Le famiglie ricostituite di oggi sono molto diverse da quelle di un tempo. Nel passato esse si formavano dopo la morte di un coniuge, dagli anni ‘70, invece, con la possibilità anche in Italia di ricorrere a separazione e divorzio, si sono verificati cambiamenti sociali e culturali che hanno portato ad una nuova struttura di queste famiglie.
La Stepfamily Association of America le definisce famiglie “ricostituite” o “stepfamily”, ovvero famiglie composte da due partners che hanno vissuto l’esperienza della fine di un precedente matrimonio, da cui almeno uno ha avuto figli che attualmente vivono con loro. La caratteristica di fondo della famiglia “ricostituita” è quella di avere confini più sfumati e incerti di quella “nucleare” o “tradizionale” , sia in termini biologici che legali. I processi relazionali sono complessi, sia nella comprensione che nella gestione, sono dinamici ed hanno un inizio e un’evoluzione rapida. Le famiglie ricostituite sono state definite “cespugli genealogici”, per la loro ampia estensione orizzontale anziché verticale.
Le coppie che si separano sono sempre di più e fra i membri di queste coppie, circa uno su quattro si legherà ad un nuovo partner.
Secondo gli ultimi rilevamenti Istat la formazione di famiglie ricostituite è in largo aumento negli ultimi decenni, in Italia raggiungono il 28% nel 2009 (contro il 16,9% del 1998). Di queste il 37,9% vivono con figli di entrambi i partner, il 12,9% vivono sia con i figli nati all’interno dell’attuale relazione, sia con quelli nati nella precedente, l’8.6% vive con i figli della donna e l’1,5% con quelli dell’uomo.
Le famiglie ricostituite vivono la crisi di chi, con storie diverse e diversi modi di affrontare i problemi, deve trovare dei compromessi per affrontare insieme situazioni nuove.
E’ importante che i precedenti rapporti coniugali e la loro chiusura siano stati adeguatamente rielaborati, con una buona definizione delle attuali relazioni e con confini chiari, in modo che i partner possano iniziare un nuovo rapporto senza il peso di rancori o insicurezze passate. E’ importante che i figli non abbiano un atteggiamento esageratamente oppositivo verso il nuovo partner, sperando una riappacificazione tra i suoi genitori. Questo sarà direttamente proporzionale ai livelli di chiarezza e definizione raggiunti.
L’età dei figli è importante: i bambini in età prescolare potrebbero manifestare regressioni a comportamenti infantili, nascondendo il desiderio di farsi accudire più di quanto il momento evolutivo prevederebbe.
Per i ragazzi la necessità di conferme da parte del genitore biologico potrebbe invece lasciare il posto alla rabbia verso il genitore acquisito, soprattutto nella fase adolescenziale, all’interno della quale avviene il processo di costruzione della loro identità e questo radicale cambiamento potrebbe essere percepito come un ostacolo nel costruirla.
E’ importante ricordare che per i figli, il formarsi di una famiglia ricostituita, sancisce definitivamente la fine della relazione tra i genitori biologici, e spesso questo può essere correlato alla paura inconscia che affezionandosi al genitore acquisito, in qualche modo possano “tradire” quello biologico. Ciò potrebbe portarli ad allearsi con quest’ultimo e sviluppare un “senso di protezione” morboso.
Nel caso in cui nella famiglia ricomposta ci siano più figli nati dalle precedenti relazioni, i genitori probabilmente dovranno imparare a gestire conflitti e gelosie tra i fratelli acquisiti, solitamente più acute nel caso in cui alcuni bambini si trovino solo saltuariamente sotto lo stesso tetto.
La nuova famiglia dovrà crescere rispettando i ritmi e le fasi evolutive di tutti i componenti, senza troppe rigidità, così come dovrebbe accadere all'interno di qualsiasi famiglia.
Soprattutto nel caso di bambini piccoli, sarebbe opportuno cercare di mantenere una stabilità in entrambe le case per quanto riguarda l’educazione, gli orari e le attività giornaliere e lasciare che il bambino porti con sé un oggetto, anche simbolico, che mantenga un senso di continuità “fisica” tra la casa in cui vive con il genitore biologico e quella dove vive l’altro genitore biologico con la propria famiglia.
La nuova famiglia ricostituita dovrebbe, con il tempo, cercare di trovare una propria identità familiare, con abitudini ed equilibri peculiari.
Queste “nuove” famiglie ricostituite possono racchiudere al loro interno grandi risorse ed elementi di ricchezza per tutti i componenti, i quali si troveranno a contatto con abitudini, tradizioni, modelli e storie diverse dalle proprie.
Tutto questo, se integrato con nuove tradizioni e abitudini comuni, costruite e negoziate gradualmente tra i membri della famiglia ricostituita, diviene un elemento fondamentale per la crescita e il benessere di tutti, portando alla costruzione di nuovi equilibri.
