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Che cosa sono le Emozioni?
Nel film “Inside Out” la Disney Pixar affronta il tema delle emozioni, nello specifico quelle di base come paura, gioia, rabbia, tristezza e disgusto, mostrando il loro ruolo e importanza nel quotidiano delle nostre vite. Il film ci ricorda che tutte le emozioni, anche quelle sgradevoli, sono degne di attenzione e vanno esplorate al fine di comprendere meglio i significati delle cose e capire cosa vogliamo o non vogliamo.
Spesso parliamo e sentiamo parlare di emozioni, ma sappiamo veramente spiegarle? Pur non essendoci una definizione scientifica univoca, potremmo descriverle come brevi, involontarie, totalizzanti risposte complesse dell’organismo ad eventi interni ed esterni rilevanti. La loro natura multisistemica implica il coinvolgimento di diverse componenti:
- la valutazione cognitiva o appraisal, cioè l’interpretazione da parte dell’individuo di un determinato antecedente emotigeno
- il comportamento ovvero le risposte verbali e non verbali e le azioni
- le risposte fisiologiche o arousal dell’organismo (variazioni nella frequenza cardiaca e respiratoria, sudorazione, pallore, rossore, etc.),
- il vissuto soggettivo o vulnerabilità emotiva agli stimoli
Ai fini del benessere personale, quando proviamo una determinata emozione in un determinato contesto che crea una situazione instabile, cerchiamo di modulare l’esperienza emotiva in modo tale da renderla coerente al contesto in linea con le nostre aspettative, attiviamo cioè un processo di regolazione emotiva.
Per regolazione emotiva si intende una serie di abilità che possono essere apprese sin dall’infanzia:
- riconoscere il tipo di emozione;
- inibire gli impulsi e i comportamenti inadeguati causati da emozioni, positive o negative, particolarmente intense;
- organizzare le proprie emozioni in modo coordinato in vista di un obiettivo;
- calmare in modo autonomo l’attivazione fisiologica indotta da forti emozioni;
- mantenere focalizzata la propria attenzione in presenza di emozioni forti
Tuttavia non sempre siamo in grado di ripristinare la stabilità interna in seguito all’attivazione di un’emozione, ma anzi ci sentiamo sopraffatti come se non riuscissimo ad agire un controllo su ciò che accade dentro di noi. Siamo in preda alla disregolazione emotiva.
Che cosa è la Disregolazione Emotiva?
La disregolazione emotiva è, malgrado gli sforzi compiuti, l’incapacità di avere una buona consapevolezza delle nostre emozioni, e soprattutto di fornire delle risposte adattive, di compiere azioni adeguate per regolare o ricondurre entro la norma gli stimoli, le esperienze, le risposte verbali e/o non verbali.
Qualora questa inabilità alla riorganizzazione emotiva si presenta per un’ampia gamma di emozioni e di contesti ed è caratterizzata da una severa vulnerabilità emotiva, cioè dalla tendenza a reagire in modo intenso e rapido di fronte a stimoli emotivi anche minimi e dal lento ripristino del tono emotivo di base, si parla di disregolazione emotiva pervasiva.
Le cause della disregolazione emotiva
Secondo il modello dello sviluppo biosociale dell’individuo, la disregolazione emotiva è il risultato della predisposizione biologica, del contesto ambientale e della combinazione di questi due fattori e del loro reciproco rinforzo che nel corso del tempo comporta l’acquisizione di caratteristiche individuali e strategie di coping disadattive.
Vediamo più nel dettaglio questi tre fattori:
- La predisposizione biologica: oltre a fattori biologici (ereditarietà, traumi natali, perinatali, o traumi neurologici, malattie occorse dopo la nascita, effetti delle esperienze precoci di apprendimento), esistono due dimensioni temperamentali particolarmente determinanti per lo sviluppo nel bambino di una severa vulnerabilità emotiva, e queste sono uno scarso effortful control (ovvero un insieme di comportamenti di autoregolazione) e un’affettività negativa (impulsività, frustrazione, incapacità di venire consolati)
- Il contesto ambientale, in particolare quello di cura familiare, può influenzare lo sviluppo del bambino sotto tre aspetti principali:
- la tendenza all’invalidazione delle emozioni associata ad una incapacità ad esprimerle attraverso modalità adeguate;
- uno stile di interazione che rinforza l’attivazione emotiva;
- una scarsa adeguatezza dello stile dei caregiver nei confronti del temperamento del bambino. Può accadere dunque che le richieste del bambino superino le capacità dell’ambiente familiare di fornire risposte.
- L’elemento particolarmente determinante è l’invalidazione in cui si coinvolgono in un circolo vizioso di rinforzo entrambi le parti: il bambino vulnerabile emotivamente, che usa l’espressione emotiva come sistema di comunicazione e se non ottiene una risposta adeguata intensifica l’emozione per rafforzare il messaggio comunicativo; il caregiver, che non recepisce o disconosce il messaggio comunicativo, rispondendo in maniera inappropriata, imprevedibile, insensibile, estrema (ipo o iper risponde). Un esempio di invalidazione è quando il bambino piange e il caregiver non si sintonizza con i bisogni di questo, provando a consolarlo o cercando di capirne la causa, ma lo zittisce con frasi del tipo “Smetti di fare il piagnucolone” o “non hai sete, hai bevuto poco fa”. Tale discrepanza nel tempo porta il bambino ad apprendere che le esperienze dolorose sono attribuibili a sue caratteristiche individuali negative, a non avere fiducia nella sua percezione ed interpretazione degli eventi interni ed esterni, e dunque ad acquisire comportamenti disadattivi ripetitivi.
La disregolazione emotiva e le sue implicazioni
La disregolazione emotiva, che ricordiamo consiste nell’inabilità a regolare l’attivazione emotiva, interferisce con lo sviluppo e il mantenimento del senso del sé, prodotto di un processo di auto-osservazione e di osservazione delle reazioni altrui alle proprie azioni, e che necessita di coerenza e prevedibilità emotiva.
