Consultorio Antera

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Essere genitori: una tappa obbligata?

Avere o non avere figli è un diritto che tutti dovrebbero poter esercitare senza giudizi o critiche. Alcune persone scelgono di non averne per motivi sociali, economici, ambientali o di altro tipo. Molti adulti e coppie che decidono di non avere figli vivono una vita molto soddisfacente. Tuttavia, nella società c'è ancora uno stigma legato all'essere senza figli, in particolare nel caso delle donne che non diventano madri e l'attuale clima politico sembra aumentare tale condanna. La pressione sociale è ancora tanta e spesso manca la sensibilità nei confronti di un argomento così delicato e intimo.  Ma le nuove generazioni sono sempre più consapevoli che la genitorialità non deve per forza essere una tappa obbligata e che scegliere una progettualità senza figli può  essere  una fra le molteplici possibilità di vivere la propria vita.

 

Alcuni dati su chi sceglie di non avere figli

Secondo l'Istat dal 2016 sono in aumento le donne childfree, ossia le donne che decidono consapevolmente di non avere figli. Infatti, negli ultimi anni sempre più donne manifestano il desiderio di non volere figli, tra incertezza del futuro e desiderio di libertà e di autonomia. Dalle ricerche emerge come siano sono soprattutto le donne laureate a non volere figli e a non prevedere la maternità nel loro progetto di vita. D'altro canto, la pandemia, i problemi climatici e gli attuali conflitti bellici in Ucraina e  in Medio-Oriente, hanno aggravato la situazione, generando incertezza sul futuro, contribuendo ad una maggiore percezione della crisi e spaventando le coppie riguardo la possibilità di mantenere un figlio o di farlo crescere in una situazione compromessa.

 

Childless, childfree: quali differenze

Quando si parla di persone che non hanno figli, ci sono alcune definizioni importanti da chiarire.

In inglese, al contrario che in italiano, esistono due parole che possono essere utilizzate: childless e childfree. La prima si riferisce a persone che desiderano avere figli ma non li hanno; la seconda si riferisce a persone che hanno scelto di non avere figli. Childfree è quindi la parola che enfatizza al meglio l’intenzionalità e la volontà di non avere figli ed è il termine che riconosce davvero quanto le persone childfree non siano “meno” (less) di altre.

 

Perchè scegliere di non avere figli: motivazioni da rispettare, piuttosto che da indagare

Possono esserci molte motivazioni dietro alla scelta di non voler diventare genitori. Piuttosto che approfondire le possibili motivazioni psicologiche sottostanti, rischiando di avallare il messaggio per cui “qualcosa deve essere andato storto” nella vita di quella persona per essere giunti a formulare una scelta di questo tipo, preferiamo soffermarci sulle difficoltà psicologiche legate alla difficile accettazione sociale di non volere figli. A nessuno che voglia diventare genitore si chiede “Perché lo vuoi?”, mentre chi decide di non averne è costretto a misurarsi con le domande degli altri,  a vivisezionare le motivazioni, a scandagliare dentro di sé paure e bisogni. Un percorso che in realtà sarebbe auspicabile anche per chi sceglie di diventare genitore, per una piena assunzione di responsabilità, perché le motivazioni che portano a volere un figlio purtroppo non sono sempre così sane, e non è detto che “donare la vita” sia di per sé dimostrazione di generosità e capacità di amare.

 

E gli uomini che non vogliono figli?

Nonostante sia importantissimo studiare e analizzare la percentuale di donne childfree, statistiche simili non sono state pubblicate  per quanto riguarda gli uomini. Diversi studiosi hanno ricondotto  l’assenza di studi specifici su uomini childfree  al fatto che nella società occidentale, la scelta di non avere figli da parte dei maschi non è considerata così degna di nota o “anormale”: su di loro non viene applicato lo stesso stigma che subiscono le donne, tanto da non venire attenzionati negli studi, perlomeno fino ad oggi.

 

Generatività: non solo diventare genitori, ma tante sfaccettature possibili

Sentirsi ed essere generativi non è reso visibile esclusivamente dal mettere al mondo un figlio. Fare un figlio rientra di certo in questa categoria, ma non è l'unico modo possibile per esprimere la propria generatività, ne quello elettivo. Si può essere generativi nel proprio lavoro, in ambito artistico attraverso la propria creatività, in quello scientifico con piccole e grandi scoperte o innovazioni. Insomma si può essere generativi in senso pratico e tangibile o in modo più astratto, dal prendersi cura delle proprie piante in balcone, al generare spazi di confronto e nuove idee all'interno di un gruppo.