Accade a volte che venga usato questo termine in situazioni che non hanno nulla a che fare con una depressione clinicamente significativa. Avere un umore depresso non vuol dire essere necessariamente affetti da un disturbo depressivo. Si può parlare di depressione in senso clinico quando sono presenti sintomi consistenti in un abbassamento del tono dell'umore: il depresso sente se stesso, la propria vita, la realtà circostante in maniera spiacevole e dolorosa. Sono presenti sentimenti di tristezza, di abbattimento, di pessimismo e di dolore. L'esistenza del depresso si svuota di significato e di interesse. La storia personale si carica di negatività, il passato non ha più esperienze piacevoli, il futuro è inaccessibile, sbarrato, non c'è più progettualità, il presente si contrae, diventa immodificabile. La depressione può investire la corporeità e la vitalità del soggetto, può esserci un senso di oppressione, di un malessere generico e pervasivo, con una sensazione di affaticabilità e disperazione.
Con il termine depressione, in realtà, non ci si riferisce ad una patologia univoca ma a una serie di disturbi, distinti tra loro, che presentano però caratteristiche comuni. Il DSM IV (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi psichiatrici) distingue:
1) Depressione maggiore: Devono essere presenti almeno cinque dei seguenti sintomi, presenti per un periodo di 2 settimane quasi ogni giorno; almeno uno dei sintomi deve essere costituito da umore depresso o perdita di interesse o piacere.
2) Distimia: è la più frequente tra le depressioni minori, cioè tutti quegli episodi depressivi meno gravi, in cui le relazioni sociali e l'attività lavorativa sono meno danneggiate. Devono essere presenti almeno due dei seguenti sintomi, in aggiunta all’umore depresso: scarso appetito, alimentazione eccessiva, disturbi del sonno, facile affaticabilità, scarsa autostima, scarsa capacità di concentrazione e sentimenti di disperazione.
3) Depressione bipolare: il sintomo principale del disturbo bipolare è l'alterazione dell'umore che passa da uno stato depressivo ad uno stato di esagerata euforia (stato maniacale). Questo stato maniacale consiste in ottimismo eccessivo, pensieri e linguaggio accelerati, avere progetti grandiosi ma poco realistici, sentirsi completamente disinibiti, eccessiva aggressività, spese folli e acquisti esagerati. In genere questi stati hanno una durata variabile da qualche giorno a qualche mese.
Come per la gran parte dei disturbi psichici, la causa della depressione è da ricercarsi nell'interazione tra fattori biologici, psicologici e sociali. Nel 10% dei casi può essere causata da malattie come le anemie o l'ipotiroidismo, o da alcuni farmaci. Nella maggior parte dei casi la depressione insorge in seguito ad eventi fortemente stressanti; tuttavia, non tutti coloro che si trovano a dover fronteggiare situazioni stressanti sviluppano un disturbo depressivo. L'intensità e la durata dello stimolo stressante, la capacità di fronteggiare lo stress ed il tipo di sostegno ricevuto da parte degli altri sia durante che dopo l'evento stressante, così come il patrimonio genetico individuale, sono le principali variabili che, interagendo tra loro, possono determinare l'insorgenza o meno dei sintomi depressivi. Anche alcuni tratti del carattere, come la difficoltà ad affermarsi, la scarsa fiducia nelle proprie capacità, l’instabilità emotiva, la preoccupazione per il proprio stato di salute, il sentirsi perseguitati da un destino avverso, possono agevolare l’insorgere di una depressione.
Per affrontare la depressione sono ad oggi disponibili diversi tipi di trattamento, che comprendono terapie farmacologiche, con l’uso di antidepressivi o ansiolitici, psicoterapie con diversi orientamenti, e trattamenti non farmacologici, come esercizio fisico, privazione del sonno e terapia con la luce.. La scelta del trattamento adeguato rappresenta un processo individuale, che dipende non soltanto dalla gravità della depressione, ma anche dalle preferenze del depresso e dal parere professionale del medico curante, il quale può decidere se usare una combinazione di più trattamenti. L’aiuto e l’atteggiamento dei familiari e degli amici ha un’importanza notevole nel dare la forza di affrontare la depressione: capire i sentimenti del malato, evitare le critiche ed un possibile isolamento sociale, sottolineare che si tratta solo di una situazione momentanea, aiuterà la persona depressa a sentirsi capita e a trovare la forza per iniziare a fronteggiare il problema.
