Tutti parliamo d’ansia, usiamo il termine in mille modi diversi, alcuni sono buffi ed altri spaventosi, come ansioso, ansietta, ansiogeno, ansietà, ansiolotico… a specchio delle mille sfumature che la parola può assumere.
Queste parole servono per definirci e per definire le situazioni che ci troviamo ad affrontare. Mai come ora questa parola fa parte del nostro vocabolario.
L’ansia deriva sempre dalla paura, spesso strausare per ogni contesto la parola “ansia” fa perdere il nesso con ciò che l’ha scaturita, la paura, una specfica paura (del nuovo, della solitudine, dell’aereo…).
Gli studi hanno rilevato che sono solo due le paure universali, comuni a tutti gli uomini fin dalla nascita, la paura dei rumori forti e la paura di cadere, tutte le altre sono apprese dal contesto in cui cresciamo e viviamo. Forse all’inizio non vi sembrerà, ma lo é, é un’ottima notizia. Le paure come si sono apprese, si possono anche disapprendere.
Più assecondiamo le nostre paure e più si rafforzeranno, indebolendoci. E’ la cosa peggiore che possiamo fare a noi stessi, dobbiamo smettere di “evitare di evitare”.
Per star bene la soluzione migliore è “affrontare le paure”.
Faccio un esempio che molti di noi hanno sperimentato, la paura del mostro sotto il letto da bambini. Più mi rintano sotto le coperte, pensando andrà via, più la paura aumenta. Quando il bimbo avrà il coraggio di guardarci sotto, la paura si scioglierà fino a rimanere un ricordo, lasciando spazio ad una percezione di se stessi più forte e audace.
Sappiamo che non è semplice, bisogna provarci e se non si riesce da soli è giusto chiedere aiuto ad un professionista.
Abbiamo pensato di proporvi un test di autovalutazione dell'ansia elaborato da Zung (1971) come strumento testato e scientificamente valido per conoscersi meglio e riflettere sui propri stati ansiosi, con maggiore consapevolezza e in modo più funzionale.
Il seguente test permette di misurare l'ansia di stato relativa al periodo attuale. Leggi con attenzione le 20 frasi elencate di seguito e scegli la risposta che meglio descrive la tua situazione nell'ultima settimana. Rispondi velocemente senza riflettere molto e segna il punteggio relativo alla tua risposta.
ALA DI AUTOVALUTAZIONE DELL'ANSIA di Zung, 1971 | ||||
. | Raramente | Qualche volta | Spesso | Quasi sempre |
1 - Mi sento più nervoso/a e ansioso/a del solito | 1 | 2 | 3 | 4 |
2 - Ho paura senza motivo | 1 | 2 | 3 | 4 |
3 - Mi agito e sono preso/a dal panico facilmente | 1 | 2 | 3 | 4 |
4 - Mi sento come andare a pezzi, crollare | 1 | 2 | 3 | 4 |
5 - Sento che tutto va bene e che non succederà mai niente | 4 | 3 | 2 | 1 |
6 - Mi tremano le gambe e le braccia | 1 | 2 | 3 | 4 |
7 - Soffro di cefalea e di dolori al collo e alla schiena | 1 | 2 | 3 | 4 |
8 - Mi sento debole e mi stanco facilmente | 1 | 2 | 3 | 4 |
9 - Mi sento calmo/a e posso stare seduto/a tranquillo/a | 4 | 3 | 2 | 2 |
10 - Sento il cuore che mi batte forte | 1 | 2 | 3 | 4 |
11 - Sono tormentato/a da sensazioni di vertigini | 1 | 2 | 3 | 4 |
12 - Mi sembra di stare per svenire | 1 | 2 | 3 | 4 |
13 - Respiro facilmente | 4 | 3 | 2 | 1 |
14 - Avverto formicolii e intorpidi- menti alle dita delle mani e dei piedi | 1 | 2 | 3 | 4 |
15 - Soffro di dolori di stomaco e di cattiva digestione | 1 | 2 | 3 | 4 |
16 - Ho bisogno di urinare spesso | 1 | 2 | 3 | 4 |
17 - Le mie mani sono generalmente calde e asciutte | 4 | 3 | 2 | 1 |
18 - La mia faccia diviene facilmente rossa e calda | 1 | 2 | 3 | 4 |
19 - Mi addormento facilmente e mi sveglio riposato/a | 4 | 3 | 2 | 1 |
20 - Ho degli incubi notturni | 1 | 2 | 3 | 4 |
Il punteggio totale si ottiene sommando i punteggi delle risposte a ciascuna frase:
Nel momento in cui gli stati ansiosi vengono vissuti come eccessivamente elevati e permeano diverse situazioni della nostra vita, l’aiuto di un professionista può essere utile per poter affrontare quello che ci sta succedendo.
Il Consultorio Antera Onlus, nelle sedi di Roma, Monterotondo e Fiumicino, offre la possibilità di incontrare psicoterapeuti esperti nelle difficoltà legate all'ansia, accogliendo e accompagnando gli individui all'interno del proprio percorso terapeutico.
Nel film “Inside Out” la Disney Pixar affronta il tema delle emozioni, nello specifico quelle di base come paura, gioia, rabbia, tristezza e disgusto, mostrando il loro ruolo e importanza nel quotidiano delle nostre vite. Il film ci ricorda che tutte le emozioni, anche quelle sgradevoli, sono degne di attenzione e vanno esplorate al fine di comprendere meglio i significati delle cose e capire cosa vogliamo o non vogliamo.
Spesso parliamo e sentiamo parlare di emozioni, ma sappiamo veramente spiegarle? Pur non essendoci una definizione scientifica univoca, potremmo descriverle come brevi, involontarie, totalizzanti risposte complesse dell’organismo ad eventi interni ed esterni rilevanti. La loro natura multisistemica implica il coinvolgimento di diverse componenti:
Ai fini del benessere personale, quando proviamo una determinata emozione in un determinato contesto che crea una situazione instabile, cerchiamo di modulare l’esperienza emotiva in modo tale da renderla coerente al contesto in linea con le nostre aspettative, attiviamo cioè un processo di regolazione emotiva.
