Domenica, 21 Febbraio 2021 20:41

Un anno con il Covid-19: quando la risposta psicologica alla pandemia diventa un affaticamento cronico

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Come riconoscere ed affrontare la “Pandemic fatigue”

 

Chi di noi non ha sperimentato tristezza, stanchezza, angoscia in questi lunghi mesi di pandemia. Al tempo del Covid-19 queste emozioni e vissuti possono essere ritenuti normali.  Il primo lockdown  ha costretto la popolazione a rivoluzionare la propria vita lavorativa, sociale, affettiva. Ciascuno è stato chiamato a notevoli sforzi, ma con la speranza di vedere "la luce in fondo al tunnel": una sorta di meta da raggiungere per potersi riappropriare della propria quotidianità. Ora sappiamo che la strada da percorrere è lunga e non lineare, la nostra quotidianità dovrà ancora adattarsi all'evoluzione della pandemia. Questa altalena di decreti e norme, che cambiano di continuo, genera smarrimento e confusione. Le persone più fragili faticano a tenere il passo, soprattutto emotivo, e subiscono gli effetti psico-sociali causati dalla pandemia.

Corriamo il rischio che si inizi a pensare che tutto sia inutile, che stia venendo meno la libertà personale, che il contenimento dei contagi impedisca la relazione fra persone, famigliari e amici. Quando non si conosce la fine di una situazione che genera ansia e paura, infatti, lo stress può prendere il sopravvento.

 

Cos´è la Pandemic Fatigue e quali sono i suoi sintomi?

Da ormai un anno la popolazione mondiale è esposta ad una forma di stress cronico che si sta accompagnando a fatica, tristezza, ansia. Come si può leggere in un recente documento redatto dall’Organizzazione Mondiale della Salute (OMS), la “Pandemic Fatigue” è una sindrome che può assumere forme diverse. Si tratta, cioè, di una costellazione di sintomi che possono variare nel tempo, con sfumature diverse da persona a persona. Fra i sintomi più ricorrenti troviamo:

  • Irrequietezza
  • Ansia
  • Agitazione
  • Sbalzi di umore
  • Rabbia
  • Tristezza
  • Rassegnazione
  • Passività agli eventi
  • Alterazione dell'appetito
  • Negazione del problema

Si tratta di reazioni che possono essere ritenute normali in una condizione estremamente anomala e di incertezza quale è quella pandemica. In un certo numero di situazioni, però, questi indicatori di malessere possono raggiungere un livello di significatività clinica e richiedere un supporto di tipo psicologico, senza sottovalutare le forme di disagio che sentiamo di non poter più gestire da soli.

 

Cosa causa ed amplifica la Pandemic Fatigue?

La Pandemic Fatigue è sostanzialmente una condizione di “impotenza appresa” attraverso le esperienze che ci hanno accompagnato nell’ultimo anno.

La prima e principale causa connessa a tale malessere è la perdurante incertezza circa le prospettive future individuali e collettive, che lascia la popolazione esausta e demoralizzata.
Il senso di potere e di “controllo” rispetto alle nostre vite,  cui  generalmente siamo abituati,  viene permeato  da un vissuto di imprevedibilità.

Possiamo vedere tale impatto in modo variegato su tutte le fasce della popolazione. La vita durante la pandemia è stata saturata da molteplici compiti che prevedono sia l’esercizio di attività di controllo sia un’aumentata necessità di concentrazione, in una misura che può lasciarci a volte esausti. Probabilmente quando cominciamo a percepire che i nostri sforzi in termini di cambiamenti comportamentali non si accompagnano a risultati visibili, questi sforzi cominciano ad apparirci troppo ardui da tollerare nel lungo termine e la nostra adesione alle indicazioni precauzionali comincia a ridursi: ecco questo può essere il passaggio critico in cui si insinua il rischio di sviluppare sentimenti di delusione, colpa, sconforto, sino a vere note depressive.

 

Chi è più a rischio?