Quando si è depressi è importante difendere e sviluppare le amicizie e la fiducia negli altri, non bisogna distruggere quelle che riescono a sopravvivere alla depressione: sono una rete di sicurezza nei momenti in cui la malattia sembra precipitare. Sarebbe utile mantenere gli interessi e le attività che vi hanno sempre accompagnato, come la lettura o un’attività sportiva, anche se sembrano impegni troppo pesanti: aiutano a non peggiorare la depressione e a sfuggire dalla solitudine. Inoltre, imparando a riconoscere i motivi della propria tristezza, si possono apprendere delle regole di rilassamento, igiene di vita, impiego del proprio tempo, riconoscimento dei problemi, che possono aiutarvi nell'intervento terapeutico.
Il paziente di tutto ha bisogno, tranne che di avere qualcuno che gli si rivolga dicendogli “basta fare questo o quello”. Pretendere reazioni, incitare all’attività, proporre soluzioni, aggredire o scuotere possono solo peggiorare la situazione. E’necessario evitare di far leva sulla forza di volontà e sulla colpevolizzazione del paziente depresso che, a causa della malattia, è già in preda a sensi di colpa e privo di energia vitale. Quello che sarebbe più utile è far capire che si è preoccupati e che si è a disposizione per trovare la soluzione giusta, chiedere consiglio ad un medico o ad uno psicologo, non criticare le cure che il vostro amico o parente sta già seguendo: in caso pensiate che non siano adeguate, cercate di indirizzarlo con tatto e senza fare critiche distruttive.
Esistono diversi tipi di trattamento psicologico, come quello individuale, quello di gruppo o familiare, che attraverso colloqui ed esercizi, gestiti da un terapeuta qualificato, aiutano il paziente a superare la crisi, lo rassicurano e lo sostengono. La terapia cognitivo-comportamentale (ad oggi la più efficace) evidenzia abitudini e comportamenti che possono favorire lo sviluppo dei sintomi, esaminando i pensieri e la visione della realtà del depresso. La terapia interpersonale inquadra le modalità di relazione con gli altri. La psicoanalisi fa emergere le cause profonde del malessere.
L’esercizio fisico può curare la depressione aiutando a vedere la vita con più ottimismo, dando una sensazione di soddisfazione e, a livello biologico, riducendo il livello dell’ormone coinvolto nella depressione. Camminare, andare in bicicletta, nuotare, giocare a pallavolo, persino fare del giardinaggio sono attività consigliate. Altri tipi di terapie che potrebbero essere utili (sotto consiglio medico), ma non molto usate sono: privazione del sonno, dopo la privazione totale o parziale di un sonno notturno, si ottiene un miglioramento dei sintomi depressivi immediato ma momentaneo: in circa la metà dei casi, infatti, dopo una dormita si torna allo stato iniziale; terapia con la luce, l’esposizione ad una luce dieci volte più intensa di quella di una stanza, determina il miglioramento dei sintomi dopo alcuni giorni, in circa il 60% dei pazienti affetti da depressione legata alla stagione; terapia elettroconvulsiva(TEC), la più controversa tecnica terapeutica. Prescritta in casi gravi con sintomi che compromettono le funzionalità del paziente, quando per esempio ha istinti suicidi, sintomi psicotici. Il paziente viene sottoposto ad una scarica elettrica che aiuta il rilascio nel cervello di sostanze antidepressive.
Nella cura della depressione può essere usata, sotto consiglio e controllo medico, una terapia farmacologia. I farmaci antidepressivi agiscono ottenendo diversi tipi di effetti: un effetto antidepressivo propriamente detto, riducendo l’umore triste, il pessimismo, l’angoscia e riducendo i sintomi somatici, come il senso di oppressione e di stanchezza; un effetto stimolante, che è conseguente a quello antidepressivo e agisce sull’apatia e sulla vigilanza, ma può produrre insonnia. Va tenuto presente che tali farmaci richiedono un certo tempo prima che facciano effetto: di norma tre o quattro settimane. Questo rende spesso necessario associare all’antidepressivo un farmaco ansiolitico o ipnotico che ha il compito di contrastare le manifestazioni della depressione, quali ansia, agitazione, insonnia. A questo scopo si usano principalmente le benzodiazepine, che hanno il vantaggio di una notevole rapidità d’azione.
Indichiamo di seguito le classi dei farmaci antidepressivi, con rispettivo principio attivo e nome commerciale:
Tra le benzodiazepine più usate citiamo:
Ognuno di essi ha differenti meccanismi di azione e tempi di azione, e differenti effetti collaterali. Lo psichiatra personalizza la cura in base alle esigenze del singolo paziente.
Prenota un colloquio psicologico gratuito a Roma, Fiumicino o Monterotondo, con uno psicologo o psicoterapeuta del Consultorio Antera
I tic sono movimenti involontari, spasmodici, ripetitivi, stereotipati, non ritmici, dovuti a contrazioni di gruppi di muscoli che svolgono una stessa funzione; i tic possono consistere anche in una produzione vocale involontaria, rapida, ricorrente, non ritmica, che insorge improvvisamente e che non è finalizzata a nessuno scopo apparente.
