Il Consultorio Antera propone un incontro nella sede di Fiumicino allo scopo di far chiarezza sulla figura professionale dello psicologo, per poter decidere liberamente se usufruire del suo aiuto.
L'incontro si struttura con spezzoni di film e vignette umoristiche che trattano dell'argomento.
Per ragioni organizzative è necessaria la prenotazione
La “fame nervosa”, anche chiamata “emotional eating” dagli studiosi, descrive situazioni vissute da alcuni soggetti che tendono a mescolare le emozioni con l’assunzione di cibo e usano quest’ultimo per far fronte a tutte le situazioni negative quotidiane. Usare il cibo per riempire vuoti emotivi, come sfogo contro le frustrazioni o come lenitivo contro gli stati dolorosi, è una soluzione semplice e comunemente usata da molte persone, ma non per questo salutare né efficace. Infatti la sensazione di benessere e sazietà dopo esserci abbuffati è solo uno stato illusorio, poiché è stato dimostrato che gli stati emotivi negativi attivano la fame nervosa, che a sua volta provoca un peggioramento dell’umore, il quale contribuisce a stimolare nuovamente la fame nervosa, instaurando così un circolo di mantenimento delle abbuffate e di alimentazione incontrollata. Tali meccanismi potrebbero costituire fattori di rischio per lo sviluppo di disturbi alimentari come la bulimia nervosa e il disturbo da alimentazione incontrollata (binge eating disorder). Il legame tra cibo ed emozioni è ormai assodato, anche se questo non attesta necessariamente la presenza di gravi problemi psicologici negli individui che soffrono di fame nervosa.
L’emotional eating è caratterizzata da vari stili alimentari e diverse motivazioni ed emozioni sottostanti, andiamo ora a descrivere alcune situazioni possibili e quali sono i momenti più a rischio.
● MANGIATORI TRISTI: il soggetto triste tende ad usare il cibo come consolazione o come sostituzione di un piacere privatogli. La tristezza rappresenta la risposta fisiologica dell’organismo ad eventi spiacevoli, perdite e delusioni. Non è sicuramente una sensazione piacevole, ma può rivelarsi utile per aggiungere significato alla nostra vita, e cmq dopo un periodo limitato scompare e si torna alla normalità.
● MANGIATORI ANSIOSI: le persone ansiose cercano di alleviare i sintomi di sudorazione, agitazione, tensione, irrequietezza attraverso il cibo, soprattutto se lo stato d’ansia deriva dall’ apprensione o dalla preoccupazione per un evento futuro.
● MANGIATORI ANNOIATI: la noia è forse la forma più comune di mediazione emozionale nell'alimentazione ed è spesso associata alla fame nervosa. Per alcune persone il cibo è l’unico motivo per interrompere un'attività noiosa o per riempire del tempo libero. La noia non ha dei sintomi evidenti, quindi potrebbe essere molto difficile in questo caso individuare il problema.
● MANGIATORI SOLI: il cibo in questo caso è usato per compensare una mancanza, come un compagno, un amico o semplicemente qualcuno con cui condividere le proprie emozioni. L’aumento di peso che ne consegue però, non può far altro che peggiorare questa situazione poiché accresce le difficoltà di instaurare relazioni sociali.
● MANGIATORI ARRABBIATI: in questo caso il cibo ha due diverse funzioni, a seconda del tipo di situazione, per reprimere forme di gelosia, frustrazione o risentimento. 1) mangiare per ridurre la rabbia scaricando e sfogando le emozioni negative sul cibo quando non si riesce ad ottenere ciò che si desidera; 2) mangiare per esprimere la propria rabbia quando sia ha timore di farlo a parole.
● MANGIATORI CELEBRATIVI: sono persone alle quali risulta difficile gioire di qualcosa senza abusare con il cibo. Chi usa il cibo per migliorare la propria vita sociale, ha molte difficoltà a prendere parte a eventi senza mangiare o bere in eccesso.
● IN UFFICIO: il lavoro è un'attività che spesso provoca emozioni quali ansia, stress, noia, nervosismo, frustrazione, ecc. le quali potrebbero portare all'assunzione smodata di cibo come apparente soluzione.
● NEL WEEKEND: nei giorni in cui si rimane a casa dal lavoro, esempio il weekend, spesso si instaura un meccanismo di “premiazione” che porta ad abbuffate seguite dai sensi di colpa del lunedì.
