In una società dove l’aspetto diventa sempre più importante, si sta abbassando sempre di più l'età media in cui si manifestano i primi sintomi legati ai disturbi alimentari, primo campanello d’allarme.
La cultura predominante sembra spingerci in questa direzione, ma il corpo non è tutto e quando lo sguardo dell’altro diventa uno specchio deforme dobbiamo stare attenti all’impatto che le immagini di bellezza e perfezione possono avere sulla crescita individuale.
Nell’era 4.0 sono le immagini a comunicare, più delle parole, il che lascia presupporre che si dia più rilevanza all’involucro che al suo contenuto e questo oltre ad essere impensabile è anche pericoloso.
Ecco qui qualche dato: ogni anno si registrano 8.500 nuovi casi di persone che si sono ammalate di un disturbo alimentare e ad ammalarsi sono soprattutto le donne, con un’incidenza del 95%. Secondo gli esperti inoltre, anoressia e bulimiahanno un esordio prevalentemente adolescenziale. Altri disturbi, come ad esempio il Binge-Eating (detto anche Bed – acronimo dell’inglese Binge Eating Disorder, Disturbo da alimentazione incontrollata) caratterizzato da abbuffate che ricorrono ciclicamente, possono avere una comparsa più tardiva.
Il più diffuso, tra i disturbi alimentari nei bambini, è il comportamento selettivo, Arfid (disturbo evitante/restrittivo dell’assunzione del cibo) per cui i bambini mangiano solo alcune tipologie di cibi, escludendo tutte le altre. La scelta viene fatta in modo abbastanza casuale, per categorie che possono essere il colore o il tipo di consistenza: ci sono bambini che mangiano solo cibi bianchi, altri che mangiano solo cibi semi-solidi come frullati o pappine, altri ancora, per esempio, solo pasta al pomodoro e hamburger. Immediatamente dopo abbiamo la neofobia, cioè la paura dei cibi nuovi.
Attenzione, se vostro figlio/a fa qualcosa di simile a quanto descritto sopra non significa che soffre di certo di un disturbo alimentare.
E' importante prestare attenzione al comportamento alimentare dei bambini, ma senza entrare subito in allarme, se ci sono delle “anomalie” cercate di comprenderne le cause, tanto più che gli esperti ritengono che fino ai 4/5 anni alcune di queste difficoltà con il cibo possono essere ritenute normali, la linea di confine tra normalità e disturbo può essere molto sottile: se un bimbo, che ha superato i 4/5 anni è semplicemente un po’ schizzinoso, magari protesterà anche in modo energico all’introduzione della nuova pietanza, ma accetterà di assaggiare e mangiare un cibo nuovo. Un bambino con disturbo selettivo, invece, molto difficilmente mangerà qualcosa di diverso: piuttosto andrà a letto senza cena.
Come nell’adolescente, anche nel bambino il disturbo alimentare può essere il sintomo di uno stato di disagio, che può avere varie cause: può esserci stato un lutto importante, oppure l’arrivo di un fratellino vissuto in modo molto complicato, delle difficoltà emotive e relazionali, tutti aspetti che si traducono concretamente in difficoltà nella relazione con il cibo.
Il cibo non è solo nutrizione, ma anche relazione. Se dall’alimentazione si toglie l’aspetto relazionale, è possibile che l’alimentazione stessa diventi un ambito di tensione.
Un altro segnale potrebbe essere il rifiuto del bambino a partecipare a occasioni sociali – feste di compleanno degli amici, cene di classe – che lo mettono in difficoltà perché si rende conto di avere con il cibo un rapporto diverso rispetto a quello dei coetanei.
Allo stesso tempo però c’è anche poca attenzione generale all’alimentazione dei bambini. Non solo si sta poco attenti alla qualità di quanto gli si propone, con il cibo spazzatura che impazza anche tra i più piccoli, ma gli stili di vita degli adulti, sempre molto impegnati fuori casa, fanno sì che spesso i bambini mangino da soli e questo di certo non può essere un beneficio per nessuno, tanto meno per un bimbo.
Occorre restituire all’alimentazione l’importanza che ha, sia rispetto alla scelta e alla preparazione degli alimenti, sia rispetto al suo ruolo relazionale.
