Dott.ssa Anna Potenza
Lo Hata yoga è una forma di Yoga che consiste nella pratica di asana, posture volte a contrastare lo stress quotidiano, generato dai ritmi sempre più incalzanti a cui gli impegni quotidiani ci sottopongono, con l'intento di mirare all'equilibrio e al benessere psicofisico dell'individuo.
Orari dal 15 Settembre 2022
Ogni Lunedì dalle 19:00 alle 20:20
Piazza Cesare Cantù 19 Roma
(metro Colli Albani)
Contatti : 320.875.56.41
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La pratica di questa millenaria disciplina affonda le sue origini nella filosofia vedica.
I Veda sono un'antichissima raccolta, in sanscrito vedico, di testi sacri.
L’immenso patrimonio culturale dell’India è stato ed è tuttora trasmesso dalla letteratura dei Veda e dalle opere che su di essa si fondano.
Nella letteratura vedica sono rilevabili i principi del sistema filosofico più antico nell’ambito del mondo indiano: il Samkhya.
Il Samkhya, insieme allo Yoga, fa parte dei sei sistemi filosofici ortodossi che accettano l’autorità dei Veda.
Lo Hatha Yoga è una forma di Yoga che consiste nella pratica di "asana" (posture), volte a contrastare lo stress quotidiano, generato dai ritmi sempre più incalzanti a cui gli impegni quotidiani ci sottopongono. L' intento è quello di mirare all'equilibrio e al benessere psicofisico dell'individuo attraverso l'acquisizione di una maggiore consapevolezza.
Tra le tecniche tradizionali di haṭha yoga indiano, possiamo annoverare anche il "prāṇāyāma" (esercizi di respirazione), pratiche che aiutano nel predisporsi alla meditazione.
Sebbene il termine haṭha sia spesso tradotto come "forza", l' haṭha yoga è di solito associato in Occidente ad un approccio dolce e tradizionalista alle posizioni yoga distinguendosi dalle varietà occidentali più atletiche. L'haṭha yoga indiano premoderno, tuttavia, era un complesso gruppo di pratiche tantriche intense e talvolta pericolose che andavano ben oltre gli āsana e miravano a contenere le energie vitali del corpo con lo scopo finale della liberazione spirituale.
Lo yoga, se praticato con costanza, può contribuire a molteplici benefici sia fisici che mentali:
Riflessioni a partire dal film “Padri e figlie” di Gabriele Muccino
Katie è figlia unica. La figlia tanto amata da due genitori amorevoli. Improvvisamente la bambina si ritrova sola: la madre muore in un incidente e il padre, un noto scrittore a New York, viene ricoverato dopo un periodo di tempo trascorso a occuparsi di lei e del suo lavoro, in un ospedale psichiatrico a causa di una serie di problemi fisici e mentali post-incidente.
La bambina viene affidata alla zia fino al ritorno del padre, ma purtroppo non sarà per molto. Katie diventa adulta e prova attraverso il suo lavoro (diventa infatti un assistente sociale) ad occuparsi degli altri, ma è palese la sua estrema fatica a prendersi cura di sé e a costruire relazioni sentimentali sane e durature. La perdita prematura della madre e successivamente del padre e soprattutto quella “relazione paterna” così unica e speciale, congelano la possibilità di affidarsi e fidarsi delle braccia di un altro uomo, anche quando di fronte a sé si presenta qualcuno in grado di accogliere le sue ferite.
È talmente profondo il dolore che Katie non può far altro che sedurre e concedersi a chiunque mediante sesso occasionale, rischiando di perdere anche la relazione con un uomo di cui era innamorata. Nel film Katie fa un percorso psicoterapeutico, ma che cosa accadrebbe se Katie chiedesse di essere aiutata proprio attraverso l’uso dell’EMDR?