Ciò che accomuna tutte queste esperienze così variegate è sicuramente la presenza di una dimensione di crescita e della possibilità di dare il proprio contributo a qualcosa di altro da noi, che in parte ci appartiene e in parte no, qualcosa di cui ci possiamo occupare e prendere cura, e che probabilmente non potrebbe esistere senza di noi, almeno inizialmente, ma che comunque ha una propria dimensione indipendentemente da noi che abbiamo contribuito a crearlo: un film, un quadro, un libro, un gruppo che si “arricchiscono” nel tempo con i loro spettatori, lettori, partecipanti, una scoperta scientifica che si ramifica nel tempo in ulteriori scoperte.

E' importante sintonizzarci con la nostra generatività, assecondandone le diverse forme e coltivandola secondo i nostri desideri.

ESSERE GENITORI OGGI: TRA SFIDE E RISORSE

Diventare genitori è un evento trasformativo importante per la coppia e per i singoli individui che  determina a volta effetti maturativi e a volte disorganizzanti.

Tenendo conto della coppia, l'arrivo del primo figlio, comporta una grossa ristrutturazione, sia perchè da due si diventa tre, sia perchè bisogna imparare a considerare il partner nel ruolo di padre o madre.

A livello individuale si inizia a fare i conti con l'identificazione dei propri modelli genitoriali e allo stesso tempo ciascuno si confronterà con il proprio sé infantile. Per alcuni questo potrebbe richiedere una “riparazione”, se si sente di aver subito “danni” (per esempio se da piccoli non si è ricevuto molto affetto, si potrebbe aver la tendenza a dare al figlio tanto affetto in modo iperprotettivo oppure si potrebbe vedere il figlio come rivale).

Winnicott pediatra e psicoanalista, afferma che il mestiere di genitore è un qualcosa che la coppia inizia per gioco, accorgendosi solo più tardi di quanto sia difficile.

 

COSA SIGNIFICA ESSERE MAMMA?

La gravidanza, in particolar modo la prima, è un evento importante nella vita di una donna.

Secondo i comuni stereotipi sociali, la donna incinta è necessariamente felice, pronta ad accogliere la nuova vita che verrà, ma questo contrasta spesso con la realtà, poiché le donne si trovano a far fronte sia ad un cambiamento fisico e ormonale importante, sia ad un cambiamento psicologico: sono più vulnerabili e sensibili e ciò può esporle a volte a soffrire di umore triste, può portarle a sentirsi inadeguate, incapaci, culminando in alcuni casi in veri e propri stati depressivi.

A tal proposito Genny Mangiameli descrive due tipologie di donne, diverse a seconda di come vivono i bisogni durante la gravidanza: le facilitatrici, che si abbandonano di più allo sconvolgimento emotivo della gravidanza accettandone tutti i cambiamenti e le regolatrici, che invece tendono a contrapporsi ad esso, hanno difficoltà a rinunciare alla propria autonomia e il bambino viene vissuto come invasore scatenando un conflitto interiore molto forte. Fra queste due polarità possono esistere infinite sfumature, che possono variare nel corso del percorso di gravidanza.

La cosa importante non è doversi sentire per forza felici, ma ascoltare dentro di sé le emozioni, così da poterle accogliere e non sentirsi meno brave, solo perchè ci si sente tristi, si ha paura, non si è felici come ci si aspetta o si aspettano gli altri.

 

 

COSA SIGNIFICA ESSERE PAPA'?

Mentre la gravidanza coinvolge mente e corpo della donna, per l'uomo inizia un percorso graduale di responsabilità e consapevolezza del suo ruolo come genitore, che in alcuni casi può portare all'insorgere di una crescente sensazione di stress.

Timori comuni sono non riuscire a sostenere economicamente la famiglia o non essere di sostegno e supporto alla partner soprattutto in situazioni di emergenza; anche in questo caso come per le donne è importante ascoltare e accogliere le proprie paure così da non lasciarsi sopraffare.

E' importante valorizzare il vissuto emotivo dei papà e comprenderlo al pari di quello delle mamme, favorendo così anche una maggiore inclusione dei papà nel percorso della gravidanza, rispetto al quale potrebbero sentirsi periferici.

Anche per il papà è importante il coinvolgimento attivo sia nella fase della gravidanza che nelle fasi di cura del bambino.

 

 

ESSERE GENITORI EFFICACI: I CONSIGLI DEGLI PSICOLOGI

In questa fase importante e delicata della vita è sempre consigliato seguire corsi di accompagnamento alla nascita, che sono tenuti gratuitamente presso i consultori di zona.