Per regolazione emotiva si intende una serie di abilità che possono essere apprese sin dall’infanzia:
Tuttavia non sempre siamo in grado di ripristinare la stabilità interna in seguito all’attivazione di un’emozione, ma anzi ci sentiamo sopraffatti come se non riuscissimo ad agire un controllo su ciò che accade dentro di noi. Siamo in preda alla disregolazione emotiva.
La disregolazione emotiva è, malgrado gli sforzi compiuti, l’incapacità di avere una buona consapevolezza delle nostre emozioni, e soprattutto di fornire delle risposte adattive, di compiere azioni adeguate per regolare o ricondurre entro la norma gli stimoli, le esperienze, le risposte verbali e/o non verbali.
Qualora questa inabilità alla riorganizzazione emotiva si presenta per un’ampia gamma di emozioni e di contesti ed è caratterizzata da una severa vulnerabilità emotiva, cioè dalla tendenza a reagire in modo intenso e rapido di fronte a stimoli emotivi anche minimi e dal lento ripristino del tono emotivo di base, si parla di disregolazione emotiva pervasiva.
Secondo il modello dello sviluppo biosociale dell’individuo, la disregolazione emotiva è il risultato della predisposizione biologica, del contesto ambientale e della combinazione di questi due fattori e del loro reciproco rinforzo che nel corso del tempo comporta l’acquisizione di caratteristiche individuali e strategie di coping disadattive.
Vediamo più nel dettaglio questi tre fattori:
La disregolazione emotiva, che ricordiamo consiste nell’inabilità a regolare l’attivazione emotiva, interferisce con lo sviluppo e il mantenimento del senso del sé, prodotto di un processo di auto-osservazione e di osservazione delle reazioni altrui alle proprie azioni, e che necessita di coerenza e prevedibilità emotiva.
Nei soggetti con disregolazione emotiva pervasiva si rileva un senso d’identità inadeguato, o a volte assente del tutto, con conseguente difficoltà relazionali interpersonali, poiché queste richiedono spontaneità nell’espressione emotiva, capacità di autoregolazione emotiva e di tolleranza degli stimoli emotivamente dolorosi. Tali soggetti possono sviluppare relazioni altamente caotiche ed anche divenire iperdipendenti dagli altri, di cui temono l’abbandono.
La disregolazione emotiva pervasiva ha anche implicazioni sul piano comportamentale, ovvero nel tentativo di regolare l’esperienza emotiva e indurre sollievo ad emozioni ingestibili, l’individuo attiva strategie disadattive, quali abuso di sostanze, tentativi autolesivi o suicidari, comportamenti impulsivi. Questi effetti della disregolazione emotiva e della disregolazione comportamentale si possono riscontrare tipicamente in pazienti con Disturbo Borderline di Personalità ma anche con Disturbi dell’Umore e Disturbi d’Ansia.
Alla luce di quanto descritto si può concludere che chiedere un supporto psicologico possa essere un passo per ristabilire un benessere personale. Il trattamento psicoterapeutico può aiutare i soggetti con disregolazione emotiva ad esplorare il repertorio che mettono in atto per modulare le loro emozioni, identificare i meccanismi di funzionamento disfunzionali e lavorare sullo sviluppo di strategie di coping alternative e adeguate.
Il Consultorio Antera Onlus, nelle sedi di Roma, Monterotondo e Fiumicino offre la possibilità di incontrare psicoterapeuti esperti nell’ambito della disregolazione emotiva, accogliendo e accompagnando gli individui all'interno del proprio percorso terapeutico.
Da sempre l’uomo ha cercato di esercitare la sua capacità di controllo sul mondo e su se stesso, come strategia di adattamento e sopravvivenza.
Come affermava Erodoto: “Di tutte le miserie umane la più amara è questa: conoscere così poco e non avere controllo su niente”. Oggi posiamo riscontrare come la maggior parte delle persone apprezza i vantaggi di una routine prevedibile e di far andare le cose secondo i piani.
Ma alcuni di noi si sentono molto stressati, seccati o arrabbiati quando la vita prende una piega inaspettata, sia che si tratti di un incidente per strada andando al lavoro o di qualcosa di minore come i figli che lasciano un gran disordine in salotto.
Ecco alcuni segnali che potrebbero indicare che una vulnerabilità rispetto all'instaurarsi di dinamiche controllanti:
Certamente, alcuni di questi tratti e comportamenti possono essere vantaggiosi. Ma se i tuoi controlli sono eccessivi allora questo tipo di comportamento finirà con il generare circuiti di ansia e malessere
Il nostro bisogno di sentirci sotto controllo è guidato dalla paura. Molte persone si sentono spaventate e ansiose quando pensano a tutte le cose che sono fuori dal loro controllo e a tutto ciò che potrebbe andar storto.
Controllo e certezza ci danno un senso di sicurezza. Quindi, è naturale voler controllare le cose (e le persone) con l’idea che se possiamo controllarle, saremo al sicuro e felici o di successo). Cercare di controllare le cose – essere rigidi, esigenti e perfezionisti – diventa il nostro modo di affrontare la paura e l'ansia.
Il problema è che non possiamo controllare la maggior parte delle cose nella vita e cercare di controllarle non necessariamente migliora le nostre esistenze. Come sapete, il controllo può creare una serie di problemi come stress e relazioni interpersonali tese.
La ricerca incessante di perfezione aumenta lo stress fisico ed emotivo. Ad esempio, potresti provare i sintomi comuni dello stress come mal di testa o problemi gastrointestinali, dolore al collo o alla schiena, disturbi del sonno, bassa energia, procrastinazione e sensazione di poca motivazione, irritabilità o rabbia, abbassamento del tono dell'umore o preoccupazione costante. Come puoi immaginare, questo tipo di stress ha un impatto sul tuo corpo e mente e rende difficile vivere la tua vita al meglio. Quando controlliamo, anche le nostre relazioni soffrono. Rischiano di essere difficili, prepotenti, critici nei confronti degli altri. Di solito procuriamo distanza emotiva e ferite relazionali.