Come ormai noto, l’EMDR è il metodo d’elezione per elaborazione delle esperienze traumatiche. L’acronimo EMDR dall’inglese Eye Movement Desensitization and Reprocessing, ovvero desensibilizzazione e rielaborazione attraverso i movimenti oculari, è un trattamento psicoterapeutico scoperto nel 1989 dalla psicologa americana Francine Shapiro, la quale fece tale scoperta in modo del tutto casuale. Successivamente le abbondanti ricerche cliniche portarono a considerarlo come il trattamento evidence-based per il trauma, ma non solo.
L’EMDR si è via via trasformato in un approccio sempre più raffinato, complesso e globale, in grado di affrontare gran parte dei disturbi.
Il suo obiettivo, attraverso l’utilizzo della stimolazione alternata e ritmica degli emisferi cerebrali attraverso la stimolazione oculare, è quello di riattivare il processo di auto-guarigione del cervello e desensibilizzare i momenti più disturbanti connessi all’evento critico o potenzialmente traumatico.
Molto semplicemente si chiede al paziente di mantenere l’attenzione sulla memoria traumatica, mentre il terapeuta muove le dita della sua mano a destra e a sinistra facendo sì che gli occhi del paziente le seguano. In questo modo viene riproposto il meccanismo di elaborazione dei ricordi che molto probabilmente si attiva durante la fase Rem del sonno. Durante la notte il movimento bidirezionato e naturale dei nostri occhi ci aiuta ad elaborare i ricordi, ma quando quest’ultimi riservano un contenuto emotivo troppo forte e doloroso la nostra mentre non riesce a compiere tale processo e a posizionare il ricordo nel “giusto cassetto” della memoria.
È così che il ricordo resta nel presente, imbrigliato in reti neurali di diverso genere. Dato che la memoria traumatica non è stata elaborata, adeguatamente digerita dal soggetto, appena quest’ultimo torna a contatto con emozioni, sensazioni, vissuti, percezioni cognitive che ricordano tale memoria, la mente rivive un’esperienza molto simile a quella vissuta nel passato.
Per tal motivo l’EMDR grazie al movimento oculare fa sì che venga riattivato il naturale processo di elaborazione delle informazioni presenti in memoria e di conseguenza vengano ricreate connessioni nuove e più funzionali. Il paziente di conseguenza comincerà a vedere l’evento disturbante e se stesso da una nuova prospettiva.
Il ricordo traumatico a mano a mano che viene elaborato diventa emotivamente più tollerabile, tanto che il soggetto sa che quell’evento è accaduto, ma a livello emotivo assume una tonalità meno disturbante con la possibilità di sapere con certezza che quell’evento è accaduto nel passato e non appartiene più al presente.
Attraverso un singolo ricordo sarà possibile lavorare a più livelli: sulla memoria, sulle emozioni, sulla percezione cognitiva di sè e sulle sensazioni corporee. Non solo sarà, attraverso l’uso di tale metodologia, possibile definire un piano di lavoro che partendo dai ricordi disturbanti del passato, si sposti ai vissuti del presente ed eventualmente alle prospettive del futuro che creano difficoltà.
Nello specifico di Katie, l’EMDR (ricordando che è possibile attivarlo solo all’interno di un percorso psicoterapeutico e non come trattamento a sè stante) potrà essere utilizzato non solo sui lutti e le perdite non risolte, ma anche sull’attaccamento evitante e disfunzionale, e su come quest’ultimo vada a influire sulle relazioni attuali.
Prima di lavorare sui ricordi traumatici potrebbe essere molto importante lavorare sul rinforzo delle risorse personali e positive di Katie. Elementi quest’ultimi che gradualmente l’aiuterebbero a modificare la percezione negativa di sé e a cominciare in modo sempre più chiaro a credere in se stessa e nella possibilità che oggi, in quanto adulta, avrebbe, di costruire e mantenere una relazione sana.
Solo in questo modo Katie sarà libera di scegliere in modo consapevole le sue relazioni senza continuare ad essere vittima di un dolore congelato e senza continuare a scappare prima ancora che qualcun altro l’abbandoni.