Sono state sicuramente più colpite dalla pandemic fatigue le persone che hanno perso familiari e amici a causa del Covid-19. Ma anche chi ha perso il lavoro o ha visto tracollare la propria situazione economica. E ancora i soggetti vulnerabili per condizioni di vita o di salute. Tutti si sono dovuti abituare a modalità di lavoro differenti e si sente sempre più spesso parlare di techno-stress: la didattica a distanza ed il telelavoro hanno spesso peggiorato una situazione di tensione ed affaticamento generalizzati.

 

La pandemic fatigue influisce sul nostro modo di prevenire il contagio?

La pandemic fatigue, però, non ha un impatto solo sul nostro benessere psicologico, ma anche sui nostri comportamenti. In effetti, l’OMS si è interrogata su un aspetto molto specifico dello stress da Covid-19. E cioè quello della relazione con i comportamenti di protezione dal rischio di contagio. Essere esposti a uno stress durevole nel tempo, può demotivare le persone, con la stanchezza mentale che può avere la meglio sui comportamenti di prevenzione.

Questo diverso atteggiamento nei confronti della protezione dal contagio dipende in larga parte dalle nostre percezioni del rischio. Dopo diversi mesi di pandemia, per esempio, è come se ci fossimo abituati a convivere con il virus, ritenendolo meno pericoloso. In realtà, come dimostrato dal verificarsi della nuova ondata di contagi dopo l’estate, il virus non ha perso la sua pericolosità e l’impennata si è placata solo grazie a nuove restrizioni. Il verificarsi di nuove restrizioni e chiusure, però, ha favorito la diffusione di una percezione per cui il peso delle limitazioni imposte alla vita privata non risulta più commisurato ai benefici ottenuti nella lotta al virus. Nel complesso, si tratta di processi che possono rendere le persone meno accorte nel prevenire i contagi, un fenomeno che può essere amplificato anche dal parallelo bisogno di autodeterminarsi e sentirsi liberi.

 

Come affrontare e gestire la Pandemic Fatigue?

Una volta identificato il problema, ossia che lo stato di ansia è provocato dalla situazione di emergenza che ci si trova ancora una volta ad affrontare, è utile correre ai ripari. Tenere sotto controllo lo stress da pandemia è possibile. Prima di tutto è fondamentale accettare il fatto che si possa essere stanchi, spossati e demotivati. È una risposta normale dell'organismo e della mente, che come autodifesa rispondono ad uno stato cronico di stress.

Entrare in contatto con le proprie emozioni è un primo passo verso una maggiore consapevolezza e la costruzione di una migliore condizione di benessere. In questa direzione, può essere molto importante anche condividere le proprie emozioni e i pensieri sulla condizione di pandemia poiché la condivisione ha l’effetto immediato di farci uscire da una condizione di isolamento e solitudine che sono parte del problema.

Molto spesso, quando ci chiudiamo in noi stessi, ci priviamo della possibilità di rispecchiarci nell’altro, di comprendere che non siamo da soli nelle difficoltà, di osservare i problemi da un’altra prospettiva e di sviluppare strategie nuove e più funzionali, rafforzando la nostra resilienza.

Può aiutarci anche lavorare sulle nostre rappresentazioni mentali, nello specifico rispetto al nesso tra il rispetto personale delle restrizioni e i benefici che derivano alla comunità di cui anche il singolo fa parte, rafforzando il nostro senso di auto-efficacia. In sostanza sarebbe utile riconoscere, con consapevolezza autentica, il profondo impatto che la pandemia ha avuto sulle nostre vite e trovare modi significativi per coinvolgerci vicendevolmente, nel rispetto delle restrizioni, a favore dei singoli e delle reti relazionali e sociali di riferimento.

Laddove diventasse difficile gestire sentimenti depressivi o un’ansia eccessiva si apre la possibilità di rivolgersi ad un  professionista, non bisogna dimenticare che la salute del nostro sistema immunitario dipende anche dal nostro benessere psicologico. Se ci sentiamo bene siamo anche più protetti dalle infezioni e dalle altre malattie. Il Consultorio Antera Onlus offre la possibilità di essere supportati nella gestione di tali problematiche attraverso la nostra equipe di psicologi-psicoterapeuti nelle tre sedi di Roma, Fiumicino e Monterotondo.