Disturbi alimentari infantili e prepuberali

I DISTURBI ALIMENTARI NELLA PRIMA INFANZIA ED ETA' PREPUBERALI

Alcune difficoltà o disturbi dell’alimentazione che si manifestano nel corso dell’infanzia hanno un’evoluzione positiva e sono limitati nel tempo, altre determinano problemi di crescita o interferiscono con il normale funzionamento della vita familiare e scolastica e tendono a persistere anche durante l’adolescenza e l’età adulta: alcuni comportamenti, come mangiare senza piacere, mangiare troppo poco, o le dispute familiare sul cibo aumentano il rischio di sviluppare l’anoressia nervosa.

 

CAUSE DEI  DISTURBI ALIMENTARI NELLA PRIMA INFANZIA ED ETA' PREPUBERALI

Il manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM-IV) classifica i Disturbi della Nutrizione e dell’Alimentazione dell’Infanzia e della Prima Fanciullezza in tre gruppi:

  1. Pica: il termine (dal latino pica, gazza, il volatile che ingoia tutto ciò che trova) designa la tendenza compulsiva (al di fuori del controllo) a mangiare materiali non commestibili ( terra, sabbia, plastica, carta, foglie, insetti), molto comune tra i bambini nel corso del primo anno di vita. Quando tale comportamento si protrae anche dopo il compimento dei 18 mesi e tende a manifestarsi persistentemente per oltre un mese, siamo in presenza di una patologia. Di solito essa si presenta nei bambini con ritardo mentale grave o che vivono in un ambiente con forti deprivazioni e carenze. Nell'adulto è presente nei quadri di psicopatologie gravissime, quali la schizofrenia.
  2. Disturbo di ruminazione o mericismo: indica il ripetuto rigurgito volontario, lento, del cibo, che viene riportato dallo stomaco nella bocca, masticato, assaporato e deglutito di nuovo. Insorge nei bambini tra il terzo mese e il primo anno di vita. Per la diagnosi è necessario che tale comportamento sia presente per almeno un mese e non sia causato da una patologia medica di tipo organico ( ad esempio reflusso gastro-esofageo). Quando si manifesta negli adulti, è inserito in quadri di malattie mentali molto gravi, quali psicosi croniche e ritardi mentali. Raramente è presente in pazienti affetti da Anoressia Nervosa o Bulimia Nervosa.
  3. Disturbo della nutrizione dell’Infanzia e della Prima Fanciullezza: tale disturbo si manifesta con la mancanza di una alimentazione adeguata ed incapacità ad aumentare di peso, o significativa perdita di peso durante un periodo di almeno un mese, non causata da una altra patologia medica di tipo organico, con un esordio prima dei 6 anni di età.
    I soggetti di età compresa tra gli 8 e i 14 anni possono presentare una serie di comportamenti alimentari problematici, non contemplati dal DSM-IV, spesso caratterizzati dal rifiuto del cibo, ma che non sempre coincidono con l’anoressia vera e propria. In questa fascia di età il numero di individui di soggetti maschili è maggiore rispetto alle fasce di età successive. Prendendo in considerazione un altro sistema di classificazione diagnostica per l’infanzia, il Great Osmond Street Criteria (GOS), i disturbi alimentari che si manifestano al di sotto dei 14 anni sono:
    • Disturbo emotivo di rifiuto del cibo: si tratta di una forma parziale di anoressia nervosa, e per questo meno grave. E’ caratterizzato da una storia di difficoltà con il cibo che giunge al rifiuto di mangiare, pur non essendo presenti tutti i criteri elencati nel DSM-IV e in assenza di cause organiche.
    • Disfagia funzionale: è un problema che si manifesta soprattutto in bambini piccoli, ma non è legato ad alcuna preoccupazione per il peso e per la forma del corpo. Questi bambini non sono sottopeso e spesso riescono a mangiare anche normalmente.
    • Rifiuto pervasivo: si tratta di una patologia grave caratterizzata dal rifiuto categorico di mangiare, bere, parlare, e fare altre attività. Il rifiuto non rimane circoscritto al cibo ed è questo che distingue tale quadro dall'anoressia nervosa.
    • Alimentazione selettiva: il quadro si manifesta con l’assunzione esclusiva di due o tre tipi di cibo, un normale sviluppo staturo-ponderale, assenza di segni di malnutrizione. Spesso sono presenti problemi di relazione sociale e di ansia, ma sono assenti preoccupazioni legate al peso e alla forma del corpo.
    • Anoressia secondaria a depressione: in questo caso sono assenti le preoccupazioni per il peso e le forme del corpo, ma talvolta effettuare una netta distinzione è complicato perché spesso la depressione si accompagna all’anoressia. Stabilire se la depressione è primaria è secondaria alla condotta anoressica è comunque molto difficile.
    • Bulimia nervosa: si tratta di un quadro raro in epoca prepuberale, ma può manifestarsi esattamente come nell’adulto, ovvero con episodi di iperalimentazione seguiti da condotte di eliminazione, in particolar modo vomito e iperattività fisica, finalizzati ad evitare l’aumento di peso, ed esprimenti preoccupazioni per il peso e la forma del proprio corpo e desiderio di dimagrire. Non è presente una condizione di sottopeso.
    • Anoressia nervosa.
      Queste classificazioni ufficiali non contemplano l’obesità infantile, nonostante essa rappresenti il problema nutrizionale più diffuso in età pediatrica, con una crescita allarmante negli ultimi anni nei paesi industrializzati. A partire dall'infanzia l’obesità si associa ad alterazioni funzionali dell’organismo di vario tipo e costituiscono il preludio di quelle che si manifesteranno in età adulta. Inoltre nel bambino gli effetti psico-fisici del sovrappeso sono immediatamente visibili (problemi relazionali e di autostima dovuti al fatto di essere canzonati e di vivere in una società che stigmatizza le persone con problemi di peso, per non parlare dei vari problemi ortopedici, respiratori e ginecologici). Certamente l’evoluzione del disturbo risulta essere più positiva nei bambini rispetto all'adulto, perché l’accrescimento cui è soggetto un giovane mantiene elevato il fabbisogno energetico anche dopo il calo ponderale e comunque risulta in generale più facile un cambiamento nello stile di vita e nel comportamento alimentare, anche se poi il mantenimento dei risultati costituisce il problema principale del trattamento.
      I fattori di rischio che aumentano la probabilità di sviluppare un disturbo dell’alimentazione, pur senza renderlo inevitabile, sono ad esempio la presenza di obesità personale o familiare, la presenza di un Disturbo dell’alimentazione nei genitori o altri parenti, commenti e critiche di familiari e altri sull'alimentazione, sul peso e sulle forme corporei. La presenza di una insoddisfazione corporea o di una difficoltà alimentare assume particolare importanza se sono presenti nella famiglia uno più dei fattori elencati.