● DURANTE LA SERA E LA NOTTE: lasciarsi andare a mangiate eccessive nelle ore serali è un problema molto comune. Questa abitudine potrebbe essere causata sia da un comportamento alimentare eccessivamente rigido durante il giorno, sia da un aumento delle emozioni negative in quel lasso temporale.
La cura della fame nervosa richiede generalmente un percorso che affronti più aspetti. Da un lato è fondamentale riconoscere gli stati emotivi ed identificarli. Attraverso questo processo è possibile orientare i propri comportamenti rispetto agli stati d'animo. In secondo luogo, è importante imparare a gestire le proprie scelte. La particolarità delle problematiche psicologiche legate al cibo richiede un trattamento specializzato da parte di un professionista che abbia una reale esperienza in materia ed una formazione adeguata. Il Consultorio Antera Onlus da sempre affronta le tematiche dei disturbi dell'alimentazione incontrollata e periodicamente organizza laboratori e gruppi di sostegno e terapia per persone con problematiche legate al cibo, fame nervosa, sovrappeso e obesità. Per informazioni e prenotazioni inviate una richiesta attraverso questo link.
E' importante comunque sottolineare come la fame nervosa possa essere vissuta da chiunque e in qualsiasi situazione, ma ciò non necessariamente comporta un disturbo patologico. Nel momento in cui tali comportamenti iniziano ad influire in modo significativo sulle attività quotidiane e vengono attuati in diversi contesti diversi per un tempo prolungato, diviene opportuno rivolgersi a figure esperte con le quali affrontare
Chiedere aiuto ad un'altra persona è una delle circostanze più difficili da realizzare. Spesso ci si arriva quando sono passati anni di apatia,angoscia o dolore, talvolta anche gli anni di una vita, spesa ad aspettare qualche barlume che non sempre arrivava!Decidere di chiedere un aiuto psicologico diventa la possibilità di dare una svolta, per cercare di risolvere uno stato di sofferenza, ma talvolta si accompagna ad altri vissuti, pensieri, motivazioni che possono rendere difficile proprio il raggiungere quel che ci serve, così come il farsi aiutare. Ad esempio può significare ammettere di non esserci riusciti da soli,quindi il dover fare i conti col vissuto di fallimento, con la paura di essere senza speranze, col bisogno di fidarsi di qualcuno che potrebbe anche tradirci .E' anche un po' come tornare al tempo in cui, da bambini, si chiedeva aiuto ai genitori, e non tutti hanno un buon rapporto con la propria infanzia.Tal volta la domanda si accompagna a strani "collegamenti", profondamente emozionali, che all'inizio non sono per niente chiari e che fanno perdere molto tempo rispetto al trovare il luogo giusto della cura .Quante volte ho sentito madri chiedere perché dovevano portare il figlio dallo psicologo e non dalla logopedista, visto che aveva problemi di scrittura, oppure chiedere perché lo psicologo se il problema è gastrico,o cardiaco, oppure un 'artrite reumatoide, ….ecc .Quando il sintomo è nel corpo che soffre, si pensa che il problema sia medico - organico; se il problema è a scuola si ritiene di dover coinvolgere un insegnante; se la preoccupazione riguarda il numero di incidenti stradali si tagliano le piante, si aumentano i controlli della polizia…ecc.Se da un lato il rischio è di sottovalutare il peso della sofferenza fisica, evitando le giuste cure, altre volte il rischio è di sottovalutare la componente di dolore psicologico, il dramma individuale, lasciandolo così lievitare inascoltato. Solo un 'analisi complessiva potrà aiutare a trovare soluzioni pratiche ed incisive. Altre persone hanno problemi psicologici e non ne sono abbastanza consapevoli. Spesso succede di accorgersi che qualcuno a noi vicino sta male e ci chiediamo che fare, senza sapere bene qual è la scelta giusta in momenti così!Purtroppo c'è anche molta disinformazione sulle possibilità di cura. Altre volte sono i pregiudizi o la cattiva informazione che blocca, come quando si attribuisce l' origine del dolore a difetti genetici rendendolo non risolvibile .E ancora, per altri è troppo doloroso ammettere a sé