Il Consultorio Antera Onlus, nelle sedi di Roma, Monterotondo, Fiumicino, offre l'opportunità di incontrare psicoterapeuti esperti nelle difficoltà legate a vissuti traumatici, accogliendo e accompagnando gli individui all'interno del proprio percorso terapeutico, anche attraverso l'utilizzo della tecnica EMDR.
Quando parliamo di trauma in termini psicologici facciamo riferimento ad una lesione della sfera psichica causata da eventi che irrompono nell’esistenza dell’individuo in modo distruttivo.
Il trauma può essere dovuto all’esposizione ad un singolo evento oppure a episodi regolari e ricorrenti a cui l’individuo non riesce a reagire e che non può elaborare.
Solitamente l’effetto del trauma è correlato alle caratteristiche di personalità della persona, nonché alle condizioni psicofisiologiche in cui si trova nel momento in cui è esposto all’evento traumatico ma anche dalla natura del conflitto psichico che rende impossibile per il soggetto integrare quella esperienza nel suo bagaglio esistenziale.
Alla base del trauma vi è l’impossibilità di costruire un significato coerente e per recuperare una dimensione di benessere è fondamentale l’integrazione e la rielaborazione di tale significato rispetto all’esperienza vissuta.
L’ipnosi e la psicoterapia ericksoniana rappresentano una importante risorsa terapeutica che consente alla vittima di trauma un’opportunità per elaborare le emozioni, le sensazioni, le credenze disfunzionali associate al vissuto traumatico.
Quando un soggetto è traumatizzato sperimenta un’interruzione nel senso di continuità del Sé, uno stato di allerta, come se, il pericolo fosse presente anche se non lo è più, ha la sensazione che l’evento stia riaccadendo nel qui e ora ed è questo che crea tanta destabilizzazione.
Intraprendere una psicoterapia associata alle tecniche ipnotiche non equivale ad eliminare dei file mentali associati all’episodio traumatico, ma consiste nell’attivazione di una adeguata rielaborazione, che consente di integrare i vissuti gravosi del passato in modo tale da disinnescare il loro condizionamento sul presente.
Secondo Erickson, l’ipnoterapia va considerata come un processo mediante il quale aiutiamo le persone a utilizzare le loro associazioni mentali, ricordi e potenzialità vitali per raggiungere il proprio scopo terapeutico, attraverso la Co-costruzione di uno spazio esperienziale senso-motorio complesso, l’attivazione deliberata dei sistemi motivazionali e attraverso l’Attivazione deliberata della dissociazione.
Non si tratta di una semplice relazione terapeutica, ma di una particolare interazione tra individui che modifica la strutturazione della coscienza che gli psicoterapeuti ericksoniani chiamano Rapport.
In questa esperienza sono centrali la trance ipnotica e la riattivazione di modalità precoci di relazione, quali l’holding genitoriale e l’attaccamento, ma anche la sessualità, la competizione e la cooperazione.
Il rapport si configura come esperienza psichica e somatica complessa, nella quale la fisicità, espressa o immaginata, svolge un ruolo centrale.
Ma l’ipnosi è anche e soprattutto, uno stato alterato di coscienza, uno Stato Dissociativo ed è per questo che può essere considerata una delle tecniche d’elezione delle esperienze traumatiche.
Tecniche Ipnotiche
Erickson considerava l’inconscio una forza positiva, un grande deposito di “cose imparate” (che non ci si ricorda più di aver appreso) o di “attrezzi o strumenti” (di cui si è dimenticata l’esistenza) tutta da riscoprire. È esso stesso una metafora, un’immagine mentale utilizzabile nell’induzione ipnotica.
Mentre si induce la trance, la mente razionale e cosciente viene silenziata, divenendo meno attiva e consapevole; in questo modo la nostra “sentinella”, pur continuando ad osservare gli stimoli provenienti dall’esterno, permette loro di “entrare “liberamente all’interno. Parlare il linguaggio dell’inconscio, avvalendosi di immagini, simboli, suggestioni, favole, consente un efficace allentamento delle difese e delle resistenze critiche e analitiche.