Nei soggetti con disregolazione emotiva pervasiva si rileva un senso d’identità inadeguato, o a volte assente del tutto, con conseguente difficoltà relazionali interpersonali, poiché queste richiedono spontaneità nell’espressione emotiva, capacità di autoregolazione emotiva e di tolleranza degli stimoli emotivamente dolorosi. Tali soggetti possono sviluppare relazioni altamente caotiche ed anche divenire iperdipendenti dagli altri, di cui temono l’abbandono.
La disregolazione emotiva pervasiva ha anche implicazioni sul piano comportamentale, ovvero nel tentativo di regolare l’esperienza emotiva e indurre sollievo ad emozioni ingestibili, l’individuo attiva strategie disadattive, quali abuso di sostanze, tentativi autolesivi o suicidari, comportamenti impulsivi. Questi effetti della disregolazione emotiva e della disregolazione comportamentale si possono riscontrare tipicamente in pazienti con Disturbo Borderline di Personalità ma anche con Disturbi dell’Umore e Disturbi d’Ansia.
L’aiuto psicologico
Alla luce di quanto descritto si può concludere che chiedere un supporto psicologico possa essere un passo per ristabilire un benessere personale. Il trattamento psicoterapeutico può aiutare i soggetti con disregolazione emotiva ad esplorare il repertorio che mettono in atto per modulare le loro emozioni, identificare i meccanismi di funzionamento disfunzionali e lavorare sullo sviluppo di strategie di coping alternative e adeguate.
Il Consultorio Antera Onlus, nelle sedi di Roma, Monterotondo e Fiumicino offre la possibilità di incontrare psicoterapeuti esperti nell’ambito della disregolazione emotiva, accogliendo e accompagnando gli individui all'interno del proprio percorso terapeutico.
L’adolescenza è una fase evolutiva di transizione dall’età infantile a quella adulta, fondamentale per lo sviluppo dell’identità. Caratterizzata da rilevanti cambiamenti fisici, emotivi e psicologici, accoglie movimenti di scoperta di sé ed esplorazione del mondo che sono tipicamente associati a vissuti di incertezza e instabilità. L’attuale emergenza sanitaria implica un contesto fisico, sociale e culturale che rende ancor più complesso fronteggiare questo delicato momento evolutivo. Tale maggiore complessità riguarda sia il vissuto degli adolescenti, sia il vissuto di coloro che degli adolescenti devono prendersi cura.
La chiusura del primo lockdown, poi questo clima di pandemia e la nuova chiusura, si sono tradotti in una condizione di forte stress per adolescenti. Il Professor Stefano Vicari, Responsabile dell’Unità Operativa Complessa di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza, dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma ha rilevato come vi sia stato un netto aumento dei disturbi del sonno, così come situazioni di forte chiusura degli adolescenti, fino alla comparsa di quadri di ansia e di depressione, con aumento di atti autolesionistici e rischio di suicidio.
La solitudine: fattore di rischio primario
Possiamo riscontrare una differenza marcata tra il primo e il secondo lockdown. Nel primo caso si è associata una maggiore disponibilità a vivere le norme restrittive, nel senso che i ragazzi, in molti casi, hanno vissuto la chiusura delle scuole come un’anticipazione delle vacanze e poi, dato ancora più importante, in quel periodo i genitori erano nella maggior parte dei casi presenti in casa. Questo ha avuto una funzione di protezione.
Nella seconda ondata, invece, la chiusura delle scuole, almeno per la secondaria di secondo grado, ha coinciso con l’assenza dei genitori, che nella maggior parte dei casi avevano ripreso la propria attività lavorativa, o erano chiusi in qualche stanza di casa a destreggiarsi con lo smart-working. Questo probabilmente ha ridotto gli strumenti di difesa dei ragazzi, in qualche modo si sono sentiti più soli.
Negli adolescenti e preadolescenti, che vivono un’età in cui l’inclusione e l’accettazione nel gruppo di pari è meta essenziale da raggiungere, la chiusura forzata può aggravare quel senso di solitudine piuttosto frequente in fase dello sviluppo.
Di conseguenza, aumenta la propensione all’isolamento dei giovani con il rinchiudersi in camera e passare ore su internet, e la mancanza di contatti fisici con i pari finisce per trasformarsi in un fattore di rischio per conflitti in famiglia.
Questa situazione sta impedendo la piena interazione e la comunicazione degli studenti con i compagni di scuola, il gioco, gli esercizi e le attività tra pari, che sono vitali per la crescita, l’apprendimento e lo sviluppo delle giovani menti.
Adolescenti: quali difficoltà legate alla didattica a distanza
La fisicità della scuola è venuta meno e con essa ecco sparire un contenitore fondamentale che aiuta a mantenere la “barra a dritta”. Orari, verifiche puntuali, una routine di regole. Stare a casa si connette inevitabilmente a movimenti di “anarchia”.
Questa situazione amplifica una delle sfide più difficili ma anche più importanti che la scuola ha: rendere autonomi, consapevoli e protagonisti assoluti della propria maturazione di conoscenze i ragazzi. Purtroppo, ancora oggi, il sistema scolastico rimane ancorato al senso del dovere, dell’obbligo, del voto come obiettivo; spesso i ragazzi non si sentono protagonisti del loro processo di apprendimento ma contenitori di informazioni.
Il ruolo dell’insegnante direttivo che dalla cattedra detta la conoscenza, oltre ad essere criticato da tutte le moderne nozioni psicopedagogiche, non funziona per nulla bene a distanza. È necessario, soprattutto in questo momento, che possano essere motivati e coinvolti, incrementando anche la cooperazione fra compagni, seppur a distanza, e la possibilità di assumere una posizione attiva, supportando anche gli insegnanti in questo compito davvero arduo.
Quali sono i segnali di disagio degli adolescenti da tenere in considerazione?
Ecco alcune aspetti da monitorare, che possono aiutarci a cogliere dei segnali di disagio provenienti dai nostri ragazzi:
- Aggressività e labilità: un campanello di allarme rispetto alla presenza di un disagio può essere un insolito aumento di suscettibilità ed irascibilità. Gli adolescenti possono diventare intrattabili, rifiutandosi di essere collaborativi ed osteggiando ogni indicazione del genitore. Possono aumentare i litigi e le scenate, rendendo la convivenza un luogo di costante allarme: la tensione può divenire un clima emotivo difficile da rompere. Facilmente i genitori si sentono oggetti di odio dai propri figli, ma in realtà la famiglia è uno dei luoghi privilegiati in cui l'adolescente mostra il suo disagio senza filtri. Non bisogna leggere le sue reazioni come un attacco personale, ma come un possibile indicatore di malessere, a cui dovremmo prestare attenzione.
