La balbuzie è un disturbo specifico dello sviluppo che si manifesta come difficoltà di realizzazione della lingua parlata: il soggetto che ne è affetto sa quello che vuole verbalizzare, ma non riesce ad esprimerlo fluidamente, non c’è coordinazione tra pensiero e parola. Il disturbo si situa al momento della elaborazione del pensiero in linguaggio: il risultato è che trascorre troppo tempo tra ciò che si vuole dire e la possibilità di dirlo. Non si può effettuare una diagnosi di balbuzie prima dei 5- 6 anni: in età inferiore si può manifestare una forma transitoria più leggera dovuta ad una fisiologica evoluzione della normale acquisizione del linguaggio, durante la quale la ricchezza delle cose che circondano il bambino, il desiderio d’esplorazione, la curiosità naturale si traducono nel desiderio di “domandare” e “comunicare” incessante, talvolta sovrastanti le effettive capacità ed abilità del bambino stesso. In questa fase di “rodaggio” possono presentarsi normali difficoltà nella produzione di suoni, nel vocabolario e nella strutturazione delle prime frasi: ripetizioni di parole, sillabe, frasi intere, esitazioni, prolungamenti sono fenomeni frequenti nelle prime fasi di acquisizione del linguaggio anche in bambini non balbuzienti, anche se è opportuno tenerli sotto controllo; nella maggior parte dei casi hanno una risoluzione spontanea. Invece per parlare di balbuzie è necessario che il meccanismo si sia consolidato, cronicizzato: di solito lo si può evidenziare a scuola dove il bambino interagisce con gli altri e dove è chiamato ad un nuovo ruolo di relazione e a volte di competizione.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) classifica la balbuzie come disturbo specifico dello sviluppo, definendola come “disordine del ritmo della parola nel quale il paziente sa con precisione quello che vorrebbe dire, ma nello stesso tempo non è in grado di dirlo a causa di involontari arresti, ripetizioni e prolungamenti di suoni.” Il soggetto deve avere un’età di almeno 5-6 anni per effettuare una diagnosi di balbuzie.
Vengono distinte tre forme in base alle modalità di manifestazione:
Inoltre si può effettuare una distinzione tra :
Accanto alla sintomatologia esterna descritta, vi è una sintomatologia “interna” di carattere secondario che riguarda alterazioni del comportamento e degli atteggiamenti che condizionano pesantemente l’esistenza del paziente e lo limitano in diverse aree: scelte professionali, studio, vita affettiva. Infatti la preoccupazione per il disturbo può generare ansia e provocare sentimenti di frustrazione, cui segue scarsa autostima. Il circolo negativo dell’auto-ascolto alimenta vissuti negativi e mina la fiducia di base. Il riproporsi, nella aspirazione al cambiamento, di ripetute ricadute nelle stesse difficoltà, spingono a continui mascheramenti con gli altri e ad evitamenti verbali (uso di sinonimi, perifrasi nel tentativo di evitare il blocco delle parole) o all’utilizzo di tic, quali battere un pugno su un tavolo, muovere la mascella, scuotere il capo, movimenti muscolari che aiutano a sbloccare l’eloquio, ma che col tempo possono essere difficili da sradicare. Non incontrando la realtà in modo soddisfacente il soggetto ritrova una costante insoddisfazione personale. Intrappolato nel conflitto tra il desiderio di parlare e l’impossibilità o l’incapacità di farlo, ogni scelta esistenziale rischia di essere fatta in rapporto alla minore necessità di parlare o di affrontare situazioni di impegno verbale che non può sostenere. Il problema del linguaggio può causare difficoltà a scuola (l’importanza data all'esposizione orale delle materie di studio), difficoltà nella vita relazionale (può essere imbarazzante l’approccio con l’altro sesso) e professionale (si può essere preclusi da molte professioni). Il disagio varia da situazione a situazione, ma è più grave quando vi è una speciale pressione a comunicare: nella lettura orale, nel colloquio con oggetti inanimati e spesso assente. Infatti anche nelle fasi più intense la balbuzie non si manifesta mai in tutte le situazioni
Come per tutte le difficoltà emotive, anche in questo caso è molto difficile individuare una causa specifica del disturbo. Gli studi sono riusciti ad individuare una serie di fattori predisponenti, la cui presenza non causa sistematicamente balbuzie, ma aumenta la probabilità di farla manifestare.
Tali fattori sono:
Il trattamento consiste in una rieducazione ortofonica per riacquisire il controllo degli apparati deputati all’articolazione della parola. Vengono fatti eseguire esercizi sistematici che sollecitano tutti i movimenti articolatori dell’atto fonatorio, cercando di ricoordinare tutti i movimenti patologici per impostare il corretto funzionamento muscolare. Si rieduca l’atto respiratorio, il ritmo della fonazione, la ripetizione sillabica e l’impostazione della voce. Lo scopo di tali esercizi è quello di fornire a chi balbetta modalità operative per sincronizzare i movimenti articolatori e respiratori
Le principali tecniche terapeutiche utilizzate in questo ambito sono:
Con questo termine si intende l’esecuzione autonoma da parte del paziente per 30 minuti-1 ora al giorno di semplici esercizi assegnati dal specialista logopedista, finalizzata al potenziamento degli effetti che le sedute con lo specialista esercitano sulla fluenza verbale In questa voce segnaliamo anche l’esistenza di dispositivi: il DAF (Delayed Auditory Feedback, Ritorno Ritardato) e FAF (Frequency-Shifting Auditory Feedback, Ritorno Alterato in Frequenza). Il dispositivo elettronico raccoglie la voce dell'utente da un microfono, ritarda il suono di una frazione di secondo (nel caso del DAF) o sposta la frequenza (nel caso del FAF), rinviando la voce attraverso le cuffie.
DAF e FAF possono ridurre la balbuzie, ma dovrebbero idealmente essere impiegati in combinazione con le visite presso un logopedista. L'apprendimento della fluenza richiede inoltre il miglioramento delle tecniche di respirazione e la sua sincronizzazione con il discorso.
La balbuzie non è solo un disordine del linguaggio, ma è anche un disturbo che interessa la sfera comunicativa e comportamentale. Pertanto il lavoro psicologico si affianca a quello del logopedista per affrontare i disordini comunicativi e comportamentali, i sentimenti negativi come vergogna, colpa, imbarazzo. Lo psicologo cerca di agire sugli aspetti motivazionali del paziente, sulla desensibilizzazione relativamente ai vissuti e sulla capacità di contenere la frustrazione, aumentando la tolleranza verso gli episodi disfluenti. La psicoterapia è utile per lavorare sull’autostima, l’assertività, le aspettative d’insuccesso e gestire le emozioni