Il “bisogno” può essere definito come l’espressione della mancanza di qualcosa capace di innescare comportamenti finalizzati a colmare tale situazione di necessità. Chiaramente non tutti i bisogni riguardano in modo esclusivo l’ambito della sopravvivenza fisica dell’organismo, ma ne esistono molteplici che, più in generale, si riferiscono al benessere dell’individuo nel suo rapporto con l’ambiente.
E’ dunque, opportuno distinguere tra bisogni omeostatici, che esprimono la necessità del soggetto di mantenere in equilibrio le proprie condizioni interne e sono, pertanto, funzionali alla sopravvivenza (ad esempio mangiare, bere, dormire) e bisogni innati specifici che esprimono invece esigenze di adattamento all’ambiente da parte dell’individuo. Rientrano in questa categoria, ad esempio, il bisogno di affiliazione (ovvero di associarsi, di essere accettati dagli altri), ma anche il need of competence, ovvero l’esigenza di mettere alla prova le proprie competenze.
Frustrazione: mancato appagamento dei bisogni
Risulta evidente, dunque, come il soddisfacimento di un bisogno rappresenti la spinta fondamentale del comportamento umano. Tuttavia, fin dalla primissima infanzia, le persone non sperimentano soltanto l’esistenza di bisogni, ma spesso anche la dolorosa impossibilità di appagarli. Tale condizione viene definita frustrazione, vale a dire lo stato in cui il soggetto si trova quando, per cause interne o esterne, non può soddisfare il proprio desiderio o bisogno.
Solitamente il termine frustrazione viene utilizzato in un’accezione negativa, come il prodotto indesiderato dell’inibizione (innaturale) di un bisogno (naturale) dell’individuo. Tuttavia, tale deduzione culturalmente appresa, appare di fatto erronea. Al contrario, la letteratura in ambito psicologico è concorde nel ritenere impossibile vivere senza sperimentare la frustrazione. Nella vita di ciascun individuo, infatti, i desideri e i progetti possono sovente scontrarsi con ostacoli fuori dal controllo della persona stessa ingenerando uno stato di malessere, disagio, inquietudine, noto appunto come frustrazione. Un’indisposizione può impedire di partecipare ad un viaggio; una persona a cui si tiene può non ricambiare il medesimo sentimento, gli sforzi per ottenere un determinato traguardo lavorativo possono non produrre i risultati sperati.
Diverse reazioni possibili alla frustrazione
Se è vero, dunque, che la frustrazione rappresenta uno stato emotivo universale, non è altrettanto univoca la risposta degli individui a tale esperienza emotiva. La reazione alla frustrazione può variare notevolmente da individuo a individuo, in base alle caratteristiche di personalità, alle esperienze di vita pregresse e ai livelli di resilienza e flessibilità emotiva a disposizione. E’ dunque evidente come il modo in cui le persone sono state guidate nella gestione delle frustrazioni giochi un ruolo essenziale nella costruzione dell’identità e nel raggiungimento di una buona qualità di vita.
Educare i bambini a sperimentare e gestire la frustrazione
Fin dalla prima infanzia i genitori dovrebbero aiutare il bambino a gestire i vissuti di tristezza legati alla frustrazione senza farsi sopraffare dagli stessi, ma tentando di fare fronte all’evento frustrante trovando gli strumenti per reagire e intraprendere nuove strade di ricerca.
Preparare le persone all’esperienza della frustrazione, guidandole a trasformarla in un’occasione di crescita personale, dovrebbe essere tra i compiti principali di ogni educatore. Questo non significa ovviamente, sottoporre il bambino ad apposite e sistematiche esperienze di frustrazione, ma condurlo ad accettare il limite come intrinseco nella vita umana. Nel saggio “I no che aiutano a crescere” (1999), la psicoterapeuta britannica Asha Phillips osserva che i rifiuti che talvolta i genitori oppongono ai figli, lungi dal comprometterne la serenità, se motivati e argomentati possono invece guidarli a conoscere e a controllare i propri impulsi, a comprendere la differenza tra realtà desiderata e realtà effettiva, ad affrontare e superare le avversità. Dallo scontro con il limite il bambino non ricaverà una desolante sensazione di impotenza, ma piuttosto la consapevolezza che la realtà non sempre si adegua alle nostre aspettative e quindi è dai noi stessi (e non dalle cose) che possiamo trarre la forza necessaria per fronteggiare le situazioni di difficoltà.
Frustrazione e aggressività
Tuttavia, nei casi in cui l’individuo non possa interiorizzare un’esperienza costruttiva della frustrazione, lo stesso può sviluppare modalità meno adattive di gestione della stessa. In tal senso, alcuni studi hanno dimostrato l’esistenza di una forte correlazione tra comportamenti aggressivi e frustrazione. Nello specifico, infatti, non potendo scaricare l’energia psichica connessa all’obbiettivo che si era prefisso, il soggetto frustrato tenderebbe a reagire aggredendo direttamente l’agente frustrante (cioè la cosa o la persona che ostacola il raggiungimento dei suoi scopi), oppure, più spesso, “dislocando” l’aggressività su un bersaglio più facile da aggredire. Talvolta può accedere che il soggetto rivolga gli impulsi aggressivi verso sé stesso, attivando così comportamenti autolesionistici (lesioni fisiche, aduso di alcol o stupefacenti, condotte alimentari nocive, fino a veri e propri tentativi di suicidio). Il livello della condotta aggressiva dipende dalla rilevanza della frustrazione, e anche dalla punizione che il soggetto si attende in seguito a quella condotta aggressiva.
Gestire la frustrazione per sviluppare la nostra resilienza
Risulta evidente, dunque, che la frustrazione rappresenti un’esperienza emotiva comune e che può manifestarsi in molte situazioni della vita. Comprenderne le cause e imparare a gestirla in modo sano costituisce una risorsa essenziale per il benessere psicologico e fisico dell’individuo. La psicologia, in tal senso, offre diverse metodologie volte a fronteggiare gli ostacoli, agevolando lo sviluppo della resilienza.