- Regressione: altre reazioni che possono verificarsi, del tutto contrarie alle precedenti, sono invece gli atteggiamenti infantili e regressivi. L'adolescente può avanzare delle richieste insolite di accudimento e vicinanza, chiedendoci aiuto e comportandosi "come se fosse un bambino". Potrebbero presentarsi improvvisi momenti di pianto inconsolabile ed apparentemente immotivato, oppure si può assistere ad una continua oscillazione di umore tra alti e bassi.
- Disagio a livello corporeo: un'altra importante manifestazione di disagio avviene attraverso il corpo, che si fa veicolo di messaggi importanti. Può esserci un'elevata tendenza alla somatizzazione, che può verificarsi nelle difficoltà a dormire o a riposare adeguatamente, in variazioni drastiche di appetito (dal digiuno prolungato alle abbuffate), nell'incapacità a concentrarsi, nella presenza di frequenti mal di testa o dolori corporei, disturbi gastrointestinali. Alcune conseguenze di questo possono essere continue oscillazioni di peso, la presenza di insolita fatica nello svolgere compiti quotidiani. Un ulteriore elemento a cui si può prestare attenzione è il livello di cura del proprio corpo e di trascuratezza, che in situazioni di stress elevato potrebbe arrivare a livelli di malcuria. Osserviamo il modo con cui gli adolescenti si prendono cura di sé e del loro modo di vestire.
Come dobbiamo comportarci di fronte al malessere che arriva dagli adolescenti?
- Offrire sostegno e protezione, ma alla giusta distanza: sicuramente il genitore ha il compito di proteggere il figlio, monitorarlo, rassicurarlo, sostenerlo. Tuttavia, questi compiti non possono espletarsi con le stesse modalità e con la stessa vicinanza e presenza fisica che venivano agite quando erano più piccoli. Per i genitori, diventa così importante imparare a tollerare dei confini e una distanza sufficiente che possa permettere al figlio di sentirsi sufficientemente libero. Dover trascorrere più tempo a casa limita necessariamente certi movimenti di esplorazione e autonomia, che tipicamente in questa fase evolutiva vengono agiti fuori dalle mura domestiche. Per quanto possibile, diventa quindi importante poter garantire ai propri figli degli spazi privati di esplorazione, rispettandone i confini sia in termini di tempo, che di spazio fisico.
- Allenare il loro senso di responsabilità: Per quanto risultino importanti lo spazio per la comprensione, il sostegno e il rispetto della distanza, è necessario al contempo una corretta sollecitazione del senso di responsabilità dell’adolescente. Questo può tradursi nel porre richieste pertinenti, come un compito di cui occuparsi in casa. È importante sollecitare il senso di responsabilità dei ragazzi, anche in riferimento al comportamento da tenere fuori da casa, al fine di promuovere l’adozione di comportamenti “salutari”.
- Mantenere una routine e porre dei limiti: le regole potranno essere rinegoziate e può essere utile sperimentare insieme la contrattazione di qualcuna di queste, magari assumendosi compiti reciproci precisi, come in una sorta di contratto. Infine, per promuovere l’adesione alle regole è utile tenere a mente l’importanza del rinforzo positivo, riconoscendo l’impegno del figlio e premiandolo quando agisce comportamenti rispettosi delle medesime. Da un lato tutti gli adolescenti sperimentano la trasgressione e devono provarsi anche al limite del lecito, tutti hanno violato norme e regole, fa parte del percorso di crescita. Ora è molto ridotta la possibilità di violare delle “norme normali”, tutto è esasperato. Occorre ad ogni modo che modulino questa necessità di trasgredire, senza passare all'eccesso opposto.
- Accogliere e riconoscere l'adolescente nelle sue difficoltà: se l'adolescente si sente sminuito nei propri sentimenti, può richiudersi in sé stesso e non richiedere più aiuto, ma nascondere i suoi problemi. Mai minimizzare ciò che prova, ma piuttosto dargli un senso ed "arginare" la portata emotiva, senza però negarla. Se da un lato non bisogna minimizzare, occorre anche non problematizzare qualsiasi vissuto negativo come necessariamente patologico: è normale che l'adolescente sperimenti emozioni forti e che fatichi a tenerle sotto controllo. È importante provare a "mettersi nei suoi panni", comprendere il suo punto di vista, indossando in alcune situazioni le lenti con cui egli guarda il mondo.
Il dialogo è quindi uno strumento importante per il benessere dell'adolescente, che se si sente accolto, riconosciuto e contenuto, potrà usare il genitore come modello e base sicura per affrontare il mondo, anche chiedendo aiuto.
Nel momento in cui si intercetti un disagio crescente da parte dei propri figli o si avverta la necessità di farsi aiutare come genitori, un supporto di tipo psicologico può essere importante.
Il Consultorio Antera Onlus, nelle sedi di Roma, Monterotondo e Fiumicino offre la possibilità di incontrare psicologi e psicoterapeuti esperti nelle difficoltà legate alla fase adolescenziale, accogliendo e accompagnando i ragazzi e le proprie famiglie all'interno di percorsi specifici.
Sentirsi giù, senza voglia, senza desideri, pensare al passato con nostalgia, oppure con un senso di impotenza, lo sguardo basso, tutto risulta appannato, velato dalla tristezza...
Sebbene tutti nella propria vita abbiamo passato dei momenti di scoraggiamento, e forse anche di disperazione, si può parlare di Disturbo depressivo solo quando i vissuti depressivi sono così persistenti da assorbire la gran parte delle nostre energie, al punto di rendere molto difficile e nei casi estremi impossibile il normale vivere quotidiano.
Tipicamente, in questi casi, la depressione riduce drasticamente la qualità della vita danneggiando diverse dimensioni: la sfera lavorativa o di studio, la vita familiare, la qualità del sonno, le abitudini alimentari.