Sembrerebbe difficile stimolare un qualunque cambiamento là dove si preferirebbe, come affermava Amleto “piuttosto sopportare i mali che abbiamo, che non volare verso altri che non conosciamo”. Eppure il cambiamento è possibile e auspicabile.
Mollare un po’ il controllo comporta si il rischio di confrontarsi con incertezza e paure, ma ci metterebbe in contatto con i nostri desideri e bisogni più autentici e profondi portandoci a condurre una vita più piena e sorprendente.
Il Consultorio Antera Onlus, nelle sedi di Roma, Monterotondo e Fiumicino offre l'opportunità di incontrare psicoterapeuti esperti nelle difficoltà legate all'esigenza di controllo , accogliendo e accompagnando gli individui all'interno del proprio percorso terapeutico.
L’adolescenza è una fase evolutiva di transizione dall’età infantile a quella adulta, fondamentale per lo sviluppo dell’identità. Caratterizzata da rilevanti cambiamenti fisici, emotivi e psicologici, accoglie movimenti di scoperta di sé ed esplorazione del mondo che sono tipicamente associati a vissuti di incertezza e instabilità. L’attuale emergenza sanitaria implica un contesto fisico, sociale e culturale che rende ancor più complesso fronteggiare questo delicato momento evolutivo. Tale maggiore complessità riguarda sia il vissuto degli adolescenti, sia il vissuto di coloro che degli adolescenti devono prendersi cura.
La chiusura del primo lockdown, poi questo clima di pandemia e la nuova chiusura, si sono tradotti in una condizione di forte stress per adolescenti. Il Professor Stefano Vicari, Responsabile dell’Unità Operativa Complessa di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza, dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma ha rilevato come vi sia stato un netto aumento dei disturbi del sonno, così come situazioni di forte chiusura degli adolescenti, fino alla comparsa di quadri di ansia e di depressione, con aumento di atti autolesionistici e rischio di suicidio.
Possiamo riscontrare una differenza marcata tra il primo e il secondo lockdown. Nel primo caso si è associata una maggiore disponibilità a vivere le norme restrittive, nel senso che i ragazzi, in molti casi, hanno vissuto la chiusura delle scuole come un’anticipazione delle vacanze e poi, dato ancora più importante, in quel periodo i genitori erano nella maggior parte dei casi presenti in casa. Questo ha avuto una funzione di protezione.
Nella seconda ondata, invece, la chiusura delle scuole, almeno per la secondaria di secondo grado, ha coinciso con l’assenza dei genitori, che nella maggior parte dei casi avevano ripreso la propria attività lavorativa, o erano chiusi in qualche stanza di casa a destreggiarsi con lo smart-working. Questo probabilmente ha ridotto gli strumenti di difesa dei ragazzi, in qualche modo si sono sentiti più soli.
Negli adolescenti e preadolescenti, che vivono un’età in cui l’inclusione e l’accettazione nel gruppo di pari è meta essenziale da raggiungere, la chiusura forzata può aggravare quel senso di solitudine piuttosto frequente in fase dello sviluppo.
Di conseguenza, aumenta la propensione all’isolamento dei giovani con il rinchiudersi in camera e passare ore su internet, e la mancanza di contatti fisici con i pari finisce per trasformarsi in un fattore di rischio per conflitti in famiglia.
Questa situazione sta impedendo la piena interazione e la comunicazione degli studenti con i compagni di scuola, il gioco, gli esercizi e le attività tra pari, che sono vitali per la crescita, l’apprendimento e lo sviluppo delle giovani menti.
La fisicità della scuola è venuta meno e con essa ecco sparire un contenitore fondamentale che aiuta a mantenere la “barra a dritta”. Orari, verifiche puntuali, una routine di regole. Stare a casa si connette inevitabilmente a movimenti di “anarchia”.
Questa situazione amplifica una delle sfide più difficili ma anche più importanti che la scuola ha: rendere autonomi, consapevoli e protagonisti assoluti della propria maturazione di conoscenze i ragazzi. Purtroppo, ancora oggi, il sistema scolastico rimane ancorato al senso del dovere, dell’obbligo, del voto come obiettivo; spesso i ragazzi non si sentono protagonisti del loro processo di apprendimento ma contenitori di informazioni.
Il ruolo dell’insegnante direttivo che dalla cattedra detta la conoscenza, oltre ad essere criticato da tutte le moderne nozioni psicopedagogiche, non funziona per nulla bene a distanza. È necessario, soprattutto in questo momento, che possano essere motivati e coinvolti, incrementando anche la cooperazione fra compagni, seppur a distanza, e la possibilità di assumere una posizione attiva, supportando anche gli insegnanti in questo compito davvero arduo.
Ecco alcune aspetti da monitorare, che possono aiutarci a cogliere dei segnali di disagio provenienti dai nostri ragazzi:
Il dialogo è quindi uno strumento importante per il benessere dell'adolescente, che se si sente accolto, riconosciuto e contenuto, potrà usare il genitore come modello e base sicura per affrontare il mondo, anche chiedendo aiuto.
Nel momento in cui si intercetti un disagio crescente da parte dei propri figli o si avverta la necessità di farsi aiutare come genitori, un supporto di tipo psicologico può essere importante.
Il Consultorio Antera Onlus, nelle sedi di Roma, Monterotondo e Fiumicino offre la possibilità di incontrare psicologi e psicoterapeuti esperti nelle difficoltà legate alla fase adolescenziale, accogliendo e accompagnando i ragazzi e le proprie famiglie all'interno di percorsi specifici.