Lo scopo della psicoterapia ipnotica è l’esperienza trasformativa.
La (relativa) brevità e intensità dell’intervento terapeutico che caratterizzano l’approccio ericksoniano non devono ingannare. Brevità e intensità non sono funzione degli artifici tecnici, quanto della concentrazione di eventi psico-fisici: holding intenso (e relativa riattivazione di modelli innati di relazione) e modificazione dello stato di coscienza, che comportano processi ideodinamici propri della trance, attivazione emozionale e mnesica, costruzione di un contesto affettivo ricco e favorevole all’espressione di modalità comportamentali ed esistenziali più soddisfacenti ed appropriate.
Erickson diceva: “Io ho sempre fiducia nel mio inconscio. Vedete, troppi psicoterapeuti cercano di programmare che cosa dovranno pensare, invece di aspettare e vedere che stimolo ricevono, e poi lasciare che la loro mente inconscia reagisca a quello stimolo […] ci sono molte cose che sappiamo, e che non sappiamo di sapere che lo sappiamo […]. Abbiate fiducia nell'inconscio. È un modo piacevolissimo di vivere, un modo piacevolissimo di ottenere le cose” (Gordon e Meyers-Anderson p. 22).
Il Consultorio Antera Onlus, nelle sedi di Roma, Monterotondo, Fiumicino, offre l'opportunità di incontrare psicoterapeuti esperti nelle difficoltà legate a vissuti tramatici, accogliendo e accompagnando gli individui all'interno del proprio percorso terapeutico.
Il percorso adottivo può rappresentare una sfida dura e affascinante, carica di emozioni contrastanti, cerchiamo di approfondire insieme i diversi punti di vista dei protagonisti di questo lungo viaggio.
Un bambino che sperimenta l’abbandono vive una situazione traumatica che influenza e a volte condiziona il legame di attaccamento alle nuove figure genitoriali.
Possiamo dire che le manifestazioni dei problemi di attaccamento dipendono da vari fattori come:
Nella vita di un bambino che ha già sperimentato questo duro momento anche il percorso di adozione è un cambiamento e rappresenta nello stesso tempo sia una perdita sia un'acquisizione poiché nella stessa esperienza il bambino sperimenta una separazione dall’ambiente che conosce ed un nuovo attaccamento con figure adulte nuove.
L'ingresso nella nuova famiglia, infatti, può provocare nel bambino il riacutizzarsi di alcune difese che lui ha dovuto utilizzare in tempi passati per mantenere il proprio equilibrio proteggendosi da un lato dal suo dolore e per sviluppare una capacità maggiore di tollerare la situazione.
Le figure di riferimento adulte sono la nostra “impalcatura” di sicurezza per affrontare le esperienze, il bambino che non è stato sostenuto nei suoi primi passi di esplorazione del mondo dalla figura di riferimento e che non ha ricevuto il sostegno di una figura capace di contenere le sue emozioni sarà più affaticato nella ricerca di un equilibrio, che dovrà scoprire da solo passo dopo passo.
Lo sviluppo del bambino sia affettivo che corporeo necessita di alcune condizioni essenziali che sono la stabilità, la continuità e la sicurezza. Tali caratteristiche sono fondamentali anche nella costruzione del legame affettivo che consente, in condizioni favorevoli, di accogliere e dare significato alle esperienze dolorose del passato che spesso sono caratterizzate dal vissuto di essere stati rifiutati, perché inadeguati e cattivi e quindi non degni di amore.
Ad esprimere il disagio del bambino e anche il forte bisogno di accettazione spesso troviamo due diverse modalità di comportamento: il bambino oppositivo e il bambino compiacente.
Queste modalità che spesso sono molto faticose da comprendere per il nuovo nucleo rappresentano l’aspetto di adattamento più importante del sistema famiglia che si sta creando e come tutti i sistemi ha bisogno di provare le dinamiche di accoglienza e espulsione.