Sintomi degli episodi depressivi
Il Disturbo depressivo presenta diversi sintomi. Più intensi e numerosi sono i sintomi e più il Disturbo depressivo è grave. Va detto, però, che la presenza dei sintomi può variare nel tempo:
- Umore depresso: tristezza, scoraggiamento, sentimenti di vuoto, di perdita di senso, di futilità e di disperazione
- Perdita dell’interesse o del piacere nei confronti di tutte le attività che solitamente la persona trovava piacevoli. Perdita del desiderio e del piacere sessuale.
- Perdita dell’appetito e del peso (senza osservare una specifica dieta). O al contrario aumento dell’appetito e del peso.
- Insonnia o ipersonnia (aumento della durata del sonno) quasi tutti i giorni.
- Agitazione e irrequietezza o, al contrario, rallentamento psicomotorio.
- Mancanza di energia, senso di affaticamento, scarsa resistenza.
- Bassa autostima, sentimenti di colpa e di autosvalutazione eccessivi, senso di inadeguatezza.
- Difficoltà a concentrarsi. Difficoltà di memoria. Difficoltà a prendere decisioni (tutto sembra eccessivamente difficile).
- Pensieri ricorrenti in tema di morte e suicidio.
Possiamo fare una distinzione tra episodi acuti della durata di alcune settimane (Depressione maggiore), da una condizione più stabile (Distimia), in cui i sintomi sono meno intensi e possono durare per anni.
E' importante sottolineare come non sia il caso di allarmarsi se si sperimenta saltuariamente qualche sintomo depressivo, come, ad esempio, un momento di bassa autostima o di agitazione. Si può parlare di Disturbo depressivo solo quando la persona non riesce più a gestire il proprio malessere al punto che il suo funzionamento in ambito sociale o lavorativo è drasticamente compromesso. Ad esempio, quando la persona, sopraffatta dai propri sentimenti di scoraggiamento, si allontana sempre di più dalle proprie amicizie fino a perderle, o quando è talmente poco concentrata sul lavoro da venire licenziata.
Cause delle depressione
In generale le cause della depressione sono riassumibili in tre fattori:
- Fattori biologici: si riferiscono alle alterazioni a livello di neurotrasmettitori, ormonale e nel sistema immunitario. Ad esempio alterazioni nella regolazione dei neurotrasmettitori quali noradrenalina e serotonina, alterando la trasmissione degli impulsi nervosi possono incidere sull’iniziativa del soggetto, sul sonno, su rimuginioe nelle interazioni con gli altri.
- Fattori psicologici e sociali: a livello psicosociale, eventi di vita stressanti sono stati ben riconosciuti come fattori precipitanti gli episodi depressivi, tra questi vi possono essere lutti, conflitti interpersonali e familiari, malattie fisiche, cambiamenti di vita, essere vittima di un reato, separazioni coniugali e dai figli, situazioni di isolamento sociale come quelle vissute durante il lockdown. Tra questi eventi possiamo trovare anche cambiamenti nelle condizioni lavorative o l’inizio di un nuovo tipo di lavoro, la malattia di una persona cara, gravi conflitti familiari, cambiamenti nel giro di amicizie, cambiamenti di città, ecc.
- Fattori genetici e fisiologici: i familiari di primo grado di individui con depressione maggiore hanno un rischio di sviluppare il disturbo da due a quattro volte maggiore rispetto alla popolazione generale. Ad essere ereditata geneticamente è la predisposizione a sviluppare il disturbo, non il disturbo vero e proprio!
La depressione è dunque un fenomeno complesso che nasce dall’intersecarsi di fattori predisponenti e fattori scatenanti psicologici e fisici. In altre parole (volendo utilizzare dei termini tecnici) si può dire che la depressione sia un disturbo multifattoriale.
Come un percorso terapeutico accoglie e affronta la depressione
Il lavoro psicoterapeutico cerca di ascoltare e dare valore a questa visione di fatuità esistenziale – il che non significa condividerla – darle dignità, ridando alla depressione uno statuto di legittimità prima di metterla in discussione, considerarla come un moto dell’animo inevitabile e collegato alla condizione umana. Una volta stabilito che il sentimento depressivo è normale e legittimo ci si può chiedere quale sia il vero nemico da combattere.
Il peggiore è il compiacimento dell’essere depressi, ovvero l’identificazione alla maschera luttuosa della depressione. All’attaccamento al proprio essere depressi non c’è farmaco o psicoterapia che possano incidere, perché ogni terapia basa la sua efficacia sulla motivazione verso il cambiamento.
Sarà cura del terapeuta scandagliare gli abissi insieme al suo paziente, e se troverà degli isolotti nel mare di desolazione provare a vedere quanto esso siano abitabili.
Sentirsi compresi nella sensazione di totale desertificazione tipica della depressione è un importante punto di partenza per ogni percorso terapeutico.
Il Consultorio Antera Onlus, nelle sedi di Roma, Monterotondo e Fiumicino offre la possibilità di incontrare psicologi e psicoterapeuti esperti nelle difficoltà legate alla depressione, accogliendo e accompagnando gli individui all'interno di percorsi specifici e costruiti ad hoc sulla persona, lavorando, qualora la situazione lo renda necessario, anche in sinergia con la figura dello psichiatra.
Umore depresso e disturbo depressivo: quali differenze?
Il termine depressione viene largamente utilizzato in molti contesti diversi, ma sottintende in realtà una molteplicità di significati. Spesso ne sentiamo parlare in associazione a lutti e separazioni o a momenti di passaggio all'interno del proprio ciclo di vita (nascita di un figlio, menopausa, uscita dal mondo lavorativo).
La distinzione tra umore depresso e disturbo depressivo è molto importante. Solo una minoranza di persone presenta sintomi depressivi tali da corrispondere ad un disturbo vero e proprio, molto più numerose sono le persone che fanno esperienza di uno stato d’umore depresso. Quest'ultimo è solitamente caratterizzato da tristezza, mancanza di piacere nelle attività quotidiane e pensieri negativi e pessimisti circa se stessi e il proprio futuro. Il disturbo depressivo è invece connotato da una significativa accentuazione di tali emozioni e comportamenti, con una durata prolungata, una maggiore intensità e soprattutto una compromissione rilevante della qualità vita della persona e ripercussioni in diversi ambiti (familiare, sociale, lavorativo).