o agli altri di dover ricorrere all'aiuto di un altro; per altri il timore è di non reggere il peso di una conoscenza inutilmente dolorosa se non si può fare nulla per cambiare. C'è poi chi non ha fiducia nei farmaci e nelle psicoterapie in genere e chi ritiene nella sua efficienza che il problema sia degli altri,che non sono sufficientemente coerenti o perfezionisti in quel che fanno,dimenticandosi di chiedersi come stanno vivendo questa vita.Una montagna di difficoltà, quindi, che pure centinaia di persone riescono a superare, per poter trovare quel che cercano, accettando di farsi aiutare per poter finalmente arrivare al loro obiettivo.La ricerca del piacere e l'evitamento della sofferenza sono le principali forze che ci guidano nella vita, come già Freud sottolineava all'inizio del 1900. Che la vita sia fatta anche di sofferenze si sa, è inevitabile, e non certo per questo diventiamo tutti "anormali", malati o patologici.La sofferenza "diventa patologica quando non viene utilizzata per cambiare", come sottolineano Lorenzini e Sassaroli. Secondo gli autori, la capacità di cambiare è il miglior indice di buona salute, e si misura in due modi: cercando di raggiungere in modo diverso i propri obiettivi quando sono ostacolati, oppure rinunciando vi. Indubbiamente c'è qualcosa che non funziona se col tempo non si riesce a trovare il modo per ottenere ciò cui si aspira, o se si continua ad aspirare a ciò che non si riesce ad ottenere, o se il "prezzo emotivo che si paga" per ottenere qualcosa di importante è sempre troppo alto. Capire in che modo i propri stati d'animo sono collegati a situazioni che si stanno vivendo in genere è molto utile per conquistare un certo livello di realizzazione personale e di benessere.L'efficacia della psicoterapia, d' altra parte, è dimostrata dal miglioramento dei problemi psicologici per cui si è cercato aiuto (es .diminuisce la tristezza, sparisce l' umore depresso, si recupera il desiderio di lavorare, si ritrovano nuovi e vecchi interessi), dalla fiducia in sé e nelle proprie capacità, intesa come un sentirsi meno in balia degli eventi che suscitano il problema e più protagonisti della propria vita. Viene così sfatato il mito che solo chi impazzisce va dallo psicologo e, anzi, proprio chi non vuole "impazzire", dopo aver superato 1000 dubbi, alla fine ci riesce a farsi aiutare, e quando ci riesce, è già sulla strada dello star bene!
Ogni giorno le nostre azioni vengono determinate dall'atteggiamento mentale, dai ritmi, dalle abitudini e dalla filosofia di vita con i quali affrontiamo la nostra esistenza, ma tutto ciò è anche il risultato dei condizionamenti ereditati dall'infanzia, dalla famiglia e dalle esperienze vissute.
A volte può succedere che il nostro “metodo”, che fino a ieri aveva funzionato, ad un certo punto non vada più bene, perché la situazione può essere diversa, oppure perché il risultato non ci soddisfa più, o magari perché rappresenta uno sforzo eccessivo e richiede un prezzo troppo alto.
Si può chiedere aiuto in questo momento, rivolgendosi ad uno specialista per dipanare i propri dubbi: lo psicologo può essere colui che ha delle informazioni e conoscenze utili per il nostro star bene, per curare le ferite, i traumi e le delusioni della vita; ma anche per aiutarci a scoprire ed utilizzare la ricchezza che è dentro ognuno di noi: si può “prevenire” tramite il “conoscersi” e questo significa concedersi la libertà di essere se stessi.
Aver voglia di impegnarsi per “vivere pienamente la propria esistenza” è una forma di maturità e di coraggio. L'alternativa al pessimismo, allo stress ed alla frustrazione è la scelta di conquistarsi la serenità con se stessi, con l'ambiente e con gli altri.
Ognuno di noi ha le capacità e soprattutto il diritto di essere un “uomo” o una “donna” felice.
Molte volte il decorso psicoterapeutico si evolve con il cambiamento di assetto di seduta: dalla seduta individuale, alla seduta di gruppo. Ciò avviene, quando indicato, in una fase avanzata della terapia, dopo avere analizzato il suo significato nelle sedute individuali e sempre subordinatamente all'accettazione del paziente.