Ansia, panico, fobie, ipocondria insieme ad un profondo senso di insicurezza e instabilità umorale affliggono Bernardo e Camilla, due perfetti sconosciuti che incrociano il loro destino sul pianerottolo dello psicoanalista che hanno in comune, di cui Camilla si è invaghita. È con maestria che Carlo Verdone ci rappresenta, non mancando talvolta di esasperazione e iperbole, le difficoltà che i protagonisti vivono proprio a causa dei sintomi da cui sono affetti. Accompagnati da un magico sacchetto di farmaci tra i più efficaci in commercio, Bernardo e Camilla, cominciano a conoscersi fino a diventare amici e a sentirsi sempre più vicini, non senza momenti di conflittualità. Non solo ansia e ipocondria accomunano i due, ma anche un profondo e ricercato tentativo di autorealizzarsi. Camilla, attrice di teatro, cerca di affermarsi nel mondo dello spettacolo, mentre Bernardo, critico rock, è alla ricerca, nello scrivere la biografia di Jimi Hendrix, dello scoop della sua vita. I due in realtà non si piacciono subito, ma l’insistenza di Camilla fa sì che gradualmente tra loro si stabilisca una inequivocabile e reciproca sintonia, basata proprio sulla possibilità di sentirsi rispecchiati nelle loro paure, ansie, fobie, ipocondrie.
È partendo da questa narrazione cinematografica che poniamo la nostra attenzione su ciò che caratterizza in particolare l’ipocondria, nel tentativo di dare il giusto spessore ad una sofferenza psicologica che il più delle volte viene sottovalutata, mal diagnosticata e talvolta presa poco sul serio.
Nulla di più attuale, d’altronde come l’ipocondria, in un periodo in cui la paura di essere esposti al contagio da coronavirus continua ad aleggiare.
Il termine ipocondria deriva dal greco e in particolare dal suffisso “hypo” sotto e “chondros” sterno, ovvero sotto lo sterno. Da qui la pratica della medicina ippocratica di curare l’ipocondria come un malessere dello stomaco e della mente che era responsabile non solo di problemi digestivi, ma anche di grande melanconia. Non è casuale la connessione tra stomaco ed emozioni, e di come oggi sempre di più le ricerche definiscano lo stomaco e l’intestino come il nostro secondo cervello. Ebbene sì, è proprio di sensazioni ed emozioni poco consapevoli che parliamo quando siamo in presenza di ipocondria.
Il DSM-V (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali quinta edizione) descrive il disturbo come caratterizzato dall’eccessiva preoccupazione di avere o poter contrarre una grave malattia, in cui i sintomi possono non essere presenti oppure se presenti lo sono in forma lieve. L’aspetto centrale è che il soggetto è affetto da un elevato livello d’ansia riguardante il suo stato di salute, per il quale si allarma facilmente. Ciò porta a due tipi di comportamento:
Molto spesso troviamo l’ipocondria associata ad ansia, attacchi di panico, fobie, se non anche a disturbo ossessivo-compulsivo. In questi casi non solo il quadro clinico è più complesso, ma molto spesso i soggetti che ne sono affetti, vivono profonde limitazioni nella loro vita e sono considerati “esagerati”, “eccessivi”. Ciò che difficilmente trapela è la loro reale sofferenza, legata, come vedremo, non solo alla paura di contrarre una malattia.
Cominciamo parlando del possibile attaccamento che il soggetto ha avuto sin dalla primissima infanzia. Bisogna considerare che l’attaccamento relazionale con la figura genitoriale di riferimento rappresenta la “base sicura” che fa sentire il bambino accudito, compreso nei bisogni fisici ed emotivi e gradualmente lo rende pronto e sicuro a distaccarsi per esplorare il mondo esterno. Quando invece la figura genitoriale fa fatica a sintonizzarsi con i bisogni primari ed emotivi del bambino, mostrandosi o poco attenta o eccessivamente preoccupata, il bambino iperattiva il sistema di attaccamento, mostrandosi poco propenso a separarsi da quest’ultima per muoversi ed esplorare l’ambiente esterno. Tutta la sua attenzione è concentrata sulla possibilità di avere attenzioni, aumentandone l’intensità ogni volta che sente la minaccia di perdere l’interesse dell’altro. Il corpo e il sintomo corporeo in questi casi, diventano centrali, data non solo la difficoltà della figura di riferimento di fronte al sintomo del figlio di soddisfare le richieste di cura concrete, ma soprattutto la fatica di rispecchiarne i bisogni emotivi, rassicurandolo della sua presenza e delle possibilità di guarigione. La loro relazione si sposterà tutta su un versante corporeo, diventando bambini bisognosi di cure ed emotivamente dipendenti dall’altro.
Bisogna considerare che lo schema di attaccamento strutturato durante l’infanzia continua a permanere nell’individuo, nonostante con la crescita e le successive esperienze di vita e relazionali essi possano subire modifiche, volgendo in alcuni casi verso uno stile relazionale sicuro e maggiormente in grado di muoversi nel mondo. In alcuni casi lo schema d’attaccamento insicuro riemerge nei momenti di stress oppure in altri casi lo schema d’attaccamento non subisce modifiche, anzi si cristallizza rendendo difficile il momento della separazione dalla figura di riferimento e soprattutto i successivi rapporti.
Il corpo diventa centrale, ma è un corpo “non sentito”, piuttosto “pensato”, “fantasticato” nelle sue forme più temibili.
L’ascolto del proprio corpo è volto alla possibilità di “avere il pieno controllo” su se stesso e su una possibile sintomatologia corporea, nella piena illusione di poter prevenire, scongiurare possibili malattie.
Come abbiamo visto, parlando dell’attaccamento alle figure genitoriali, la difficoltà di ascolto del proprio sentire corporeo parte dall’infanzia. Salonia (2014), psicoterapeuta della Gestalt, dice: “quando il bambino nel suo corpo che cresce, avverte la tensione del sentire, ovvero l’intensificarsi del ritmo respiratorio che dà forma alle emozioni, ha paura e cerca un corpo che lo accolga, un corpo che attraverso il contenimento, dia al suo corpo il coraggio che lo rende integro. Se questo accade, il bambino imparerà ad avere fiducia nelle sensazioni corporee, nelle emozioni, e avrà appreso che esse portano la pienezza relazionale e personale. Se il corpo del bambino non “trova” il corpo dell'adulto (perché assente o impaurito), allora la paura normale delle proprie sensazioni si trasforma in terrore, diventa fobia: si blocca il respiro che andava ad aprirsi, i muscoli si tendono e viene chiuso ogni varco all'energia emozionale” (pp. 561).
