienamente l’altro”e tra questi abbiamo:
1. Ascoltare il proprio corpo in relazione al corpo dell’altro.
È nel corpo che sono inscritte le ferite di ognuno: sta a ogni individuo riconoscerle per poi ossigenarle e portarle verso una possibile cicatrizzazione. La relazione con l’altro può riaprire queste ferite, ma non è compito dell’altro quello di portarle a guarigione, quanto piuttosto quello di accoglierle con sguardo e tatto attento, con la finalità di poter “vedere” e “raggiungere” l’altro laddove esattamente si trova.
Riportare continuamente l’attenzione sul proprio sentire e su quello del proprio partner permette alla relazione di aprirsi e riscoprire un modo di vivere la quotidianità, talvolta impoverita di novità, in un modo completamente nuovo. Potersi guardare, ascoltare, parlare con tono di voce e parole più attente, toccarsi, muoversi, annusarsi, gustarsi con modi più comprensivi della diversità dell'altro e di sensazioni non sempre positive, permette di riscoprire a poco a poco l'energia del rapporto.
2. Confine e accettazione della diversità dell’altro
È un processo in continuo divenire, ma ciò che è importante come presupposto è la capacità di mettersi in discussione nonostante la possibilità di andare a urtare contro antiche ferite. Per tale motivo è fondamentale riconoscerle per poi potersi aprire all’altro, senza la pretesa che l’altro diventi ciò che ci si aspetta, in base ad un vissuto non risolto, carico di emozioni che vengono da lontano. È importante, dunque, imparare a tollerare le delusioni. “Colui o colei che ha provocato la delusione deve essere in grado di andare verso l’altro e chiedergli: Ti ho deluso? In che modo? Parlamene. Quello che ha subito la delusione deve essere in grado di superare la ferita, esprimendo il dolore e la vulnerabilità. Inoltre, deve esserci un’estetica che includa un senso altamente sviluppato dell’altro e della relazione. Per esempio, entrambi devono riconoscere il momento in cui l’intensità è troppo alta e bisogna lasciar sedimentare le cose prima che possa avvenire un contatto significativo. È attraverso questa reciproca esplorazione che le ferite vengono curate, che un significato più ampio emerge e che la relazione si evolve e cresce” (Melnick J. e Nevis S. M., 2007, p. 306).
Solo in seguito sarà possibile aprirsi all’altro e accogliere le sue ferite, i suoi bisogni, il suo modo d’essere: la sua diversità.
Accogliere la diversità dell’altro permette di riattivare un processo di riscoperta, molto simile all’energia e all’attrazione presente nella fase iniziale dell’incontro con l’altro. La differenza è che l’accresciuta familiarità del partner infonde contemporaneamente un profondo senso di sicurezza che ci porta a rilassarci in presenza dell’altro, il quale diventa un porto sicuro a cui far ritorno.
Solo accettando e rispettando il fatto che l’altro sia diverso da come lo si è immaginato, sarà possibile giungere a una relazione equilibrata.
Il bisogno di sentirsi accolti e compresi dall’altro è un aspetto molto delicato in una relazione. Sapere che l’altro c’è ed è pronto ad accoglierci nelle caratteristiche comprensive di risorse e di limiti, diventa indispensabile.
Si traduce nella possibilità di sentire di potersi affidare reciprocamente. È in questa possibilità che ogni volta si ricrea come l’occasione di ritornare tra le braccia della propria madre: il petto si sgonfia, il respiro si placa, un calore morbido e accogliente ci pervade e ci fa tornare in una dimensione unica e speciale.
Contemporaneamente rimanendo uno accanto all’altro nella vita sarà possibile intraprendere un percorso in cui si viaggia alla pari e ognuno ha la stessa importanza dell'altro.
Non solo, la profondità del contatto guida anche verso una riscoperta del proprio e altrui desiderio, con la possibilità di ricreare rapporti intimi caratterizzati da contatti più pieni e vibranti.
3. Creatività, gioco, umorismo
Essere creativi significa che anche quando l’attrazione, la novità, l’energia disponibile per l’altro sono inferiori, i coniugi “Devono imparare a creare insieme un processo in continua evoluzione e senza fine, che infonda alla relazione vitalità e novità positiva, sviluppando al tempo stesso abitudini e schemi che permettano ad ognuno di muoversi liberamente negli altri settori della propria vita. In definitiva, dovranno trovare un ritmo che li sostenga nell’adattarsi creativamente alla relazione. Un termine più adatto potrebbe essere co-adattamento creativo” (Melnick J. e Nevis S. M., 2007, p. 301).
Essere creativi significa anche che la stessa conflittualità carica di paure, rabbie e incomprensioni può diventare in una coppia in grado di dirsi “Io ti vedo”, un momento di profonda intimità nel contatto, se si trova il coraggio di esprimere all’altro i propri bisogni e contemporaneamente di accogliere quelli dell’altro, talvolta anche attraverso il divertimento, l’umorismo e il gioco.
Il film “Avatar”, ci offre una metafora di come si possa incontrare il proprio partner, con tutti i sensi vivi e attivi nel presente. Non è semplice fare i conti con le difficoltà che la quotidianità talvolta ci presenta nella vita di coppia, ma sicuramente partire da sé stessi, dalla propria storia, dai propri schemi di attaccamento, dalle proprie ferite, per poi tornare all’altro attraverso una visione meno carica di aspettative, permette di continuare a esplorare i “territori sconosciuti” che giorno dopo giorno il nostro partner ci offre nell’ottica del non possesso, della diversità di chi si ha di fronte e del continuo e reciproco adattamento creativo.
Bibliografia
Blanchot M., L'entretien infini, Paris 1969, S.187 f., citazione in articolo di Ruth Reinboth “Terapia Gestalt di coppia: L’avvicinamento ad Emmanuel Levinas - Amore e violenza delle relazioni quotidiane, in www.ruth-reinboth-gestalttherapie.berlin/images/pdf.
Melnick J. e Nevis S. M., “La creatività nelle relazioni a lungo termine”, in Spagnuolo Lobb M., Amendt-Lyon N., Il permesso di creare. L’arte della psicoterapia della Gestalt. Franco Angeli, Milano, 2007.