Il passaggio dalla psicoterapia in seduta individuale alla psicoterapia in seduta di gruppo, rappresenta una evoluzione migliorativa. Infatti raramente una persona può entrare in un gruppo già all'inizio del trattamento, anzi, questo è spesso controindicato. Quando invece il paziente ha conseguito nella terapia individuale un sufficiente controllo cognitivo dei suoi processi mentali, di solito è pronto ad accedere alla fase superiore della psicoterapia, effettuata in un gruppo. Nella psicoterapia in gruppo, infatti, sarà molto di più, possibile trattare dal vivo le difficoltà della persona, così come si esprimono nelle relazioni sociali. Inoltre egli potrà condividere con altri pazienti in analisi, non tanto situazioni simili, poichè ogni persona ha ovviamente una condizione situazionale diversa dall'altra, ma i processi mentali che conducono alla sintomatologia, che invece sono comuni e molto simili, in quasi tutte le persone che soffrono di disturbi psichici. Il passaggio in gruppo dunque incrementa la forza e l'efficacia della terapia.
Inoltre è anche vantaggiosa sul piano quantitativo, poichè un incontro di gruppo ha una durata molto più elevata di una seduta individuale e nonostante ciò, la parcella è più bassa, consentendo anche un risparmio economico. La psicoterapia in gruppo si svolge in un salone arredato con tappeti, molti cuscini, tendaggi e divani. Le persone, incluso il terapeuta staranno scalzi e potranno posizionarsi comodamente e liberamente, affinchè per tutta la durata dell'incontro di gruppo, possano sentirsi liberi nell'espressione e nell'analisi che dovranno fare con l'analista e i compagni di gruppo.
Le sedute, nella maggior parte dei casi, hanno la cadenza di una volta alla settimana.
Esse si programmano in anticipo e si pianificano esattamente nei giorni e negli orari. Nella maggior parte dei casi non sarà poi facile cambiare e modificare giorni e orari delle sedute prefissate: questa procedura contribuisce a stabilizzare il rapporto formale con lo psicoterapeuta. La stabilità del rapporto formale, che avviene anche con la pianificazione anticipata delle sedute, fornisce un contenitore rassicurante e protettivo al paziente ed è anche molto utile per l'organizzazione clinica dello psicoterapeuta, a tutto vantaggio dei pazienti in trattamento, poichè ovviamente il terapeuta dedica un numero di ore definito all'attività di ricevimento dei pazienti in psicoterapia presso lo studio privato e facilmente può accadere che a volte richieste urgenti non trovino spazi per un consulto immediato.
Al termine delle prime tre sedute diagnostiche che seguono il primo colloquio, sia l'utente che lo psicoterapeuta sapranno, ovviamente, molto di più e a quel punto sarà molto più chiaro il percorso da seguire. Vi sono dei casi che possono esitare in un risultato soddisfacente in modo molto rapido e breve, anche, eccezionalmente, soltanto dopo queste prime sedute. In questo caso il trattamento è concluso. Ma questi sono casi molto rari. La maggior parte delle volte occorre proseguire. In questi casi il terapeuta dirà chiaramente, data la diagnosi definita, quale tipologia di trattamento è indicata. Infatti le tecniche e i metodi terapeutici sono diversi e si possono stabilire solo dopo che la diagnosi iniziale è stata completata.
Statisticamente la maggior parte delle persone necessitano di essere trattate in sedute di psicoterapia analitica e/o cognitiva, poichè questo rappresenta il mezzo più utile ed efficace nella maggior parte delle condizioni di disturbi psicologici ansiosi e ansioso-depressivi, disturbi di personalità, del comportamento alimentare e disfunzioni sessuali psicogene.
In altri casi può essere indicato, isolatamente o abbinati alla psicoterapia di base, un trattamento ipnotico, oppure psicosomatico ( training di rilassamento, biofeedback, ecc ), oppure comportamentale come il decondizionamento. In altri casi è sufficiente soltanto il trattamento psicofarmacologico. Tuttavia a prescindere dal metodo psicoterapeutico necessario per la data persona, gli psicofarmaci molto spesso devono essere somministrati in abbinamento alla psicoterapia, poichè essi hanno lo specifico scopo di contenere e controllare i sintomi, mentre con la psicoterapia si procede per il miglioramento della funzione psicologica cognitiva, emotiva e comportamentale.
E' necessario avere chiarezza circa il fatto che la maggior parte delle volte le persone affette dai più comuni disturbi psicologici, quali disturbi d'ansia, depressione, fobie, ossessioni e compulsioni, disturbi psicosessuali, disturbi della personalità, disturbi dell'alimentazione come anoressia e bulimia, disturbi psicosomatici, disturbi sessuali psicogeni come insufficienza erettiva, eiaculazione precoce, disturbi dell'orgasmo nella donna, necessitano inderogabilmente della psicoterapia. In questi casi occorre proseguire con sedute settimanali, dopo le prime tre di cui sopra. Ciò non implica che coloro i quali necessitano di psicoterapia, non necessitino anche di altri mezzi collaterali, come gli psicofarmaci, o tecniche di rilassamento, o altro, ma la psicoterapia rappresenta il corpo centrale e fondamentale della cura.