E' importante saper ascoltare e accogliere le proprie paure ed emozioni e non vergognarsi di chiedere aiuto nei momenti di difficoltà per non lasciarsi sopraffare da essi.

Può essere utile in alcuni casi iniziare un percorso di psicoterapia che aiuti a prendere consapevolezza e sicurezza di sé nell'affrontare questa fase di cambiamento della propria vita .

E' inutile e dannoso inseguire il modello del genitore perfetto, poiché ciò che è alla base dell'essere un buon genitore è saper garantire ai propri figli la continuità di una relazione sicura, ciò permetterà loro un sano e graduale distacco, senza smettere mai di vederli e accettarli per come sono e non per come vorremmo che fossero.

COSA PROPONIAMO: un’esperienza in gruppo per agevolare l'espressione corporea e la socializzazione, per lavorare sui nostri punti deboli e valorizzare quelli di forza, per aumentare la consapevolezza di sé e per sperimentare, in un ambiente protetto, modalità relazionali diverse e più funzionali.

 

CHI VI ACCOGLIE: condurranno gli incontri la dott.ssa Costantina Musacchio psicologa-psicoterapeuta Gestalt analitica e l’attrice Michela Fabrizi.

 

DOVE CI INCONTRIAMO: presso la sede di Roma del Consultorio Antera Piazza Cesare Cantù19, 00179 Roma, a poche centinaia di metri dalla metro A fermata Colli Albani.

 

QUANDO CI VEDIAMO: MARTEDI’ DALLE 19:30 ALLE 21:00 OGNI 15 GIORNI

Il laboratorio prevede un totale di 20 incontri di gruppo e dai 4 agli 8 incontri individuali preliminari, per appurare l'idoneità alla partecipazione, favorendo così l'omogeneità del gruppo che si andrà a formare.

 

COSTI: l’intero progetto é finanziato dall’ASSOCIAZIONE BEA A COLORI, in un’ottica di sinergia fra le associazioni del territorio, questo ci ha permesso di offrire l’opportunità di un percorso espressivo molto accessibile, facilitando la continuità nel tempo per i fruitori. I partecipanti dovranno sostenere solo una quota di 10€ ad incontro, come forma di impegno e responsabilità.

 

MODALITA' DI ACCESSO: Le richieste di partecipazione vanno inoltrate al numero

320 87 55 641  (anche attraverso whatsapp) o tramite mail all’indirizzo Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. E' necessario abilitare JavaScript per vederlo.

I social media hanno rivoluzionato il nostro modo di stare al mondo ed a lavoro: hanno modificato i nostri ritmi, hanno accorciato le distanze geografiche, ma allungato quelle dell'interazione sociale. In alcuni casi hanno influito sui ritmi sonno veglia ed in definitiva hanno cambiato in diverse circostanze le nostre abitudini di vita. 

L'informazione presente sui social è accessibile a tutti e viaggia ad una velocità tempo fa inimmaginabile. Il vincolo che richiede è che l'utente sia presente sul social: più l'utente risulta connesso e maggiori sono le informazioni che riceverà. Rispetto alla presenza, più un utente risulta visibile (pubblicazione post, likes) e maggiori saranno le opportunità che quel social gli offrirà. Vediamo in che modo questi aspetti legati alla presenza sui social possono influenzare gli individui. Facciamo una panoramica degli effetti su bambini ed adulti, con un focus specifico rispetto agli adolescenti.

 

COME CI STANNO INFLUENZANDO I SOCIAL

Per quanto riguarda i bambini, una parte della ricerca si è focalizzata sull'influenza dei social media sul cervello. L'uso dei social è spesso sconsigliato, in particolare per bambini tra i 2 ed i 5 anni. Di fatto questa fascia di età risulta interessata da cambiamenti nella crescita cerebrale, ma si tratta anche di un periodo in cui esiste un'alta vulnerabilità allo sviluppo di dipendenze.

Per gli adulti c'è un'ampia parte di ricerca che si è occupata del modo in cui i social creino dipendenza, ma anche di come i social abbiano rivoluzionato l'aspetto delle relazioni sociali, sentimentali e la sfera della sessualità.

Sebbene sia possibile riconoscere alcuni aspetti positivi nel loro utilizzo, è necessario avere una consapevolezza rispetto ad alcuni fattori di rischio così da poterli gestire con maggiore lucidità, anche attraverso opere di educazione e sensibilizzazione mirata.

Uno dei risultati scientifici utili a direzionare un'educazione all'utilizzo dei social riguarda proprio lo studio degli effetti dei social sul cervello.

 

CHE EFFETTO HANNO I LIKES SUL NOSTRO CERVELLO?