La difficoltà è proprio quella di rimanere in contatto con l’energia che emerge dal corpo, senza la fantasia di un corpo che va in frantumi e senza l’ossessione dalla paura di contrarre una malattia. “Le ossessioni sono pensieri, impulsi o immagini a carattere invasivo e ripetitivo che si presentano alla mente non voluti, incontrollabili da parte dell'individuo. La loro funzione sembra essere quella di controllare l'energia e le sensazioni che il corpo inizia ad avvertire e di cui si impaurisce perché le sente come incontenibili spinte ad azioni distruttive. È il rischio dell’agire che si vuole controllare: l'azione, infatti, è rischiosa perché si può sbagliare, si può fare del male, e rende responsabili in prima persona. (Salonia, 2014, pp. 564). Ma è proprio nell'azione che è possibile dare corpo al proprio sentire facendo sì che essa divenga “il luogo in cui l'unicità della persona si esprime in modo irreversibile, diventa visibile al mondo intero e traccia le linee dell'identità” (Salonia, 2014, pp. 565).
In un ipotetico percorso terapeutico per superare l'ipocondria due passaggi risultano fondamentali:
In un processo dal basso verso l’alto, dal corpo ad una mente maggiormente consapevole, è possibile recuperare un maggior senso di fiducia nei confronti di un corpo che sente e si emoziona, piuttosto che un corpo che dà sintomi e paure. È possibile, inoltre, ristabilire anche la graduale possibilità di costruire dentro di sé quella base sicura mancata, ma fondamentale per sentirsi liberi di muoversi e agire nell'ambiente esterno e nella relazione con l’altro.
Non servono azioni o progetti di successo, come Bernardo e Camilla per gran parte della loro vita hanno cercato di fare, quanto di azioni incarnate nel proprio corpo, sentite nella propria interezza, pienamente nutrienti.
In questo modo l’attenzione è pronta per volgere finalmente lo sguardo dal proprio corpo concepito inizialmente fragile e cagionevole, ad un corpo che può cominciare a desiderare ciò che è presente nell'ambiente esterno, ma anche e soprattutto a desiderare il corpo dell’altro.
Cruciale da questo punto di vista il momento in cui Bernardo si accorge di essere innamorato di Camilla ed è pronto a rinunciare, non solo allo scoop tanto atteso che l’avrebbe reso famoso, ma anche alla donna con la quale aveva costruito un rapporto di dipendenza.
James Hillman (1997), nel suo libro il codice dell’Anima, dice “esiste un motivo per cui la mia persona, che è unica e irripetibile, è al mondo, e che esistono cose alle quali mi devo dedicare al di là del quotidiano e che al quotidiano conferiscono la sua ragion d’essere; la sensazione che il mondo, in qualche modo, vuole che io esista, la sensazione che ciascuno è responsabile di fronte a un’immagine innata, i cui contorni va riempiendo nella propria biografia (pp.18-19).
Bibliografia
Hillman J., Il codice dell’anima, Adelphi, Milano, 1997.
Salonia G., La psicoterapia della Gestalt con gli stili relazionali fobico ossessivo-compulsivi, in La Psicoterapia della Gestalt nella pratica clinica. Dala psicopatologia all’estetica del contatto, Francesetti G., Gecele M., Roubal J., Franco Angeli, Milano, 2014. Verardo A. R., Attaccamento traumatico: il ritorno alla sicurezza. Il contributo dell’EMDR nei
“Sono solo un adolescente e mai avrei pensato di non uscire con i miei amici per tutto questo tempo”…
E’ questo l’incipit di una lettere scritta da un adolescente ai tempi del Covid 19, una lettera dove si susseguono diverse emozioni, confusi pensieri e nuove esperienze. Una lettera probabilmente molto rappresentativa dello stato emotivo di tanti adolescenti che fanno i conti con questa emergenza e con le fatiche che essa comporta.
Tutti noi ci siamo trovati a dover affrontare stravolgimenti del nostro quotidiano, si tratta di una situazione nuova ed inedita per tutti e questo può far sentire ansiosi, isolati e amareggiati.
Come oramai tutti sanno l’adolescenza è un periodo difficile, ed essere un adolescente al tempo del Covid19 è di gran lunga faticoso, ma al contempo può essere anche una grande sfida. Vediamo insieme perché.
La tecnologia, in questo momento, sta garantendo un senso di comunione e di solidarietà e sta veicolando messaggi molto positivi e di speranza. Dunque l’uso delle tecnologie digitali si presenta come un’opportunità per promuovere il mantenimento delle relazioni sociali particolarmente importanti in questa fase della vita degli adolescenti.
E come si sa, su questo uso delle tecnologia, molti adolescenti sono stati, da sempre, tanto “esperti” ed “iperconnessi”. Noi adulti abbiamo spesso detto che gli adolescenti odierni sono una “generazione digitale”, e se oggi in questa emergenza possono sembrare meno in difficoltà rispetto alla realtà virtuale, e più facilitati a stare in relazione con il mondo fuori da casa, ciò non vuol dire che non risentano emotivamente degli effetti di questa emergenza. Possono essere connessi con il mondo fuori, con la scuola, con gli amici, essere online tantissime ore al giorno ma vivono comunque un isolamento sociale dato dalla mancanza di relazioni giocate in presenza dell’altro, sperimentano un vuoto dato dall’assenza di svaghi e dal gruppo dei pari.