E' molto importante cercare di invertire la tendenza dell'umore come azione preventiva di quello che potrebbe trasformarsi in un vero e proprio disturbo, attingendo alle proprie risorse individuali e alla nostra rete di relazioni. Può essere utile prestare attenzione e cercare di modulare alcuni comportamenti che spesso caratterizzano ed amplificano stati di umore depresso.
Evitare una continua auto-analisi
Molto spesso in questi momenti può aumentare la tendenza ad analizzare continuamente il proprio malessere, con pensieri che gravitano intorno al fatto di non avere energie sufficienti o di sentirsi tristi. Oltre a ciò, ci si può soffermare sulle cause e sulle conseguenze del proprio stato emotivo, ponendosi in modo ridondante domande del tipo: “Perchè mi sta succedendo questo?”; “Dove ho sbagliato?”; “Riuscirò a riprendermi?”. Questo “lavorio mentale” può prolungare il nostro stato di malessere, facendoci sentire ancora più impotenti e chiusi dentro questi interrogativi, può essere utile confinare questa auto-analisi entro un tempo prestabilito che ci diamo nell'arco della nostra giornata, dandogli uno spazio definito.
Non sfuggire dalle situazioni
Un umore basso può essere a volte accompagnato da uno stato di ansia ed agitazione: molte cose possono sembrarci più grandi di noi, fuori dal nostro controllo, impossibili da gestire e affrontare. Una facile soluzione, che spesso ci dà immediato sollievo, è quella di evitare le situazioni fonte del nostro malessere, con il rischio però di entrare così in un circuito negativo, per cui tanto più ci allontaniamo e ci teniamo lontani da ciò che ci spaventa, tanto più ci sentiamo incapaci e demotivati. Questo può portarci anche ad evitare determinati contatti sociali, impoverendo le nostre relazioni e aumentando il nostro senso di isolamento.
Essere meno severi con se stessi
E' importante provare a modulare un'autocritica eccessiva nei confronti di noi stessi, tentando di essere dei giudici meno severi, sia rispetto ad azioni già compiute, sia soprattutto a situazioni che ci si prospettano davanti. La tendenza a valutarsi negativamente come incapaci o “difettosi”, può diventare una profezia che si auto-avvera, tale presunta inadeguatezza rischia di allargarsi a macchia d'olio a tutto ciò che ci troviamo a vivere, offuscando le nostre reali competenze e capacità.
Umore depresso: consigli utili
Spesso può essere molto utile attuare un “cambio di regia”, modificando il nostro punto di osservazione rispetto a quanto ci sta accadendo: poter focalizzare la nostra attenzione non solo su noi stessi, ma allargare la visione ai nostri contesti di appartenenza, può farci scoprire risorse alle quali non avevamo pensato e magari ritrovare il piacere di piccole cose sulle quali non ci eravamo soffermati. Provare a vedere le nostre difficoltà da angolature diverse, può aiutarci a sentirci meno in una situazione di empasse senza via di uscita e può permetterci di mettere a fuoco i nostri punti di forza, oltre che le nostre fragilità.
CHE COS’E’ LA DEPRESSIONE POST PARTO
Circa il 70-80% delle nuove mamme sperimenta un fenomeno noto come “baby blues” o “maternità blues” o “sindrome del terzo giorno”. Consiste in un calo dell’umore che colpisce i giorni successi al parto, accompagnato da ansia, tristezza, sentimenti di inadeguatezza nei confronti delle cure da prestare al bambino. Si tratta di un disturbo post natale i cui sintomi hanno durata di una o due settimane e poi scompaiono naturalmente. La depressione post-partum, o depressione puerperale, colpisce invece il 10% delle donne ed esordisce con sintomi simili al “baby blues” ma con diversa intensità e durata. L’esordio è sfumato e graduale, ma può anche essere molto rapido; avviene dal terzo mese al primo anno di vita del bambino. E’ importante sapere che la depressione post-partum non deve essere trascurata in quanto tende a cronicizzate e riduce la possibilità di sviluppare una buona sintonia con il bambino, cosa che aumenta il disagio, complica la situazione depressiva e mette a rischio il figlio stesso. Per questo disturbo non è possibile individuare un’unica causa, ma dipende da una serie di fattori di rischio (ormonali, fisici, sociali, psicologici e cognitivi) che potrebbero aumentare la possibilità di svilupparlo.
CARATTERISTICHE DELL A DEPRESSIONE POST PARTO
- Stanchezza, mancanza di energia e sensazione di essere esausta;
- Difficoltà di concentrazione;
- Irritabilità (aggressività espressa sia con le parole sia con il comportamento);
- Disturbi del sonno (difficoltà ad addormentarsi o risveglio precoce al mattino);
- Tristezza e pianto incontrollato, instabilità dell’umore;
- Difficoltà nel prendere decisioni;
- Perdita di interesse o di piacere nel fare le cose;
- Sentimenti di colpa eccessivi;
- Sentimenti di inadeguatezza (paura di non farcela a prendersi cura del bambino);
- Disturbi fisici come dolori, debolezze muscolari;
- Non riuscire a provare emozioni nei confronti del bambino;
- Paura di restare sola con lui;
- Tensione e panico (ansia espressa anche attraverso palpitazioni o vertigini, paure esagerate);
- Tendenza all’isolamento e al ritiro dalle interazioni col bambino oppure agitazione inquieta caratterizzata da mancanza di rispetto per i suoi ritmi;
- Senso di disperazione e pensieri costantemente pessimisti, a volte pensieri sulla morte;
- Disturbi alimentari (perdita di appetito o di peso oppure aumento di appetito o di peso).
Per quanto riguarda il padre, è possibile che anche lui sviluppi una sorta di depressione post partum: può accadere che, nei primi mesi del bambino, inizi ad avvertire un senso di abbandono, di perdita di centralità all’interno della famiglia. La mamma infatti si dedica esclusivamente al bambino, tutte le cure e le attenzioni sono per lui. Spesso si assiste anche ad una riduzione dell’attività sessuale. In questi casi si consiglia al padre di non drammatizzare, di essere comprensivo, in quanto si tratta solo di un periodo ed è del tutto normale. Anzi, quello che può fare, è comprendere e supportare la moglie in difficoltà, cercando di darle anche una piccola mano negli impegni quotidiani. Farla sentire apprezzata, inoltre, può aiutarla ad aumentare la propria autostima. Una volta che la neo-mamma riacquisterà la propria sicurezza, riacquisterà anche il ruolo di donna nella coppia e saprà dare al marito le attenzioni e le cure di prima.
