La gravidanza rappresenta, senza dubbio, un evento che comporta modificazioni di natura sia fisiologica che psicologica richiedendo alla futura madre e, alla coppia in attesa, dei continui riadattamenti (Benedek 1956). Il caleidoscopio emotivo che una donna vive durante il periodo di gestazione mette in luce la complessità e la ricchezza di tale esperienza interiore caratterizzata da un nuovo modo di “sentire” e di “sentirsi” nel mondo (Quaglia, 1996; Brustia, Longobardi, 2003).
Questa “nuova” sensibilità attraversa tutto lo spettro delle emozioni nelle sue sfumature e ambivalenze, traducendosi, talvolta, in stati di ansia in occasione di eventi stressanti.
Nell’attuale momento storico il COVID-19 costituisce per tutti gli individui una fonte di profonda frustrazione che elicita vissuti di paura, sensazione di pericolo, vulnerabilità e impotenza.
Tali risposte emotive sono da ritenersi, in linea generale, adattive, sane e coerenti, poiché permettono agli individui di riconoscere la pericolosità di un evento e di proteggersi dai rischi ad esso correlati, adottando comportamenti consoni alla situazione. Tuttavia, nel caso della gravidanza, tali vissuti possono risultare molto pervadenti e di difficile gestione per le future madri al punto da alterare il benessere psicofisico delle stesse e, di riflesso, del feto.
Le donne possono vivere con paura, a volte terrore, il rischio di contagio rischiando di vivere con eccessiva ansia e preoccupazione una delle esperienze più trasformative e significative della vita di una donna: la gravidanza.
Stante la complessa situazione mondiale dovuta al diffondersi del COVID-19, è doveroso sottolineare che la paura è un’emozione del tutto normale, in particolare in gravidanza. Espressioni di tale emozione, come il pianto o la tristezza devono, dunque, essere riconosciute e accettate dalle future madri, tralasciando sentimenti di colpa ed inadeguatezza.
E’ noto in letteratura come la gravidanza comporti anche una ridefinizione del rapporto di coppia, in quanto, sia a livello reale che immaginario, è necessario includere il terzo all’interno della diade, imponendo alla stessa una riorganizzazione dell’equilibrio familiare (Minuchin, 1976). Di fatto, con l’arrivo di un figlio i futuri genitori si trovano a dover affrontare un processo di adattamento che dipende in larga misura dalla storia individuale di ciascuno e dal modo in cui si è affrontato il processo di svincolo dalla famiglia di origine.
La nascita di un figlio, soprattutto del primogenito, rappresenta senza dubbio un evento trasformativo che riguarda tutto il sistema familiare producendo innumerevoli cambiamenti; nasce infatti il sottosistema genitoriale, accanto a quello coniugale già esistente, mentre nelle famiglie d'origine dei neo-genitori si creano i ruoli di nonni e di zii. Molti accordi stabiliti nel primo periodo del matrimonio devono essere rivisti e subiscono cambiamenti, tale rivisitazione di ruoli e gerarchie diviene fondamentale per il benessere dell’intero sistema familiare.
Con la nascita di un bambino si passa dallo stato di figli a quello di genitori, con un'ulteriore maturazione psicologica della coppia genitoriale; questo genera anche una ridefinizione del rapporto con i propri genitori che tende ad essere nel tempo sempre più paritario e adulto (Bramanti, 1999).
Tuttavia, spesso il passaggio alla genitorialità può far emergere criticità con le rispettive famiglie di origine, legate alla difficoltà di stabilire e mantenere confini relazionali chiari e condivisi tra i vari membri dei sottosistemi. Tali condizioni posso avere a loro volta dei riverberi sul benessere della coppia dei neo genitori.
La distanza dalle rispettive famiglie di origine porta con sé anche l’indisponibilità immediata delle stesse ad aiutare e sostenere concretamente i neo-genitori nella complessa fase di ciclo vitale che stanno affrontando. Tale condizione, seppur infelice, può essere rappresentare un’occasione per i futuri genitori di scoprire e mettere in atto competenze e capacità, diversamente sopite dalla presenza, talvolta molto ingombrate, dei neo-nonni.
Il costrutto di “self-efficacy” si riferisce a quanto i genitori si percepiscano competenti e adeguati nell’adempiere ai compiti impliciti nel ruolo genitoriale. Se il livello di efficacia nei genitori è alto ciò li rende meno vulnerabili allo stress connesso alla genitorialità e li porta ad affrontare con più serenità anche le piccole difficoltà quotidiane. Nel complesso un alto livello di “self-efficacy” sia nella madre che nel padre è associato ad una globale soddisfazione della vita familiare (Bramanti, 1999).