Sia i tic motori che quelli vocali possono essere semplici o complessi. Quindi si distinguono:
Inoltre i tic possono essere classificati come transitori, tendenti a una scomparsa spontanea, o cronici, se la loro durata è maggiore di un anno e vede l’aggiungersi di nuovi tic. Insorgono per lo più nel corso dell’infanzia ed in particolare tra i 5 e i 9 anni.
Vediamo ora come si caratterizzano i tic semplici e tic complessi nello specifico.
I tic motori semplici includono ammiccamenti, torsioni del collo, alzate di spalle, smorfie del viso, colpi di tosse, mentre i tic vocali semplici includono il raschiarsi la gola, il grugnire, il “tirare su con il naso”, abbuffare. Presentano le seguenti caratteristiche:
I tic motori complessi riguardano movimenti come il mimare, il saltare, toccare, battere i piedi, odorare un oggetto; invece i tic vocali complessi riguardano la ripetizione di parole e di frasi fuori contesto, nei casi più gravi la coprolalia, ovvero l’uso di parole oscene, e l’ecolalia (ripetizioni di suoni, parole o frasi udite per ultime). I tic complessi presentano le seguenti peculiarità:
I disturbi da tic si suddividono in due principali tipologie:
I bambini affetti da tic cronici possono presentare anche balbuzie, deficit di attenzione, disturbi nell'apprendimento, difficoltà di concentrazione.
Il Manuale Diagnostico e Statistico dei disturbi mentali, DSM-IV, in base alle premesse fatte, distingue quattro tipologie di disturbo da tic:
La presenza di tic dovuti a contrazioni muscolari involontarie, oppure deglutizione e/o respirazione “difettose” richiede un attento esame pediatrico ed eventualmente neurologico, per escludere la presenza di eventuali cause organiche, come ad esempio una sindrome con tic che segue una comune infezione da streptococco. Escluse le cause organiche si possono affrontare quelle psicologiche. Genericamente i tic possono essere dovuti a stanchezza, insicurezza, paura o rabbia. In alcuni casi si tratta di bambini che hanno subito costrizioni fisiche e motorie eccessive nel corso della prima infanzia, oppure sono stati sottoposti a forzature alimentari ed igieniche come lo svezzamento e il controllo sfinterico precoci. In altri casi piccoli interventi chirurgici, iniezioni, cure mediche o dentistiche subiti in una particolare fascia di età, 3-5 anni, possono essere stati vissuti come delle aggressioni punitive che in seguito danno luogo a tic, ma non tutti i bambini che hanno vissuto esperienze del genere in età prescolare successivamente sviluppano un disturbo da tic. Spesso si tratta di bambini molto bravi, ubbidienti, a volte piuttosto timidi ed impacciati; raramente si concedono uno scatto di collera, reagendo alle offese e alle ingiustizie tenendo il broncio e chiudendosi nel silenzio. Hanno norme interne rigide e si vietano di esprimere pensieri o sentimenti in altro modo. Può accadere che verso i 7 anni circa, di fronte a situazioni stressanti o persone, riaffiorino nel bambino stati di tensione già vissuti in precedenza e compaia il tic: all’improvviso tutto scompare così come è apparso e il corpo ha dato sfogo alla sua aggressività. Nelle forme autolesive il bambino rivolge il tic intenzionalmente verso se stesso: si accanisce nel rosicchiarsi le unghie (onicofagia), si strappa i capelli fino a creare un’alopecia (tricotillomania), sbatte la testa contro il muro. Il bambino punisce se stesso o per il senso di colpa che sperimenta nel provare sentimenti contraddittori nei confronti dei genitori o per il senso di inferiorità che sperimenta nel non corrispondere alle aspettative di genitori particolarmente esigenti. Comunque un modo per diagnosticare la causa è chiedere al soggetto cosa prova e cosa sta pensando.