CAUSE DELLA DEPRESSIONE POST PARTO
- Fattori ormonali: nel periodo successivo al parto si verifica un brusco calo di estrogeni, che agisce direttamente a livello cerebrale andando a determinare la comparsa dei sintomi depressivi. Si è inoltre visto che è presente una correlazione con disfunzioni tiroidee.
- Parti multipli: oltre alle difficoltà materiali, economiche e ai rischi medici di un parto plurigemellare, questo tipo di gravidanze aumenta notevolmente il rischio di depressione post partum, dovuto in particolar modo ai livelli di stress che comporta crescere più bambini contemporaneamente;
- Fattori di personalità: un forte bisogno di ordine, controllo e perfezionismo, una bassa autostima, scarse abilità sociali o atteggiamenti delle madri negativi rispetto alla gravidanza ed il prendersi cura del bambino sono tutti fattori che possono aumentare la vulnerabilità della donna;
- Mancanza di un supporto affettivo: può accadere che le cause scatenanti la sindrome depressiva secondo le madri siano il non avere qualcuno con cui parlare apertamente, che condivida e capisca il problema, non avere un’amicizia intima, non ricevere aiuto senza doverlo chiedere, sentirsi socialmente isolate;
- Difficoltà relazionale: il conflitto coniugale, la mancanza di supporto emotivo e la qualità della relazione di coppia possono influire sull’insorgenza della depressione post natale. Lo scarso sostegno del partner potrebbe essere un ulteriore fattore di vulnerabilità che influisce solo in presenza di eventi di vita stressanti. Anche conflitti con i propri genitori, in particolare una relazione conflittuale con la propria madre, possono contribuire all’insorgenza di tale depressione;
- Esperienze traumatiche infantili: difficoltà nella relazione con i propri genitori, divorzio dei genitori, scarse cure materne nell’infanzia, storia di abusi sessuali, perdita della madre durante l’infanzia, sono eventi traumatici che possono ripercuotersi nell’adulto.
- Storia personale o familiare di depressione: una storia precedente di depressione, in particolare se associata con eventi di vita negativi, associata a depressione durante la gravidanza e a vari fattori di stress legati al bambino, può essere considerata un serio fattore di rischio;
- Trasformazione fisica: perdita di una figura più snella e attraente;
- Sensazione di non essere più una persona libera: il bambino pone limiti anche forti alla mobilità.
COME AFFRONTARE LA DEPRESSIONE POST PARTO
Se la depressione post-partum arriva ad avere sintomi di notevole entità può essere pericolosa per l’incolumità della madre stessa e del bambino. Tuttavia non bisogna dimenticare che in casi meno estremi gli effetti possono essere ugualmente disastrosi, in particolare per quanto riguarda le dinamiche familiari (aumenta il rischio di separazioni coniugali e divorzi) e lo sviluppo del bambino, il quale ne porterà le conseguenze anche in futuro. Per questi motivi è fondamentale riuscire a ridurre l’impatto dei sintomi depressivi della donna, intervenendo in maniera efficace con trattamenti mirati. Le cure possono consistere nell’iniziare una terapia farmacologia, nella psicoterapia e nella partecipazione a terapie di gruppo con donne che manifestano la stessa sintomatologia. Molte donne che soffrono di depressione post-partum sono restie a chiedere aiuto perché temono di essere giudicate un fallimento come madri. Ma soffrire di depressione post-partum non significa essere cattive madri: questo tipo di disagio è influenzato in modo consistente da fattori fisici e ormonali, dalla stanchezza e dalla stile di vita ed è perfettamente curabile. Coinvolgere il partner nella cura del piccolo, farsi aiutare nella gestione della casa, concedersi un momento per passare del tempo sole o con un’amica, sono tutti piccoli passi che aiutano a sentirsi meglio
CONSIGLI PER CHI SOFFRE DI DEPRESSIONE POST PARTO
- Fare la mamma è istintivo: l’istinto materno è una cosa che viene data troppo per scontata. Poiché fare la mamma è una delle attività più complesse, è normale all’inizio incontrare delle difficoltà.
- Il bambino è perfetto: durante la gravidanza ogni mamma costruisce nella sua mente un’immagine ideale del bambino, che quasi mai coincide con la realtà. Un po’ di frustrazione iniziale è anche normale, ma bisogna rendersi conto che ogni bambino ha sue caratteristiche che lo rendono unico nella sua individualità. A tutto ciò è possibile adattarsi solo gradualmente.
- Mamma è perfezione: nessuno è perfetto e all’inizio è normale commettere errori, non comprendere immediatamente la necessità del neonato o addirittura non provare un eccessivo rapporto affettivo nei suoi confronti. Questo spesso può far sentire la donna come una cattiva madre. Bisogna invece tener presente che dare alla luce un figlio scatena sentimenti ambivalenti. Tanto più è grande la vicinanza affettiva, tanto più, accanto a sentimenti positivi, convivono sentimenti negativi.
CONSIGLI PER CHI STA VICINO A PERSONE CHE SOFFRONO DI DEPRESSIONE POST PARTO
I familiari e le persone più vicine a queste neo-mamme in difficoltà possono fare molto per aiutarle, solamente con qualche piccolo gesto. Intanto è molto importante comprendere ed accettare i sentimenti di negatività provati dalla neo-mamma, senza per questo colpevolizzarla. Può essere utile dare un aiuto nelle faccende di casa, accudire il piccolo anche solo 15 minuti, in modo da darle un po’ di tempo da dedicare a stessa, per una doccia, o una passeggiata. Le amiche possono concederle un momento di svago anche solo con una semplice telefonata: un po’ di chiacchiere le faranno bene…basta che siano lontane da biberon e pannolini! Il papà soprattutto può fare moltissimo per aiutare la mamma a superare la depressione, basta darle un appoggio pratico ed emotivo, condividere con lei i sentimenti, le emozioni, le preoccupazioni e i dubbi che seguono questo cambiamento.