Gli studi che si sono focalizzati sull'effetto dei social sul cervello, hanno riscontrato che l'utilizzo attiva le aree del cervello del circuito della ricompensa (le stesse aree che si attivano ad esempio quando si ottiene una vincita in denaro). E' stato appurato che esiste una correlazione tra numero di volte di verifica delle notifiche dei social ed alterazioni delle regioni cerebrali deputate ai meccanismi di ricompensa sociale.

Questo, in altre e semplici parole, sta a significare che, l''utilizzo dei social, se non gestito attraverso un'educazione mirata, può condurre ad una vera e propria dipendenza con sintomi tipici di questo disagio che riguardano ansia, tolleranza, astinenza

E' stata riscontrata infatti, con un utilizzo massiccio dei social, una degradazione della sostanza bianca del cervello, la stessa che è coinvolta quando esiste una dipendenza da sostanze. Quando riceviamo un like il nostro cervello rilascia dopamina. La dopamina, che è l'ormone deputato, genera piacere e questo ci porta ad attivarci per avere sempre più likes ed approvazioni sul social e quindi più piacere. 

Quell'effetto piacevole ci riporta a controllare le notifiche sul social in un circolo che si autoalimenta. Ovviamente l'effetto che questo ha sulla persona dipende da tanti fattori, tra cui il livello di autostima personale, il tipo di personalità e non ultima l'età, dato che ad esempio un adolescente sarà sicuramente in media più sensibile all'approvazione sociale di quanto lo possa essere un adulto. 

 

L'USO DEI SOCIAL NEGLI ADOLESCENTI

La fruibilità e l'accessibilità dei social favorisce anche un uso prolungato degli stessi. E' molto semplice aprire con un click una schermata di un social ed essere inondati da una serie di video ed immagini che sono spesso stimolanti e non richiedono necessariamente un impegno attivo di chi li usa: l'utente può rimanere lì semplicemente per una fruizione passiva di questi video suoni ed immagini, anche con una lunga esposizione. 

A volte gli adolescenti, di fronte ad una difficoltà dal punto di vista dello studio o di fronte ad uno stato emotivo negativo possono rifugiarsi nei social media. Da momento di svago e relax può però trasformarsi in qualcos'altro. 

Il social può diventare una finestra sul mondo, da cui si osserva, ma non ci si espone: ci si può scrivere "senza metterci la faccia", si può accusare o essere aggressivi spesso senza conseguenze, si può arrossire dalla vergogna senza essere visti. Non esporsi per lungo tempo ed utilizzare i social come sostituto o mediatore della realtà  fa sì che diventino un rifugio che può alimentare ansie ed insicurezze.

L'evitamento favorito dall'utilizzo dei social può riguardare non solo il confronto tra pari ma anche ad esempio lo svolgimento dei compiti scolastici: il social diventa un momento di relax dalle fatiche dello studio, ma poi a lungo andare riparo dalle difficoltà che non riesco ad affrontare.

Va sottolineato che c'è anche un aspetto positivo dei social per i ragazzi che andrebbe valorizzato e che potrebbe essere fonte di benessere se opportunamente utilizzato. I social infatti permettono di connettersi ed a volte di creare amicizie laddove ci siano interessi in comune. In alcuni casi divengono momento di condivisione ed aiuto o fonte di espressione di sè. Tutto sta a poter direzionare in maniera positiva queste risorse

L'articolo non intende demonizzare l'utilizzo dei social, ma comunicare l'importanza di un uso consapevole che in quanto tale richiede una conoscenza di cosa sono e come incidono sulla nostra psiche. 

 

La vergogna e il potersi concedere di non farcela

Luglio 2021: Simone Biles, una delle più grandi atlete al mondo di ginnastica artistica si ritira dalla finale a squadre e individuale alle olimpiadi di Tokyo: la stampa internazionale si divide tra chi parla solo in termini di risultato e interpreta, quindi, questa scelta come una sconfitta e chi la legge come un esempio da seguire perché Simone ha dato priorità al proprio benessere. La pressione che sente sulla performance e sul risultato è schiacciante. Afferma di “sentire sulle sue spalle il peso del mondo. Dobbiamo proteggere le nostre teste e i nostri corpi, e non solo andare lì e fare quello che il mondo vuole che facciamo”.

Dichiara anche di aver tratto ispirazione dalla tennista Naomi Osaka che, pochi mesi prima, aveva disertato una conferenza stampa del Roland Garros perché la situazione avrebbe potuto scatenare la propria ansia, dando quindi il giusto valore al proprio benessere mentale.