Il bambino comunica il suo disagio agendolo; i tic possono apparire e scomparire in circostanze varie e in modo automatico ed involontario. Inutile insistere perché il bambino smetta. I tic semplici in genere vanno incontro ad una scomparsa spontanea. Tuttavia una consulenza psicologica che preveda un’accurata indagine personale e familiare seguita da un esame psicodiagnostico è utile, poiché colloqui di informazione e valutazione ed un intervento psicoeducativo permettono di riconoscere e comprendere il disturbo e il disagio vissuto dal bambino, e di gestire la situazione con tranquillità. Nella maggior parte dei casi è sufficiente dare alcuni suggerimenti alla famiglia, invitandola ad una condotta di attesa. Occorre tranquillizzarla circa la non gravità del disturbo, invitarla a prestare poca attenzione al sintomo, permettendo al bambino di esprimersi come vuole; laddove è possibile si può tentare una soppressione volontaria, anche se non è sempre praticabile. Tuttavia spesso emergono difficoltà di socializzazione, ritiro sociale, umore depresso, soprattutto nella fase adolescenziale, in cui l’incontro ed il confronto con il gruppo dei pari è fondamentale per la definizione della propria identità e personalità. Ai tic si accompagnano spesso sentimenti di vergogna, di frustrazione in seguito a rifiuto degli altri e all’ansia per il timore di insorgenza della manifestazione in pubblico. Nei casi in cui il disturbo da tic persiste per oltre un anno, il che avviene soprattutto in presenza di tic complessi, e in cui vi sia una significativa compromissione delle varie aree esistenziali, si effettuerà un vero e proprio intervento psicoterapeutico da integrare eventualmente con un intervento farmacologico, prescritto sotto stretto controllo specialistico, che prevede la somministrazione di antidepressivi di nuova generazione in associazione o meno con antipsicotici a basso dosaggio. L’intervento farmacologico va riservato esclusivamente ai casi più gravi e complessi, soprattutto se associati a disturbi comportamentali. Infatti non esistono farmaci specifici per questo disturbo; piuttosto esistono molti farmaci, anche di uso frequente, che possono provocarlo, attraverso un iperstimolazione del sistema nervoso centrale.
Se cerchi uno psicologo a Roma, Fiumicino o a Monterotondo, noi del Consultorio Antera offriamo aiuto Psicologico nelle nostre sede.
Prenota un colloquio psicologico gratuito a Roma, Fiumicino o Monterotondo, con uno psicologo o psicoterapeuta del Consultorio Antera
Il termine stress indica la risposta di adattamento prodotta dall’organismo ad un generico stimolo proveniente dall’esterno o dall’interno, che determina l’attivazione del sistema endocrino, del sistema nervoso autonomo e del sistema immunitario con la conseguente produzione di modificazioni corporee e psichiche volte a ripristinare l’equilibrio turbato. Dunque di per sé lo stress costituisce una risposta fisiologica a determinati cambiamenti e consente al nostro organismo di raggiungere il necessario adattamento per sopravvivere. Tuttavia, quando la reazione da stress è troppo intensa e soprattutto protratta nel tempo, le variazioni divengono stabili, predisponendo l’organismo all’insorgenza di problematiche sia fisiche che psicologiche anche gravi: questa situazione che prende il nome di di-stress determina una diminuzione delle capacità di risposta e di adattamento. Con il termine stressor si designano gli stimoli, le situazioni che determinano la risposta di stress. Fermo restando che esistono delle situazioni oggettivamente più stressanti di altre, ciascuno reagisce in base ad un sistema di pensieri appreso altamente personale: questo significa che si può rafforzare un’esperienza stressante o addirittura creare lo stress sulla base di uno stimolo leggermente negativo.
La reazione ad uno stimolo che turba il nostro equilibrio investe l’intero organismo. Il sistema nervoso autonomo fornisce il segnale necessario per l’aumento di adrenalina e noradrenalina al fine di attivare l’organismo e prepararlo a fronteggiare o ad evitare al più presto la situazione stressante. Il sistema endocrino modifica la produzione di diversi ormoni: aumentano adrenalina noradrenalina e cortisolo, mentre diminuiscono gli ormoni sessuali. Il sistema immunitario è molto sensibile allo stress: inizialmente si verifica una diminuzione della risposta immunitaria, mentre successivamente si ha un aumento nella produzione di anticorpi. Tali modificazioni sono funzionali alla sopravvivenza, ma nelle situazioni in cui si protraggono per troppo tempo determinano dei problemi, anche piuttosto gravi: frequente sensazione di stanchezza generale, accelerazione del battito cardiaco, difficoltà di concentrazione, attacchi di panico, crisi di pianto, depressione, attacchi di ansia, disturbi del sonno, dolori muscolari, ulcera dello stomaco, diarrea, crampi allo stomaco, colite, malfunzionamento della tiroide, facilità ad avere malattie, difficoltà ad esprimersi, sensazione di noia nei confronti di ogni situazione, frequente bisogno di urinare, cambio della voce, iperattività, confusione mentale, irritabilità, abbassamento delle difese immunitarie, diabete, ipertensione, cefalea.