Il rischio per gli adolescenti, impossibilitati a uscire e quindi a passare il proprio tempo libero fuori casa, è quello di rifugiarsi in un uso smodato di smartphone e dispositivi elettronici ed incappare in quella che è stata definita“overdose digitale”, con effetti simili ad una vera e propria dipendenza da tecnologie. Nel caso in cui guardare la tv, giocare ai videogame, passare il tempo con lo smartphone, il PC o il tablet diventano le attività predominanti, possono acuire la messa in atto di stili di vita che potrebbero aumentare il rischio di sovrappeso, problemi osteoarticolari, disturbi del sonno, comportamenti aggressivi, irritabilità e difficoltà di concentrazione, attenzione e comprensione.
È fondamentale, quindi, stabilire dei limiti nell’utilizzo dei dispositivi virtuali, riconoscendone però il loro valore. E’ pertanto necessario impostare un piano giornaliero con tempi certi di condivisione e di studio in autonomia, è opportuno attivare o mantenere alcune abitudini che permettano di scandire il tempo e organizzare al meglio la giornata, come per esempio dedicarsi allo studio per il proseguo dei programmi scolastici, ascoltare musica, leggere, praticare un hobby, si possono riscoprire i rapporti con coloro che vivono con noi ma di cui sappiamo sempre meno, perché presi dalla fretta e distratti dalla tecnologia che ci circonda.
È stato chiesto anche agli adolescenti di stare a casa, di interrompere le loro relazioni esterne, di stare “imprigionati” proprio in una fase della vita che per definizione è nel fuori, dove si vive di esplorazione e di relazione. Ma per loro, dentro questo sacrificio c’è anche un allenamento alla vita, perché si stanno imbattendo nella dimensione della responsabilità e del sacrificio in maniera potente e questo rappresenta un’importante sfida evolutiva.
Per i ragazzi, la noia di questi giorni può essere una buona occasione per imparare a stare con le proprie emozioni, imparare a “sentirsi” e a riconoscere i propri bisogni al di là di quello che viene continuamente imposto.
I genitori sono chiamati a contenere e aiutare a gestire le eventuali difficoltà emotive dei loro figli adolescenti, filtrando le proprie angosce e instaurando comunque un dialogo fondato sull’onestà dei vissuti che essi stessi sperimentano durante questa situazione.
Alcune piccole indicazioni per un adolescente:
Fonti:
UNICEF
L’Organizzazione Mondiale della Sanità
Il Sole 24 ore
Askanews – Agenzia stampa nazionale
La gravidanza rappresenta, senza dubbio, un evento che comporta modificazioni di natura sia fisiologica che psicologica richiedendo alla futura madre e, alla coppia in attesa, dei continui riadattamenti (Benedek 1956). Il caleidoscopio emotivo che una donna vive durante il periodo di gestazione mette in luce la complessità e la ricchezza di tale esperienza interiore caratterizzata da un nuovo modo di “sentire” e di “sentirsi” nel mondo (Quaglia, 1996; Brustia, Longobardi, 2003).
Questa “nuova” sensibilità attraversa tutto lo spettro delle emozioni nelle sue sfumature e ambivalenze, traducendosi, talvolta, in stati di ansia in occasione di eventi stressanti.
Nell’attuale momento storico il COVID-19 costituisce per tutti gli individui una fonte di profonda frustrazione che elicita vissuti di paura, sensazione di pericolo, vulnerabilità e impotenza.
Tali risposte emotive sono da ritenersi, in linea generale, adattive, sane e coerenti, poiché permettono agli individui di riconoscere la pericolosità di un evento e di proteggersi dai rischi ad esso correlati, adottando comportamenti consoni alla situazione. Tuttavia, nel caso della gravidanza, tali vissuti possono risultare molto pervadenti e di difficile gestione per le future madri al punto da alterare il benessere psicofisico delle stesse e, di riflesso, del feto.
Le donne possono vivere con paura, a volte terrore, il rischio di contagio rischiando di vivere con eccessiva ansia e preoccupazione una delle esperienze più trasformative e significative della vita di una donna: la gravidanza.
Stante la complessa situazione mondiale dovuta al diffondersi del COVID-19, è doveroso sottolineare che la paura è un’emozione del tutto normale, in particolare in gravidanza. Espressioni di tale emozione, come il pianto o la tristezza devono, dunque, essere riconosciute e accettate dalle future madri, tralasciando sentimenti di colpa ed inadeguatezza.
E’ noto in letteratura come la gravidanza comporti anche una ridefinizione del rapporto di coppia, in quanto, sia a livello reale che immaginario, è necessario includere il terzo all’interno della diade, imponendo alla stessa una riorganizzazione dell’equilibrio familiare (Minuchin, 1976). Di fatto, con l’arrivo di un figlio i futuri genitori si trovano a dover affrontare un processo di adattamento che dipende in larga misura dalla storia individuale di ciascuno e dal modo in cui si è affrontato il processo di svincolo dalla famiglia di origine.
La nascita di un figlio, soprattutto del primogenito, rappresenta senza dubbio un evento trasformativo che riguarda tutto il sistema familiare producendo innumerevoli cambiamenti; nasce infatti il sottosistema genitoriale, accanto a quello coniugale già esistente, mentre nelle famiglie d'origine dei neo-genitori si creano i ruoli di nonni e di zii. Molti accordi stabiliti nel primo periodo del matrimonio devono essere rivisti e subiscono cambiamenti, tale rivisitazione di ruoli e gerarchie diviene fondamentale per il benessere dell’intero sistema familiare.
Con la nascita di un bambino si passa dallo stato di figli a quello di genitori, con un'ulteriore maturazione psicologica della coppia genitoriale; questo genera anche una ridefinizione del rapporto con i propri genitori che tende ad essere nel tempo sempre più paritario e adulto (Bramanti, 1999).
Tuttavia, spesso il passaggio alla genitorialità può far emergere criticità con le rispettive famiglie di origine, legate alla difficoltà di stabilire e mantenere confini relazionali chiari e condivisi tra i vari membri dei sottosistemi. Tali condizioni posso avere a loro volta dei riverberi sul benessere della coppia dei neo genitori.