Le famiglie d’origine, in questo periodo non devono tuttavia essere tagliate fuori dalla vita dei genitori in attesa, rimanendo in contatto attraverso i social network, garantendo presenza e affetto, ma in sicurezza.
Le attuali limitazioni imposte dalla diffusione del COVID-19, possono rappresentare un’occasione per i futuri genitori di volgere lo sguardo sul proprio partner prendendosi cura l’uno dell’altra in attesa del lieto evento. Il nutrimento derivante da questa amorevole attenzione reciproca rappresenta, senza dubbio, un fattore protettivo per il feto nel qui ed ora, ma verosimilmente anche per il futuro della coppia stessa. Poiché come è stato dimostrato, nel corso della transizione alla genitorialità, generalmente, il grado di soddisfazione e di benessere percepito dalla coppia si riduce, sebbene questo declino non interessi tutte le coppie (Belsky, Rovine, 1990). In tal senso, dunque, proteggersi, occuparsi dell’altro, “stringersi più forte” può rappresentare una valida risposta adattiva della coppia a questo periodo di forte stress emotivo, e dei cui benefici la stessa potrà goderne a lungo termine.
Al fine di vivere al meglio questo periodo potrebbe essere utile seguire alcune indicazioni utili a contenere i vissuti di angoscia suscitati dalla pandemia in corso:
Provare un po’ di ansia in gravidanza è comprensibile, in particolare in un momento di forte stress come quello attuale.
La letteratura ha evidenziato che soprattutto le primipare appaiono molto vulnerabili in gravidanza e nel post-partum e che necessitano di un adeguato supporto emotivo da parte del partner. Le gravose richieste legate al puerperio e alla nascita del bambino possono far emergere vissuti di inadeguatezza, la neo-mamma può temere di fallire nel suo ruolo e questo le procura ansia e talvolta uno stato depressivo (Della Vedova e al., 2008), fino a giungere in alcuni casi ad una vera e propria depressione post-partum. Questi sintomi possono avere delle conseguenze sia a breve che a lungo termine anche sul bambino e sulla relazione di attaccamento tra madre e figlio. Dunque, se l’ansia connessa con la pandemia in corso dovesse farsi dirompente e ingestibile, è necessario concedersi di chiedere aiuto ad un terapeuta esperto, che possa accogliere e aiutare la futura mamma nella gestione del suo stato emotivo.
La gravidanza è un processo che invita a cedere alla forza invisibile che si nasconde nella vita (Judy Ford)
BIBLIOGRAFIA
Benedek, T.F. (1956). Toward the biology of the depressive constellation. Journal of the American Psychoanalytic Association, 4 , 389-427.
Belsky, J., Rovine, M. (1990). Patterns of marital change across the transition to parenthood: pregnancy to three years postpartum. Journal of Marriage and the Family, 52, 5-19.
Bramanti, D. (1999). Coniugalità e genitorialità: i legami familiari nella società complessa: Atti del Primo Seminario Internazionale del Redif. Milano: Vita e pensiero.
Brustia,P.&Longobardi,C. (2003). Donne e madri. Psicodinamica della gravidanza e ciclo di vita al femminile, in P. Brustia, S. Ramella Benna, Territori di Psicologia Dinamica. Roma: Carocci, 149-172
Della Vedova, A.M., Cabrassi, F., Ducceschi, B., Cena, L., Lojacono, A., Vitali, E., De Franceschi, L., Guana, M., Bianchi, U.A., Imbasciati, A. (2008). Parto e puerperio: i vissuti delle donne in un’ottica di ricerca multidisciplinare. Syrio online. Retrieved August, 2008
Quaglia,R. (1996). Adamo, l’infanzia inesistente. Roma: Armando Editore
Minuchin, S. (1976)Famiglie e terapie della famiglia. Casa Editrice Astrolabio, Roma 1976,
Circa il 70-80% delle nuove mamme sperimenta un fenomeno noto come “baby blues” o “maternità blues” o “sindrome del terzo giorno”. Consiste in un calo dell’umore che colpisce i giorni successi al parto, accompagnato da ansia, tristezza, sentimenti di inadeguatezza nei confronti delle cure da prestare al bambino. Si tratta di un disturbo post natale i cui sintomi hanno durata di una o due settimane e poi scompaiono naturalmente. La depressione post-partum, o depressione puerperale, colpisce invece il 10% delle donne ed esordisce con sintomi simili al “baby blues” ma con diversa intensità e durata. L’esordio è sfumato e graduale, ma può anche essere molto rapido; avviene dal terzo mese al primo anno di vita del bambino. E’ importante sapere che la depressione post-partum non deve essere trascurata in quanto tende a cronicizzate e riduce la possibilità di sviluppare una buona sintonia con il bambino, cosa che aumenta il disagio, complica la situazione depressiva e mette a rischio il figlio stesso. Per questo disturbo non è possibile individuare un’unica causa, ma dipende da una serie di fattori di rischio (ormonali, fisici, sociali, psicologici e cognitivi) che potrebbero aumentare la possibilità di svilupparlo.