Gli esempi di queste due sportive possono indurci a riflettere sull’importanza, che ha per tutti noi, di poter riconoscere i propri limiti, le proprie vulnerabilità e le proprie sconfitte senza che questi vengano vissuti come aspetti negativi.

Spesso, proviamo un senso di inadeguatezza e vergogna nel percepire le nostre fragilità, perché sentiamo di disattendere uno standard che ci si è posti e quelle che sentiamo essere le aspettative degli altri su di noi.

 

Che cos’è la vergogna?

La vergogna è un’esperienza emotiva che può essere molto intensa ed essere accompagnata dalla percezione di un fallimento totale o parziale della propria dignità e dalla sensazione del pericolo dell’abbandono affettivo.

È uno stato emozionale che può minare l’integrità del sé e delle proprie capacità e può attivarsi non solo quando mettiamo in atto un comportamento, ma anche quando lo immaginiamo, rappresentando un giudizio negativo su noi stessi perché si discosta dal pensiero e dalla condotta che riteniamo ideale. Può riguardare i propri comportamenti, i propri pensieri, le proprie emozioni e il proprio corpo.

Quando si prova questa emozione, ci si può sentire inferiori, profondamente giudicati e diversi da come si vorrebbe essere; ne consegue un forte disagio anche nella relazione con l’altro. A livello comportamentale, ci può essere una tendenza all’isolamento, cercando di distogliere lo sguardo e di nascondersi, sperando di essere invisibili. Un’altra reazione può essere di rabbia verso se stessi o verso coloro che riteniamo essere l’origine del nostro senso di inadeguatezza.

 

Come nasce la vergogna?

La vergogna è un’emozione secondaria, cioè fa parte di quella categoria di emozioni che vengono apprese e si sviluppano in seguito all’interazione sociale.

È connessa alla valutazione e alla comprensione degli standard culturali a cui la persona cerca di aderire. Il sentimento di vergogna nasce quando l’individuo devia rispetto alla norma sociale, percependo quel senso di fallimento tipico di quest’emozione.

Compare, di solito, dopo il secondo anno di vita quando il bambino comincia a sviluppare la percezione di sé in relazione con l’altro e a comprendere che le sue condotte e quelle altrui sono mosse da bisogni ed emozioni; comincerà ad apprendere che i comportamenti messi in atto suscitano nell’altro reazioni di accoglienza o rifiuto. In tal modo, comincerà a prestare attenzione all’immagine di sé che rimanda. In tale fase, compare il senso della vergogna che svolge una funzione di autoregolazione e consapevolezza rispetto a ciò che è accettato o meno in un contesto relazionale. Cercherà, quindi, di regolare il proprio comportamento affinché sia accettato.

Il senso di vergogna, però, non si sviluppa solo come capacità autoriflessiva, ma è fortemente condizionato anche dall’ambiente educativo ed affettivo in cui si cresce.

All’interno di contesti relazionali altamente giudicanti nei quali vi è stato un mancato riconoscimento e una scarsa accoglienza di emozioni e vissuti, dove sono stati presenti le punizioni corporali, insulti, svalutazioni, tale modalità espressiva può divenire, non più una capacità adattiva, ma un’emozione disfunzionale.

In tali ambienti, gli adulti di riferimento possono esprimere dei giudizi globali per cui, in presenza di un comportamento sbagliato, i bambini tenderanno a valutarsi “in toto” come persone incapaci, perché non sarà il solo comportamento ad essere valutato come inadeguato, ma l’intera persona. Il bambino si potrà, dunque, sentire cattivo.

Tali modalità, possono portare il bambino e poi l’adulto a sperimentare un senso di vulnerabilità ed inadeguatezza che limita la libertà di espressione delle emozioni e delle azioni e a vergognarsi di compiere scelte che sentono non essere convalidate dall’ambiente affettivo, relazionale o sociale di riferimento.

 

Come può intervenire la psicoterapia?

La terapia può rappresentare un luogo dove sentirsi sostenuti, in cui l’approccio empatico diventa la modalità per accogliere il dolore dell’altro, dando dignità alla sua esperienza e in cui poter sperimentare la vergogna senza temere il rifiuto. In tal modo, la terapia può rappresentare uno spazio di trasformazione in cui poter dare dignità alle proprie debolezze e paure non sentendole come aspetti da allontanare e non percependosi come persone sbagliate.

In questo modo, poter dire a se stessi e agli altri che “non ce la facciamo” a fare qualcosa può rappresentare un gesto di attenzione e gentilezza nei confronti degli aspetti più fragili nostri ed altrui.

 

 

 

 

 

 

 

 

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