DEPRESSIONE POST PARTO E PSICOTERAPIA
La psicoterapia è un’indicazione molto efficace quando ci si trova di fronte ad una depressione. Un ciclo di colloqui aiuta a superare il momento più critico. Può essere utile l’associazione della psicoterapia con un approccio farmacologico. L’indicazione per una psicoterapia così come l’associazione con i farmaci deve essere suggerita sempre dal medico specialista.
DEPRESSIONE POST PARTO E TERAPIA FARMACOLOGICA
La terapia farmacologica è necessaria quando la depressione è piuttosto grave, quando sono presenti disturbi psicomotori e vegetativi, quando è concomitante un disturbo di panico o non c'è stata risposta ai trattamenti non farmacologici. Vengono usati (sotto controllo medico e sospendendo l’eventuale allattamento) antidepressivi a basso dosaggio e ansiolitici. Tra gli antidepressivi, gli inibitori della ricaptazione della serotonina (SSRI) vengono utilizzati come farmaci di prima scelta.
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DEPRESSIONE CHE COS’E’
Accade a volte che venga usato questo termine in situazioni che non hanno nulla a che fare con una depressione clinicamente significativa. Avere un umore depresso non vuol dire essere necessariamente affetti da un disturbo depressivo. Si può parlare di depressione in senso clinico quando sono presenti sintomi consistenti in un abbassamento del tono dell'umore: il depresso sente se stesso, la propria vita, la realtà circostante in maniera spiacevole e dolorosa. Sono presenti sentimenti di tristezza, di abbattimento, di pessimismo e di dolore. L'esistenza del depresso si svuota di significato e di interesse. La storia personale si carica di negatività, il passato non ha più esperienze piacevoli, il futuro è inaccessibile, sbarrato, non c'è più progettualità, il presente si contrae, diventa immodificabile. La depressione può investire la corporeità e la vitalità del soggetto, può esserci un senso di oppressione, di un malessere generico e pervasivo, con una sensazione di affaticabilità e disperazione.
CARATTERISTICHE DELLA DEPRESSIONE
Con il termine depressione, in realtà, non ci si riferisce ad una patologia univoca ma a una serie di disturbi, distinti tra loro, che presentano però caratteristiche comuni. Il DSM IV (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi psichiatrici) distingue:
1) Depressione maggiore: Devono essere presenti almeno cinque dei seguenti sintomi, presenti per un periodo di 2 settimane quasi ogni giorno; almeno uno dei sintomi deve essere costituito da umore depresso o perdita di interesse o piacere.
- Umore depresso per la maggior parte del giorno;
- Marcata diminuzione di interesse o piacere per tutte, o quasi tutte, le attività per la maggior parte del giorno;
- Significativa perdita di peso, in assenza di una dieta, o significativo aumento di peso, oppure diminuzione o aumento dell'appetito;
- Disturbi del sonno;
- Agitazione o rallentamento psicomotorio;
- Faticabilità o mancanza di energia;
- Sentimenti di autosvalutazione o sensi di colpa ;
- Diminuzione della capacità di pensare o concentrarsi, o difficoltà a prendere decisioni;
- Ricorrenti pensieri di morte, ricorrente ideazione suicida senza elaborazione di piani specifici, oppure un tentativo di suicidio o l'elaborazione di un piano specifico per commettere suicidio
2) Distimia: è la più frequente tra le depressioni minori, cioè tutti quegli episodi depressivi meno gravi, in cui le relazioni sociali e l'attività lavorativa sono meno danneggiate. Devono essere presenti almeno due dei seguenti sintomi, in aggiunta all’umore depresso: scarso appetito, alimentazione eccessiva, disturbi del sonno, facile affaticabilità, scarsa autostima, scarsa capacità di concentrazione e sentimenti di disperazione.
3) Depressione bipolare: il sintomo principale del disturbo bipolare è l'alterazione dell'umore che passa da uno stato depressivo ad uno stato di esagerata euforia (stato maniacale). Questo stato maniacale consiste in ottimismo eccessivo, pensieri e linguaggio accelerati, avere progetti grandiosi ma poco realistici, sentirsi completamente disinibiti, eccessiva aggressività, spese folli e acquisti esagerati. In genere questi stati hanno una durata variabile da qualche giorno a qualche mese.
CAUSE DELLA DEPRESSIONE
Come per la gran parte dei disturbi psichici, la causa della depressione è da ricercarsi nell'interazione tra fattori biologici, psicologici e sociali. Nel 10% dei casi può essere causata da malattie come le anemie o l'ipotiroidismo, o da alcuni farmaci. Nella maggior parte dei casi la depressione insorge in seguito ad eventi fortemente stressanti; tuttavia, non tutti coloro che si trovano a dover fronteggiare situazioni stressanti sviluppano un disturbo depressivo. L'intensità e la durata dello stimolo stressante, la capacità di fronteggiare lo stress ed il tipo di sostegno ricevuto da parte degli altri sia durante che dopo l'evento stressante, così come il patrimonio genetico individuale, sono le principali variabili che, interagendo tra loro, possono determinare l'insorgenza o meno dei sintomi depressivi. Anche alcuni tratti del carattere, come la difficoltà ad affermarsi, la scarsa fiducia nelle proprie capacità, l’instabilità emotiva, la preoccupazione per il proprio stato di salute, il sentirsi perseguitati da un destino avverso, possono agevolare l’insorgere di una depressione.
COME AFFRONTARE LA DEPRESSIONE E IL DISAGIO PSICOLOGICO
Per affrontare la depressione sono ad oggi disponibili diversi tipi di trattamento, che comprendono terapie farmacologiche, con l’uso di antidepressivi o ansiolitici, psicoterapie con diversi orientamenti, e trattamenti non farmacologici, come esercizio fisico, privazione del sonno e terapia con la luce.. La scelta del trattamento adeguato rappresenta un processo individuale, che dipende non soltanto dalla gravità della depressione, ma anche dalle preferenze del depresso e dal parere professionale del medico curante, il quale può decidere se usare una combinazione di più trattamenti. L’aiuto e l’atteggiamento dei familiari e degli amici ha un’importanza notevole nel dare la forza di affrontare la depressione: capire i sentimenti del malato, evitare le critiche ed un possibile isolamento sociale, sottolineare che si tratta solo di una situazione momentanea, aiuterà la persona depressa a sentirsi capita e a trovare la forza per iniziare a fronteggiare il problema.