Poiché si tratta di disturbi complessi, con origine multifattoriale, non esistono rimedi semplici e provati al 100% per la loro prevenzione, ci sono però degli atteggiamenti che possono aiutare molto:
Ad esempio:
Ritrovate il piacere della spontaneità e della cura, che si parli di cibo e/o relazioni … “Provate ad essere come bambini. Non fate le cose perché sono assolutamente necessarie, ma liberamente e per amore. Tutte le regole a quel punto diverranno una specie di gioco.” (Thomas Merton)”
Il Consultorio Antera Onlus può offrire un supporto specializzato alle famiglie che vivono delle difficoltà con i lori figli legate al cibo, valutando per ogni situazione la specificità di un intervento che possa essere supportivo. Se desideri maggiori informazioni o avere un confronto con un nostro Psicologo Infantile sulla tematica contattaci, saremo lieti di risponderti il prima possibile.
Alcune difficoltà o disturbi dell’alimentazione che si manifestano nel corso dell’infanzia hanno un’evoluzione positiva e sono limitati nel tempo, altre determinano problemi di crescita o interferiscono con il normale funzionamento della vita familiare e scolastica e tendono a persistere anche durante l’adolescenza e l’età adulta: alcuni comportamenti, come mangiare senza piacere, mangiare troppo poco, o le dispute familiare sul cibo aumentano il rischio di sviluppare l’anoressia nervosa.
Il manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM-IV) classifica i Disturbi della Nutrizione e dell’Alimentazione dell’Infanzia e della Prima Fanciullezza in tre gruppi:
La base per lo sviluppo di un disturbo del comportamento alimentare ha origine spesso durante il primo anno di vita e l’educazione impartita dai genitori in questo senso potrà avere un ruolo decisivo nella reale comparsa o meno del disturbo. Inoltre ricordiamo che nutrire un bambino rappresenta un’importante forma di comunicazione tra i genitori e il figlio, importantissimo per il suo sviluppo; l’ambiente circostante deve rispondere prontamente alle necessità del bambino aiutandolo ad organizzare le varie informazioni che riceve per poterle comprendere ed interpretare. Prima di acquisire tale padronanza il bambino non è in grado di differenziare i suoi bisogni e i suoi impulsi, e se non è aiutato a farlo, crescerà confuso privo della capacità di distinguere le esperienze biologiche da quelle emotive.
Chi si prende cura di lui, quando avverte il suo bisogno di nutrizione, espresso ad esempio attraverso il pianto, gli offre il cibo, e così, gradualmente, il piccolo impara a distinguere la sensazione “della fame” da altre tensioni e bisogni.
Ma se la reazione dell’adulto non è adeguata, se questa comunicazione risulta essere continuamente difettosa come ad esempio quando il genitore crede che il bambino sia affamato, abbia freddo o sia stanco quando in realtà non lo è, il risultato sarà una situazione di confusione e smarrimento; al bambino viene impedito di imparare a gestire i bisogni legati al cibo, di distinguere la sensazione “della fame” da altre tensioni e bisogni, tra fame e soddisfazione, tra bisogni nutrizionali ed altre sensazioni di disagio e tensioni. Quando le prime esperienze sono negative e confondenti, interferiscono con l’abilità di riconoscere le sensazioni di fame e sazietà e non permettono di distinguere il desiderio del cibo da altri sgradevoli segnali che sono legati ad altri conflitti e problemi. Sono proprio i genitori che devono aiutare il bambino a sviluppare una sensibilità adeguata verso l’impulso della fame, in modo che egli la riconosca come precisa sensazione.
Il cibo andrebbe offerto quando il piccolo è fisicamente affamato e non dovrebbe essere mai usato come ricompensa né trattenuto per punizione. Ascoltare per comprendere le sensazioni e le esigenze del bambino per rispettarle diviene il compito fondamentale dei genitori: i bambini devono alimentarsi guidati dallo stimolo della fame e smettere quando si sentono sazi.
Non andrebbero costretti a farlo quando si rifiutano, né tanto meno i genitori dovrebbero conferire al mangiare un’enfasi eccessiva, soprattutto quando il bambino tende a manifestare un’opposizione.