Da quanto esposto fin qui, si comprende come la risposta d stress, in quanto risposta vitale per l’ adattamento, sia determinata da una situazione esterna o da uno stimolo interno che minacciano l’equilibrio raggiunto. Fondamentale è la percezione soggettiva che ciascuno ha dello stimolo: il sistema di pensieri personale influenza il modo in cui la persona sperimenta le situazioni. Questo spiega perché negli esseri umani lo stress può manifestarsi anche in risposta a stimoli interni, psichici, (aspettative e ricordi negativi) e perché alcuni sperimentano come altamente stressanti situazioni che per altri non lo sono, o comunque le persone producono risposte di stress di diversa intensità di fronte allo stesso stimolo, fermo restando che alcune situazioni sono oggettivamente più stressanti di altre. Per comprendere meglio il significato di quanto detto, analizziamo cosa avviene. La risposta di adattamento, si compone di tre distinte fasi: 1) Fase di allarme: mobilitazione delle energie difensive (innalzamento della frequenza, della pressione cardiaca, della tensione muscolare, diminuzione delle secrezione salivare, aumentata liberazione di cortisolo, ecc.) 2) Fase di resistenza: tentativo dell’organismo di adattarsi alla situazione; i meccanismi fisiologici tendono a normalizzarsi, anche se lo sforzo per raggiungere l’equilibrio è intenso. Infatti se la condizione stressante continua, oppure risulta troppo intensa, si entra nella 3) Fase di esaurimento: incapacità dell’organismo di difendersi e di adattarsi. Si assiste in questa fase alla comparsa di "malattie dall'adattamento" rappresentate per esempio, dal diabete o dell'ipertensione arteriosa (malattie psicosomatiche)
Lo stress di per sé non costituisce una patologia; anzi è una risposta necessaria alla sopravvivenza. Ciascuno di noi almeno una volta nella vita si è sentito stressato: dal lavoro, dallo studio, dagli impegni familiari. La quotidianità è costellata da tanti piccoli momenti stressanti che contribuiscono ad esaurire le risorse dell’organismo. La risposta di adattamento allo stress rappresenta di fatto un meccanismo compensatorio che consente l’adattamento ad una situazione avversa e che è alla base della nostra capacità di fronteggiarla: in tal modo avviene il ripristino del giusto equilibrio delle funzione biologiche. Tutto questo determina un abbassamento del tono generale dell’organismo, dovuto certamente al dispendio di energie, ma soprattutto alle difficoltà di recupero delle energie perse. Quando la durata e l’intensità dello stress superano un certo limite, il divario tra risorse richieste dall’organismo per fronteggiare la situazione e ciò che si riesce a rigenerare aumenta progressivamente, determinando uno sbilanciamento e conseguentemente un esaurimento delle riserve dell’organismo. Pertanto il trattamento dello stress è differenziato relativamente alla durata, all’intensità e alle strategie più o meno efficaci che la persona adotta per fronteggiarlo: se si tratta di un momento più o meno circoscritto nel tempo, relativamente intenso, possono essere sufficienti tecniche di rilassamento, da eseguire anche da soli a casa, al limite qualche rimedio fitoterapico per il sistema ormonale e per quello nervoso. Chiaramente se si tratta di una situazione cronica, potenzialmente molto pericolosa per il nostro organismo, occorre intervenire anche con psicoterapia e se necessario, nei casi più gravi, psicofarmaci prescritti da un medico, complementari al un percorso psicoterapeutico.
Probabilmente la terapia più efficace per contrastare gli effetti dello stress è costituito dal rilassamento che può essere raggiunto mediante l’utilizzo di svariate tecniche. Il vero benessere si fonda sia sul corpo che sulla mente, considerati nel loro legame indissolubile. Rilassarsi significa riposarsi a livello fisico e psicologico, ridurre lo stato di tensione che prepara l’organismo all’azione rendendoci inquieti e a disagio attraverso un addestramento progressivo all’autocontrollo e al rilassamento muscolare. Vediamo le tecniche più utilizzate:
Il biofeedback (retroazione biologica): insegna a rilassarsi da soli e a gestire funzioni del nostro corpo ritenute indipendenti dalla nostra volontà, come la tensione nervosa, il battito cardiaco, la sudorazione, ecc… Una macchina viene collegata al muscolo della fronte mediante tre sensori che captano lo stato di tensione della muscolatura frontale, indicativa del livello di stress dell’intero organismo, e lo trasformano in un segnale acustico, tanto più frequente, quanto più elevato sarà il livello di stress. In questo modo la persona percepisce la propria tensione emotiva in tempo reale e, cercando di evitare che la macchina suoni, impara ad esercitarsi per riportare alla normalità le sue funzioni interne. I risultati si ottengono nel medio-lungo termine: di solito il trattamento ha una durata di 12-15 sedute di 30-40 minuti ciascuna da effettuare 1 o 2 volte alla settimana.