CONSIGLI PER CHI SOFFRE DI DEPRESSIONE
Quando si è depressi è importante difendere e sviluppare le amicizie e la fiducia negli altri, non bisogna distruggere quelle che riescono a sopravvivere alla depressione: sono una rete di sicurezza nei momenti in cui la malattia sembra precipitare. Sarebbe utile mantenere gli interessi e le attività che vi hanno sempre accompagnato, come la lettura o un’attività sportiva, anche se sembrano impegni troppo pesanti: aiutano a non peggiorare la depressione e a sfuggire dalla solitudine. Inoltre, imparando a riconoscere i motivi della propria tristezza, si possono apprendere delle regole di rilassamento, igiene di vita, impiego del proprio tempo, riconoscimento dei problemi, che possono aiutarvi nell'intervento terapeutico.
CONSIGLI PER CHI STA VICINO A PERSONE CHE SOFFRONO DI DEPRESSIONE
Il paziente di tutto ha bisogno, tranne che di avere qualcuno che gli si rivolga dicendogli “basta fare questo o quello”. Pretendere reazioni, incitare all’attività, proporre soluzioni, aggredire o scuotere possono solo peggiorare la situazione. E’necessario evitare di far leva sulla forza di volontà e sulla colpevolizzazione del paziente depresso che, a causa della malattia, è già in preda a sensi di colpa e privo di energia vitale. Quello che sarebbe più utile è far capire che si è preoccupati e che si è a disposizione per trovare la soluzione giusta, chiedere consiglio ad un medico o ad uno psicologo, non criticare le cure che il vostro amico o parente sta già seguendo: in caso pensiate che non siano adeguate, cercate di indirizzarlo con tatto e senza fare critiche distruttive.
DEPRESSIONE E PSICOTERAPIA
Esistono diversi tipi di trattamento psicologico, come quello individuale, quello di gruppo o familiare, che attraverso colloqui ed esercizi, gestiti da un terapeuta qualificato, aiutano il paziente a superare la crisi, lo rassicurano e lo sostengono. La terapia cognitivo-comportamentale (ad oggi la più efficace) evidenzia abitudini e comportamenti che possono favorire lo sviluppo dei sintomi, esaminando i pensieri e la visione della realtà del depresso. La terapia interpersonale inquadra le modalità di relazione con gli altri. La psicoanalisi fa emergere le cause profonde del malessere.
TERAPIA NON FARMACOLOGICA A SUPPORTO DELLA DEPRESSIONE
L’esercizio fisico può curare la depressione aiutando a vedere la vita con più ottimismo, dando una sensazione di soddisfazione e, a livello biologico, riducendo il livello dell’ormone coinvolto nella depressione. Camminare, andare in bicicletta, nuotare, giocare a pallavolo, persino fare del giardinaggio sono attività consigliate. Altri tipi di terapie che potrebbero essere utili (sotto consiglio medico), ma non molto usate sono: privazione del sonno, dopo la privazione totale o parziale di un sonno notturno, si ottiene un miglioramento dei sintomi depressivi immediato ma momentaneo: in circa la metà dei casi, infatti, dopo una dormita si torna allo stato iniziale; terapia con la luce, l’esposizione ad una luce dieci volte più intensa di quella di una stanza, determina il miglioramento dei sintomi dopo alcuni giorni, in circa il 60% dei pazienti affetti da depressione legata alla stagione; terapia elettroconvulsiva(TEC), la più controversa tecnica terapeutica. Prescritta in casi gravi con sintomi che compromettono le funzionalità del paziente, quando per esempio ha istinti suicidi, sintomi psicotici. Il paziente viene sottoposto ad una scarica elettrica che aiuta il rilascio nel cervello di sostanze antidepressive.
TERAPIA FARMACOLOGICA A SUPPORTO DELLA DEPRESSIONE
Nella cura della depressione può essere usata, sotto consiglio e controllo medico, una terapia farmacologia. I farmaci antidepressivi agiscono ottenendo diversi tipi di effetti: un effetto antidepressivo propriamente detto, riducendo l’umore triste, il pessimismo, l’angoscia e riducendo i sintomi somatici, come il senso di oppressione e di stanchezza; un effetto stimolante, che è conseguente a quello antidepressivo e agisce sull’apatia e sulla vigilanza, ma può produrre insonnia. Va tenuto presente che tali farmaci richiedono un certo tempo prima che facciano effetto: di norma tre o quattro settimane. Questo rende spesso necessario associare all’antidepressivo un farmaco ansiolitico o ipnotico che ha il compito di contrastare le manifestazioni della depressione, quali ansia, agitazione, insonnia. A questo scopo si usano principalmente le benzodiazepine, che hanno il vantaggio di una notevole rapidità d’azione.
Indichiamo di seguito le classi dei farmaci antidepressivi, con rispettivo principio attivo e nome commerciale:
- Litio: sotto forma di sali;
- Antidepressivi triciclici: composti dai principi attivi imipramina, amitriptilina, nortriptilina (Laroxil, Anafranil, Protiaden, Tofranil, Noritren);
- Inibitori delle monoaminossidasi (IMAO): composti da fenelzina, tranilcipramina (Nardil, Parnate);
- Inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina(SSRI): composti da fluoxetina, sertralina, fluvoxamina, paroxetina, citalopram (Prozac, Zoloft, Seroxat, Elopram);
- Inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina e della noradrenalina(SSNRI): analoghi ai precedenti per quanto riguarda il meccanismo di azione;
- Antidepressivi atipici: composti da desulepina, amineptina, trazodone (Maneon, Survector, Lantanon, Trittico).
Tra le benzodiazepine più usate citiamo:
- Diazepam: nome commerciale Valium;
- Larozepam: nome commerciale Tavor;
- Clonazepam: nome commerciale Rivotril
Ognuno di essi ha differenti meccanismi di azione e tempi di azione, e differenti effetti collaterali. Lo psichiatra personalizza la cura in base alle esigenze del singolo paziente.
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