Per quanto riguarda il padre, è possibile che anche lui sviluppi una sorta di depressione post partum: può accadere che, nei primi mesi del bambino, inizi ad avvertire un senso di abbandono, di perdita di centralità all’interno della famiglia. La mamma infatti si dedica esclusivamente al bambino, tutte le cure e le attenzioni sono per lui. Spesso si assiste anche ad una riduzione dell’attività sessuale. In questi casi si consiglia al padre di non drammatizzare, di essere comprensivo, in quanto si tratta solo di un periodo ed è del tutto normale. Anzi, quello che può fare, è comprendere e supportare la moglie in difficoltà, cercando di darle anche una piccola mano negli impegni quotidiani. Farla sentire apprezzata, inoltre, può aiutarla ad aumentare la propria autostima. Una volta che la neo-mamma riacquisterà la propria sicurezza, riacquisterà anche il ruolo di donna nella coppia e saprà dare al marito le attenzioni e le cure di prima.
Se la depressione post-partum arriva ad avere sintomi di notevole entità può essere pericolosa per l’incolumità della madre stessa e del bambino. Tuttavia non bisogna dimenticare che in casi meno estremi gli effetti possono essere ugualmente disastrosi, in particolare per quanto riguarda le dinamiche familiari (aumenta il rischio di separazioni coniugali e divorzi) e lo sviluppo del bambino, il quale ne porterà le conseguenze anche in futuro. Per questi motivi è fondamentale riuscire a ridurre l’impatto dei sintomi depressivi della donna, intervenendo in maniera efficace con trattamenti mirati. Le cure possono consistere nell’iniziare una terapia farmacologia, nella psicoterapia e nella partecipazione a terapie di gruppo con donne che manifestano la stessa sintomatologia. Molte donne che soffrono di depressione post-partum sono restie a chiedere aiuto perché temono di essere giudicate un fallimento come madri. Ma soffrire di depressione post-partum non significa essere cattive madri: questo tipo di disagio è influenzato in modo consistente da fattori fisici e ormonali, dalla stanchezza e dalla stile di vita ed è perfettamente curabile. Coinvolgere il partner nella cura del piccolo, farsi aiutare nella gestione della casa, concedersi un momento per passare del tempo sole o con un’amica, sono tutti piccoli passi che aiutano a sentirsi meglio
I familiari e le persone più vicine a queste neo-mamme in difficoltà possono fare molto per aiutarle, solamente con qualche piccolo gesto. Intanto è molto importante comprendere ed accettare i sentimenti di negatività provati dalla neo-mamma, senza per questo colpevolizzarla. Può essere utile dare un aiuto nelle faccende di casa, accudire il piccolo anche solo 15 minuti, in modo da darle un po’ di tempo da dedicare a stessa, per una doccia, o una passeggiata. Le amiche possono concederle un momento di svago anche solo con una semplice telefonata: un po’ di chiacchiere le faranno bene…basta che siano lontane da biberon e pannolini! Il papà soprattutto può fare moltissimo per aiutare la mamma a superare la depressione, basta darle un appoggio pratico ed emotivo, condividere con lei i sentimenti, le emozioni, le preoccupazioni e i dubbi che seguono questo cambiamento.
La psicoterapia è un’indicazione molto efficace quando ci si trova di fronte ad una depressione. Un ciclo di colloqui aiuta a superare il momento più critico. Può essere utile l’associazione della psicoterapia con un approccio farmacologico. L’indicazione per una psicoterapia così come l’associazione con i farmaci deve essere suggerita sempre dal medico specialista.
La terapia farmacologica è necessaria quando la depressione è piuttosto grave, quando sono presenti disturbi psicomotori e vegetativi, quando è concomitante un disturbo di panico o non c'è stata risposta ai trattamenti non farmacologici. Vengono usati (sotto controllo medico e sospendendo l’eventuale allattamento) antidepressivi a basso dosaggio e ansiolitici. Tra gli antidepressivi, gli inibitori della ricaptazione della serotonina (SSRI) vengono utilizzati come farmaci di prima scelta.
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