La distanza dalle rispettive famiglie di origine porta con sé anche l’indisponibilità immediata delle stesse ad aiutare e sostenere concretamente i neo-genitori nella complessa fase di ciclo vitale che stanno affrontando. Tale condizione, seppur infelice, può essere rappresentare un’occasione per i futuri genitori di scoprire e mettere in atto competenze e capacità, diversamente sopite dalla presenza, talvolta molto ingombrate, dei neo-nonni.
Il costrutto di “self-efficacy” si riferisce a quanto i genitori si percepiscano competenti e adeguati nell’adempiere ai compiti impliciti nel ruolo genitoriale. Se il livello di efficacia nei genitori è alto ciò li rende meno vulnerabili allo stress connesso alla genitorialità e li porta ad affrontare con più serenità anche le piccole difficoltà quotidiane. Nel complesso un alto livello di “self-efficacy” sia nella madre che nel padre è associato ad una globale soddisfazione della vita familiare (Bramanti, 1999).
Le famiglie d’origine, in questo periodo non devono tuttavia essere tagliate fuori dalla vita dei genitori in attesa, rimanendo in contatto attraverso i social network, garantendo presenza e affetto, ma in sicurezza.
Le attuali limitazioni imposte dalla diffusione del COVID-19, possono rappresentare un’occasione per i futuri genitori di volgere lo sguardo sul proprio partner prendendosi cura l’uno dell’altra in attesa del lieto evento. Il nutrimento derivante da questa amorevole attenzione reciproca rappresenta, senza dubbio, un fattore protettivo per il feto nel qui ed ora, ma verosimilmente anche per il futuro della coppia stessa. Poiché come è stato dimostrato, nel corso della transizione alla genitorialità, generalmente, il grado di soddisfazione e di benessere percepito dalla coppia si riduce, sebbene questo declino non interessi tutte le coppie (Belsky, Rovine, 1990). In tal senso, dunque, proteggersi, occuparsi dell’altro, “stringersi più forte” può rappresentare una valida risposta adattiva della coppia a questo periodo di forte stress emotivo, e dei cui benefici la stessa potrà goderne a lungo termine.
Al fine di vivere al meglio questo periodo potrebbe essere utile seguire alcune indicazioni utili a contenere i vissuti di angoscia suscitati dalla pandemia in corso:
Provare un po’ di ansia in gravidanza è comprensibile, in particolare in un momento di forte stress come quello attuale.
La letteratura ha evidenziato che soprattutto le primipare appaiono molto vulnerabili in gravidanza e nel post-partum e che necessitano di un adeguato supporto emotivo da parte del partner. Le gravose richieste legate al puerperio e alla nascita del bambino possono far emergere vissuti di inadeguatezza, la neo-mamma può temere di fallire nel suo ruolo e questo le procura ansia e talvolta uno stato depressivo (Della Vedova e al., 2008), fino a giungere in alcuni casi ad una vera e propria depressione post-partum. Questi sintomi possono avere delle conseguenze sia a breve che a lungo termine anche sul bambino e sulla relazione di attaccamento tra madre e figlio. Dunque, se l’ansia connessa con la pandemia in corso dovesse farsi dirompente e ingestibile, è necessario concedersi di chiedere aiuto ad un terapeuta esperto, che possa accogliere e aiutare la futura mamma nella gestione del suo stato emotivo.
La gravidanza è un processo che invita a cedere alla forza invisibile che si nasconde nella vita (Judy Ford)
BIBLIOGRAFIA
Benedek, T.F. (1956). Toward the biology of the depressive constellation. Journal of the American Psychoanalytic Association, 4 , 389-427.
Belsky, J., Rovine, M. (1990). Patterns of marital change across the transition to parenthood: pregnancy to three years postpartum. Journal of Marriage and the Family, 52, 5-19.
Bramanti, D. (1999). Coniugalità e genitorialità: i legami familiari nella società complessa: Atti del Primo Seminario Internazionale del Redif. Milano: Vita e pensiero.
Brustia,P.&Longobardi,C. (2003). Donne e madri. Psicodinamica della gravidanza e ciclo di vita al femminile, in P. Brustia, S. Ramella Benna, Territori di Psicologia Dinamica. Roma: Carocci, 149-172
Della Vedova, A.M., Cabrassi, F., Ducceschi, B., Cena, L., Lojacono, A., Vitali, E., De Franceschi, L., Guana, M., Bianchi, U.A., Imbasciati, A. (2008). Parto e puerperio: i vissuti delle donne in un’ottica di ricerca multidisciplinare. Syrio online. Retrieved August, 2008
Quaglia,R. (1996). Adamo, l’infanzia inesistente. Roma: Armando Editore
Minuchin, S. (1976)Famiglie e terapie della famiglia. Casa Editrice Astrolabio, Roma 1976,
Il Training Autogeno è un metodo di rilassamento che una volta acquisito, praticato ed allenato può essere di sostegno in momenti di difficoltà, come forte ansia, rabbia, stress, paure,...
L'etimologia delle parole serve a chiarire la natura di questa tecnica, "training" vuol dire allenamento, "autos" vuol dire da sé, e "genos" significa che si genera, chiunque la impari poi la potrà gestire in maniera autonoma, in qualsiasi situazione e luogo.
Presso il Consultorio Antera Onlus si organizzano periodicamente laboratori di gruppo in cui apprendere e sperimentare questa efficace tecnica.
Per informazioni e costi dei Corsi Base contattare la segreteria ai numeri 320.8755641 o 06.45425425 o compilare il form per essere richiamati
Il laboratorio "risveglio dei sensi" prevede un incontro informativo gratuito che si terrà il 26 Marzo alle ore 19.30 presso la sede di Monterotondo in via dei Monti Berici 23.
Seguirà un ciclo di incontri , in totale 7, focalizzati sui sensi e sul movimento, della durata di 2 ore ciascuno.