Per continuare in psicoterapia, la persona seguirà la seguente prassi:
Generalmente l'utente che si rivolge ad uno studio privato di psicoterapia, o ad un servizio pubblico di psicologia clinica, è una persona che versa in una delle seguenti condizioni:
una condizione acuta sintomatologica sono tutti i casi in cui la persona soffre acutamente dei sintomi che sorgono dalla sua pregressa condizione di disturbo psicologico
disagio psicologico e/o situazionale sono tutti i casi in cui la persona, spesso pur disturbata psicologicamente, non accusa sintomi acuti, ma lievi o non stabilizzati e attribuisce il proprio disagio a qualche situazione esterna a sè
necessita di consigli, pareri e indicazioni sono tutti i casi in cui la persona, se disturbata, nega il disturbo e trasforma la richiesta di aiuto sotto forma di consiglio, oppure effettivamente non disturbata, necessita di semplice consulenza
Conviene dunque distinguere fra psicoterapia e consulenza psicologica. Ecco alcuni chiarimenti preliminari sulle figure sanitarie adibite a psicoterapia e consulenza psicologica:
La psicoterapia può e deve essere esercitata soltanto da laureati in psicologia e/o medicina, qualificati o specializzati in psicoterapia, di solito secondo un percorso che, dopo la laurea, è costituito dalla specializzazione in psicologia clinica e/o psichiatria e quindi anche in psicoterapia.
Chi non possiede la laurea in psicologia o medicina e inoltre le suddette specializzazioni o qualificazioni, non è autorizzato a prendere in cura nessuno, praticando la psicoterapia ( fanno ancora tuttora eccezione alcuni psicoterapeuti professionalmente anziani, che iniziarono quando le attuali norme non erano in vigore e sono stati autorizzati a continuare ad esercitare, anche se non in possesso dei requisiti adesso obbligatori ).
Attualmente invece, un laureato in psicologia non specializzato, o un laureato in medicina non specializzato, oppure se specializzati in altro, ma non in psicoterapia, non sono psicoterapeuti e non devono curare con la psicoterapia. A questo proposito un equivoco frequente è dato, ad esempio, per gli psichiatri e i neurologi, che pur essendo gli specialisti più contigui allo psicoterapeuta, se non sono qualificati in psicoterapia, non sono psicoterapeuti.
Un utente informato, ha il diritto di accertarsi delle specializzazioni e delle qualificazioni dello psicologo e del medico, prima di affidarsi alle sue cure, assolutamente diffidando di qualunque altra figura che non corrisponda alla descrizione suddetta.
La consulenza psicologica può e deve essere esercitata soltanto dai laureati in psicologia, abilitati all'esercizio della professione, a differenza della psicoterapia che può essere praticata anche dai medici specializzati. Nessun' altra figura può sostituirsi allo psicologo per le consulenze e i pareri psicologici, per le psicodiagnosi, le valutazioni attitudinali, gli orientamenti e quanto altro previsto dalle apposite leggi. Le figure contigue allo psicologo, come il medico, lo psichiatra, il sociologo, l'assistente sociale, il filosofo, il giornalista, il sacerdote e così via, non possono fornire consulenze, psicodiagnosi, orientamenti e pareri psicologici. Anche se, ovviamente, ciascuno è libero di fornire la propriaopinione.
L'opinione personale, tuttavia, anche se colta e derivante dall'esperienza, non va confusa con il professionale parere psicologico, nè con la vera e propria consulenza psicologica.
La maggior parte delle persone che accedono allo specialista psicoterapeuta, sono persone che necessitano di cure e terapia e solo alcune volte di consulenza.
Gli Psicologi che sono impegnati nelle strutture pubbliche del Servizio Sanitario Nazionale o in strutture private convenzionate hanno per legge l'obbligo di una formazione continua specifica, attraverso il cosiddetto “programma E.C.M.” (Educazione Continua in Medicina) che si basa su “crediti formativi” valutati dal Ministero della Salute.