Il training autogeno : ideato dallo psichiatra tedesco Shultz, è basato su una serie di esercizi da ripetere con costanza e disciplina per alcuni minuti al giorno, al fine di raggiungere uno stato di rilassamento muscolare e psicoemotivo autoprovocato (autogeno appunto). s pratica distesi su un divano o su una poltrona, in un ambiente tranquillo, in semi-oscurità, slacciando cinture e indumenti troppo stretti. Accanto ad esercizi fondamentali, quali autoinduzione di calma, sensazione progressiva di peso e di calore, si praticano esercizi complementari, quali esercizio del cuore, della respirazione e della fronte fresca, che provocano un rilassamento ancora più profondo. Fondamentale è la costanza nell’allenamento, da protrarre per almeno sei mesi.
Rilassamento muscolare progressivo : metodo basato sull’apprendimento della decontrazione muscolare volontaria, incentrato sulla presa di coscienza da parte della persona dello stato di contrazione o di distensione di ciascuno gruppo muscolare, passando man mano in rassegna tutto il corpo, concentrandosi su un muscolo per seduta, fino a raggiungere la decontrazione totale. L’apprendimento è piuttosto complesso e di lunga durata (un anno e più).
Eventualmente è possibile intraprendere un percorso psicoterapeutico che consenta di effettuare un lavoro sullo stress attraverso l’apprendimento di un’autoregolazione e l’allenamento ad una maggiore autonomia, ad un maggior piacere e benessere; allenamento a gestire meglio il tempo, le risorse finanziarie ed altri tipi di risorse, nonché la propria vita relazionale e sociale. Insomma il punto è cercare di equilibrare gli appagamenti e le frustrazioni quotidiane
Non è sempre necessario assumere farmaci per curare lo stress, e comunque non esistono farmaci specifici. Tuttavia vi sono delle situazioni che presentano una tale gravità da rendere impossibile l’avvio di una psicoterapia o l’applicazione di una tecnica di rilassamento e che mettono a repentaglio gravemente la salute della persone proprio per gli effetti che lo stress esercita sull’intero organismo. In questi casi il medico può ritenere opportuna la somministrazione di farmaci volti a ristabilire un equilibrio nei vari sistemi implicati nella risposta di stress (in particolar modo il sistema endocrino e il sistema nervoso per i quali potrebbe essere indicata anche una fitoterapia) e nei casi più gravi si provvederà alla somministrazione di psicofarmaci, soprattutto nei casi in cui lo stress assume connotazioni fortemente depressive o ansiose. Si rimanda pertanto agli psicofarmaci utilizzati in caso di ansia e di depressione. Comunque la farmacoterapia non è sufficiente: essa costituisce soltanto un sussidio volto a ristabilire un equilibrio minimo perché si possa intervenire attraverso le terapie precedentemente illustrate.
L'attacco di panico è una crisi d'angoscia estrema, sconvolgente, improvvisa, che comporta sintomi fisici e psichici propri dell'ansia, al massimo dell'intensità, fino a provocare la paura di morire, di impazzire e di perdere il controllo. A ciò si associano sintomi neurovegetativi quali palpitazioni, dolore toracico, sensazione di soffocamento, vertigini, vampate di calore, brividi di freddo, tremori e sudorazione. Questo disturbo compare soprattutto durante l'adolescenza o la prima età adulta e, anche se le cause precise non sono chiare, sembra esserci un nesso con le più importanti fasi di transizione della vita che portano inevitabilmente una certa quantità di stress e ansia. Tuttavia, tali episodi di panico non si verificano durante il periodo di stress, ma quando esso è stato superato, ovvero quando si allenta la tensione emotiva. I primi episodi di panico sperimentati si imprimono in modo indelebile nella mente della persona colpita, in quanto si tratta di un’esperienza inattesa e molto spiacevole. Può capitare che, dopo gli attacchi di panico, si sviluppi un processo di evitamento, per cui si limitano sempre più i movimenti e le attività, si evitano situazioni e luoghi specifici che si pensa siano associati allo scatenarsi dell’attacco. Se tale evitamento interferisce con le attività importanti di tutti i giorni, si parla di agorafobia associata ad attacchi di panico (paura ed evitamento di posti e situazioni da cui sarebbe difficile o imbarazzante allontanarsi oppure da quelle situazioni in cui si pensa di non poter avere un aiuto sufficiente).
Gli attacchi di panico possono insorgere quasi del tutto inaspettatamente, oppure in alcune specifiche circostanze che diventano particolarmente temute. Ad esempio, in una piazza, in mezzo alla folla, in un ascensore, sotto una galleria, quando si parla in pubblico, nel traffico. E’ proprio dal successivo evitamento dei luoghi in cui si è verificato il primo episodio di panico, che possono nascere le fobie, come paura degli spazi aperti (agorafobia), paura degli spazi chiusi (claustrofobia), paura di esporsi in pubblico (fobia sociale).