L'obiettivo principale è di offrire all'individuo la possibilità di fare esperienze che lo riportino al proprio sentire e alle proprie emozioni
L’ansia è, per definizione, l’anticipazione di un pericolo, quindi ogni condizione di ansia è in qualche modo anticipatoria, caratterizzata da una sensazione di disagio, angoscia e paura che si presenta al solo pensiero di dover affrontare in un futuro più o meno lontano, una situazione considerata rischiosa o altamente spiacevole. Può essere favorita da un fattore scatenante fisico o mentale e comporta il rifiuto da parte della persona colpita, di cogliere varie occasioni. L’ansia da prestazione si presenta come una combinazione di pensieri, emozioni, sensazioni fisiche e impulsi di evitamento della situazione ansiogena. La conseguenza peggiore è l’evitamento, cioè la tendenza a rinunciare a fare esperienze importanti per la nostra vita o viverle con malessere. Qualsiasi situazione della nostra vita quotidiana può essere causa di ansia da prestazione: i viaggi, il sesso, lo sport, la scuola, il lavoro, ecc.
Per ansia da prestazione sessuale si intendono tutte quelle difficoltà di ordine psicologico e fisico nel momento in cui si è consapevoli che si andrà incontro ad un atto sessuale. Il risultato è una concezione distorta dell’atto amoroso, che diventa una messa alla prova delle proprie capacità sessuali per il partner o per se stesso. In alcune situazioni il piacere del partner può diventare più importante di tutto il resto, scatenando così la necessità di impegnarsi, anche in modo ossessivo, in una prestazione che non può assolutamente essere deludente. Se questo si dovesse verificare, il giudizio negativo contro noi stessi potrebbe portare all’instaurarsi di un circolo di autosvalutazione nel quale ciò che temiamo possa accadere, accadrà. La paura dell’insuccesso, richieste troppo esigenti, mancanza di coinvolgimento o familiarità con il partner e stress possono così tradursi in disfunzioni erettili, eiaculazione precoce, difficoltà o impossibilità di raggiungere l’orgasmo per l’uomo. L’ansia da prestazione nella donna, invece, non le impedisce di portare a termine il rapporto sessuale, ma le provoca un profondo disagio. Il meccanismo che sta alla base del disturbo è simile in entrambi i sessi, la differenza è che nelle donne i sintomi, anche essendo abbastanza evidenti, vengono tenuti nascosti per vergogna o sottovalutati. I più frequenti sono riduzione del desiderio e scarsa lubrificazione, che determina secchezza vaginale e dolore durante i rapporti causati spesso da insicurezza relativa alla propria performance sessuale, dalla paura di non eccitarsi, di provare dolore o di non raggiungere l’orgasmo.
L’ansia da prestazione scolastica racchiude in sé la paura dell'insuccesso, del giudizio negativo, di essere ridicolizzati, di non essere all’altezza delle aspettative di genitori e insegnanti. Questo si traduce in strategie e condotte disfunzionali, ma anche in sintomi fisici quali mal di testa, tremori, pianti, insonnia, crisi di panico e talvolta anche febbre e nausea. I momenti cruciali del percorso scolastico che potrebbero portare ad ansia da prestazione sono l’inizio della scuola primaria (tra i 5 e i 7 anni), l’inizio della scuola secondaria di I grado (10-11 anni), l’inizio della scuola secondaria di II grado (13-14 anni) e in generale tutti i passaggi tra la fine di un percorso scolastico e l’inizio di uno nuovo. Il bambino o ragazzo colpito da ansia da prestazione scolastica può avere molte difficoltà ad esprimere ciò che prova, anche perché in molti casi i sintomi possono essere confusi con i “capricci” dai genitori, portando ad un circolo vizioso di ansia che potrebbe sfociare in una sofferenza intensa da parte del bambino.
L'ansia da prestazione sportiva si manifesta nella maggior parte dei casi in giovani atleti poco abituati alle competizioni, ma anche i più esperti possono soffrirne. La sensazione di inquietudine e la paura dell’insuccesso, può portare ad un profondo senso di inadeguatezza che può pregiudicare non solo la performance sportiva, ma anche molte situazioni della vita quotidiana dell'atleta fino ad estendersi all’intera carriera. Il rischio maggiore è quello di arrivare ad estendere queste sensazioni di malessere ad ogni sfera della vita, non più solo a quella sportiva.
L’ansia sul posto di lavoro può essere una condizione normale e transitoria quando, per esempio, si inizia una nuova esperienza o quando la mansione affidata è molto importante o complessa. I sintomi dell’ansia da prestazione lavorativa sono in genere angoscia, paura, sensazioni di incapacità, che talvolta sfociano in veri e propri attacchi di panico e non si attenuano nè con l’esperienza nè con i feedback positivi del datore di lavoro o dei colleghi, ma solo durante il fine settimana o l’inizio delle ferie, per poi ripresentarsi nel momento in cui si deve tornare sul posto di lavoro. Un altro sintomo che può presentare chi soffre di ansia da prestazione lavorativa è la tendenza a “ruminare” prima, durante e dopo il lavoro interpretando tutto ciò che viene detto o fatto in chiave negativa. Questo tipo di ansia può generalizzarsi a tutte le possibilità di lavoro presenti e future. Generalmente chi ne soffre tende a portare sia il lavoro che le proprie frustrazioni nel nucleo familiare apparendo stanchi, frustrati, troppo silenziosi o logorroici rischiando di compromettere così le proprie relazioni affettive. In conclusione chiunque potrebbe soffrire di ansia da prestazione in molte situazioni quotidiane, la cosa importante è chiedere consiglio su come gestirla e/o superarla prima che diventi generalizzata e invalidante andando ad intaccare diverse aree della vita.
Tutte queste difficoltà possono essere trattate con successo rivolgendosi a specialisti psicoterapeuti che, affrontando le difficoltà che stanno alla base dell’ansia, possono aiutare a ridimensionare le paure e ad accettare la possibilità di essere accettati socialmente anche se non “perfetti”.