L'orientamento attuale è di estendere l'obbligo di tale formazione anche agli Psicologi liberi professionisti, specie se abilitati alla psicoterapia. In ogni caso gli Psicologi hanno da sempre una tradizione che porta a dedicare un congruo periodo di tempo alla propria formazione continua attraverso corsi, convegni, seminari e la supervisione di casi clinici. Tutto ciò sia per garantire a se stessi le capacità professionali richieste dalla rapida evoluzione che la Psicologia ha subito in questi anni, sia per garantire ai cittadini risposte e prestazioni corrette, competenti ed efficaci.
Lo Psicologo-psicoterapeuta collabora con altri professionisti: il medico di base, il pediatra, lo psichiatra, il dietologo, il giudice, l'avvocato, l'insegnante, l'assistente sociale, l'educatore professionale ecc.
Numerosi studi e ricerche internazionali hanno dimostrato che varie patologie si giovano di un intervento congiunto psicoterapico e farmacologico. E' quindi fortemente consigliato affrontare l'aspetto psicoterapico e quello farmacologico con due figure di riferimento distinte, ma disposte alla collaborazione. I protocolli e le ricerche internazionali dimostrano che, ad esempio, per la depressione od altri disturbi quali tabagismo, alcoolismo e tossicodipendenze, l'interazione tra Psicologo-psicoterapeuta e medico porta a risultati maggiormente efficaci.
Lo Psicologo-psicoterapeuta é quindi uno Psicologo abilitato ad esercitare la psicoterapia dopo aver acquisito un'ulteriore formazione specialistica. La specializzazione in psicoterapia dura almeno 4 anni (che, con i 5 anni di Università e l'anno di tirocinio, porta ad almeno 10 gli anni di formazione) e viene conseguita tramite corsi Universitari o privati riconosciuti dal Ministero dell'Istruzione, Università e Ricerca.
La Legge 56/89 infatti, nell'articolo 3 comma 1 sancisce: "L'esercizio dell'attività psicoterapeutica é subordinato ad una specifica formazione professionale, da acquisirsi, dopo il conseguimento della laurea in Psicologia o in medicina e chirurgia, mediante corsi di specializzazione almeno quadriennali che prevedano adeguata formazione e addestramento in psicoterapia, attivati ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 10 marzo 1982, n. 162, presso Scuole di specializzazione universitaria o presso istituti a tal fine riconosciuti con le procedure di cui all'articolo 3 del citato Decreto del Presidente della Repubblica".
Le Scuole di Specializzazione fondano il loro insegnamento su vari tipi di approccio, fornendo una preparazione specifica e diversificata sulla base degli indirizzi teorici a cui si riferiscono.
La Psicoterapia è un processo condiviso e strutturato che intende affrontare e ridurre i disagi, la sofferenza psicologica, le disarmonie della personalità e delle relazioni, i sintomi psicopatologici, analizzando ed affrontando serenamente le loro motivazioni. Lo Psicologo-psicoterapeuta lavora con il singolo o con il gruppo cercando di modificare in profondità l'equilibrio del sistema psicologico ed i suoi meccanismi di funzionamento di base, oppure lavorando sulle dinamiche di tipo relazionale dei soggetti.
Il colloquio è lo strumento comune a tutte le aree teoriche e si avvale delle tecniche proprie di ciascuna.
Capita di frequente di imbattersi in domande di questo genere: "Che differenza c'è fra Psicologo e Psichiatra?” oppure: "Che differenza c'é tra Psicologo e Psicoterapeuta?". E' bene, quindi, fare chiarezza al riguardo, per evitare malintesi e informazioni fuorvianti.
Dello Psicologo si é detto che è un professionista iscritto all'Albo, con le competenze indicate dall'art. 1 della Legge 56/89, che ha effettuato il percorso formativo sopra descritto.
Lo Psicoterapeuta invece é uno Psicologo o un Medico abilitato anche a svolgere attività di psicoterapia dopo aver frequentato un'ulteriore scuola di specializzazione (molti psicoterapeuti proseguono la propria formazione attraverso supervisioni cliniche dei casi in trattamento).
Appare pertanto più opportuno parlare di “Psicologo-psicoterapeuta” o di “Medico-psicoterapeuta”.
Lo Psichiatra, infine, ha un percorso differente: è laureato in Medicina, ed ha una specializzazione in Psichiatria con una formazione di base prevalentemente “medico-farmacologica".