Il disturbo da attacchi di panico è ampiamente curabile, con una varietà di trattamenti disponibili che possono portare a miglioramenti significativi nel 70-90% dei casi. L’importante è intervenire precocemente in modo da aumentare la possibilità di bloccare la progressione del disturbo agli stadi successivi, in cui potrebbero nascere ulteriori complicanze, come l’insorgenza di fobie. Prima di intraprendere qualsiasi trattamento, sarebbe meglio sottoporsi ad una serie di esami medici per escludere la possibilità di altre cause dei loro sintomi come un eccessivo livello dell'ormone tiroideo, epilessia o aritmia cardiaca, che possono causare sintomi somiglianti. Per curare gli attacchi di panico vengono usate terapie farmacologiche e psicoterapie, meglio se in associazione. Molti dei trattamenti sono estremamente efficaci, anche se una parte delle persone che ha completato con successo una terapia può continuare a sperimentare l’ansia anticipatoria (preoccupazione eccessiva che il panico si ripresenti in determinate situazioni). In questi casi è particolarmente utile una psicoterapia di tipo cognitivo-comportamentale, che aiuta ad imparare nuovamente ad affrontare le situazioni che scatenano ansia e panico. In aggiunta a questi trattamenti, si può agevolare la guarigione dagli attacchi di panico attraverso una giusta predisposizione interna della persona coinvolta e delle persone che le sono accanto. Non vanno poi trascurati i metodi di rilassamento come il training autogeno o la musicoterapia. La scelta del tipo di trattamento dipende dalle caratteristiche del quadro clinico del soggetto, ma anche dalle sue personali preferenze.
Quando si è colpiti da un attacco di panico, la prima cosa importante è sapere e ricordarsi che si tratta di un episodio della durata di pochi minuti e che non comporta rischi per l'organismo, né puó provocare la perdita di controllo di se stessi o la morte. Durante questo momento di ansia, l'ideale sarebbe cercare di respirare lentamente, mettersi in una posizione comoda e tranquilla, ad esempio, se é possibile, sedersi o sdraiarsi. Se ci si sente svenire, é utile sollevare le gambe. Può servire anche pensare a situazioni piacevoli, a paesaggi rilassanti ed, eventualmente, alla voce del proprio terapeuta.
Per chi vuole stare accanto ad una persona che soffre di attacchi di panico, ci sono dei semplici consigli da seguire che possono aiutare a vivere meglio il problema. Intanto bisogna sapere che comprensione e disponibilità all’ascolto sono fondamentali per chi soffre, come lo è il riconoscimento dei piccoli miglioramenti: condividere la gioia, può trasformarsi in un forte punto di appoggio. Le cose che si possono fare sono valorizzare i momenti di autonomia e non sostituire mai chi sta male, nei compiti che è in grado di svolgere, anche se con fatica; riflettere e discutere insieme come collaborare per raggiungere un miglioramento dell'autonomia; aspettare che sia il malato a chiedere aiuto, piuttosto che farsi avanti con eccessive premure. E’ meglio, inoltre, cercare di ridurre scontri con la persona che soffre ed evitare di colpevolizzarla per non aver fatto ancora passi avanti. in modo da permettergli di vivere meglio stimoli e ansie.
La psicoterapia aiuta a condurre alla comprensione ed alla soluzione dei problemi psicologici, nonché, ad una reale e definitiva autonomia. La forma di psicoterapia che la ricerca scientifica ha dimostrato essere più efficace e più breve, è la cognitivo-comportamentale, individuale o di gruppo che sia: è utile, infatti, sia a bloccare l’insorgenza degli attacchi di panico, sia a ridurre l’ansia anticipatoria (a cui invece non riescono ad arrivare i farmaci da soli). Questo tipo di terapia, mira ad individuare e modificare i pensieri catastrofici collegati alla reazione ansiosa, ad identificare e modificare alcuni comportamenti che alimentano la risposta ansiosa e ad imparare ad affrontare le situazioni ansiose. Oltre ad una psicoterapia individuale, può essere molto utile ed efficace partecipare a gruppi di mutuo-auto aiuto: il gruppo permette ai pazienti di confrontarsi con altre persone con lo stesso problema, trovandovi conforto ed incoraggiamento. Ci sono poi la psicoterapia dinamica, che, ricercando nel passato i conflitti emotivi che potrebbero spiegare la comparsa del disturbo, aiuta una comprensione migliore di essi, traendone un beneficio nel superare il problema, e la psicoterapia eriksoniana, detta anche psicoterapia ipnotica o ipnoterapia: l'ipnosi, direttamente o meno, gioca un ruolo importante nel determinare il rapporto tra paziente e terapeuta, prima, e la risoluzione dei sintomi, dopo.
Prenota un colloquio psicologico gratuito a Roma, Fiumicino o Monterotondo, con uno psicologo o psicoterapeuta del Consultorio Antera