 

CONSIGLI PER I GENITORI DI BAMBINI CON DISTURBI ALIMENTARI

La base per lo sviluppo di un disturbo del comportamento alimentare ha origine spesso durante il primo anno di vita e l’educazione impartita dai genitori in questo senso potrà avere un ruolo decisivo nella reale comparsa o meno del disturbo. Inoltre ricordiamo che nutrire un bambino rappresenta un’importante forma di comunicazione tra i genitori e il figlio, importantissimo per il suo sviluppo; l’ambiente circostante deve rispondere prontamente alle necessità del bambino aiutandolo ad organizzare le varie informazioni che riceve per poterle comprendere ed interpretare. Prima di acquisire tale padronanza il bambino non è in grado di differenziare i suoi bisogni e i suoi impulsi, e se non è aiutato a farlo, crescerà confuso privo della capacità di distinguere le esperienze biologiche da quelle emotive.

Chi si prende cura di lui, quando avverte il suo bisogno di nutrizione, espresso ad esempio attraverso il pianto, gli offre il cibo, e così, gradualmente, il piccolo impara a distinguere la sensazione “della fame” da altre tensioni e bisogni.

Ma se la reazione dell’adulto non è adeguata, se questa comunicazione risulta essere continuamente difettosa come ad esempio quando il genitore crede che il bambino sia affamato, abbia freddo o sia stanco quando in realtà non lo è, il risultato sarà una situazione di confusione e smarrimento; al bambino viene impedito di imparare a gestire i bisogni legati al cibo, di distinguere la sensazione “della fame” da altre tensioni e bisogni, tra fame e soddisfazione, tra bisogni nutrizionali ed altre sensazioni di disagio e tensioni. Quando le prime esperienze sono negative e confondenti, interferiscono con l’abilità di riconoscere le sensazioni di fame e sazietà e non permettono di distinguere il desiderio del cibo da altri sgradevoli segnali che sono legati ad altri conflitti e problemi. Sono proprio i genitori che devono aiutare il bambino a sviluppare una sensibilità adeguata verso l’impulso della fame, in modo che egli la riconosca come precisa sensazione.

Il cibo andrebbe offerto quando il piccolo è fisicamente affamato e non dovrebbe essere mai usato come ricompensa né trattenuto per punizione. Ascoltare per comprendere le sensazioni e le esigenze del bambino per rispettarle diviene il compito fondamentale dei genitori: i bambini devono alimentarsi guidati dallo stimolo della fame e smettere quando si sentono sazi.

Non andrebbero costretti a farlo quando si rifiutano, né tanto meno i genitori dovrebbero conferire al mangiare un’enfasi eccessiva, soprattutto quando il bambino tende a manifestare un’opposizione.

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