Nel primo caso il comportamento oppositivo del bambino è un tentativo di reagire alla paura di essere nuovamente abbandonato; attivando dei comportamenti faticosi da gestire per l’adulto, il bambino, cerca di metterne alla prova la stabilità e l'affidabilità. Il secondo, bambino compiacente rappresenta il tentativo di creare il nucleo familiare ideale comportandosi in modo da rispondere alle aspettative ideali dei nuovi genitori e non correre il rischio di essere nuovamente abbandonato.
Mentre il bambino oppositivo per essere sicuro che la nuova famiglia lo accetti, si comporterà in modo da apparire perfetto in base alle aspettative dell’adulto, il bambino compiacente, per essere sicuro di piacere può correre il rischio di allontanarsi da quelli che sono i suoi desideri, i suoi veri sentimenti sposando quelli degli adulti che lo circondano.
Questi meccanismi di espressione del disagio sottolineano la natura dell'estrema fragilità di un bambino che ha subito il trauma dell'abbandono.
Elaborare con l’aiuto di terapeuti esperti i fantasmi che provengono dal passato sia del bambino ma anche della coppia, integrandoli nella esperienza affettiva dell’adozione permetterà al bambino di realizzare pienamente il proprio progetto di vita e agli adulti di accogliere l’altro con un’apertura costruttiva priva di barriere e di ostacoli. Il lavoro di accoglienza spesso richiederà alla coppia molto tempo e presenze affettuose oltre che pazienti.
Forse questa è la frase più significativa che racchiude le sensazioni e le emozioni di un processo complicato e a volte doloroso come quello dell’adozione.
La dimensione dell'imparare a voler bene a un bambino che non è nato dalla coppia è poco esplorata. Spesso il momento dell’incontro viene descritto come un innamoramento immediato, in realtà non sempre è così, la coppia che ha spesso fantasticato sulle caratteristiche del bambino, su quel momento di incontro idilliaco potrebbe essere delusa dalla non corrispondenza tra l’immaginario e il reale; la difficoltà spesso è legata ad una sorta di regola implicita che prevede di non poter ammettere di non essersi subito innamorati di quel bambino, dopo tutta la fatica fatta per diventare genitori e per arrivare a vivere delle emozioni importanti.
Nella realtà, ci può volere del tempo perché per quanto si sia desiderato incontrare il bambino che diventerà il proprio figlio, il bambino in carne ed ossa è sempre diverso da quello immaginato e la coppia spesso ha bisogno di tempo per elaborare il lutto di un’aspettativa irrealistica e di una costruzione ideale di un bambino/ rapporto perfetto.
Porre l’attenzione non solo sulle emozioni positive del momento dell’incontro ma anche sul senso di disorientamento che il genitore può provare nel momento in cui non avviene quello che aveva immaginato o che gli era stato detto è molto importante perché permette di non solo di comprendere che determinati vissuti possono essere provati e che sono “sani”, ma anche di andare oltre in modo costruttivo, accogliendo veramente tutto ciò che sta succedendo.
Possiamo sicuramente affermare che il disorientamento non appartiene solo alla coppia di genitori ma anche al bambino che si trova catapultato in un ambiente completamente diverso da quello che aveva conosciuto fino a quel momento e in cui si era sentito tranquillo perché lo conosceva; il bambino si sentirà, probabilmente, nelle mani dei due adulti che lo hanno accolto e tutti i suoi sforzi sono nella direzione di capire che cosa ci si aspetta da lui.
Il compito principale del genitore adottivo è accettare lui per primo che il legame di attaccamento non è un interruttore che può essere comandato in tempi molto brevi, importante diventa autorizzarsi a essere spaesati e a poterlo condividere con le persone giuste a partire dal partner, se i genitori si autorizzano a provare tutte le emozioni permettono al bambino di esprimere le proprie.
Diventa fondamentale nel processo ascoltarsi e ascoltare, osservarsi e osservare, facendo attenzione a non proiettare sul bambino significati della propria storia o propri bisogni.
L'adulto si assume la responsabilità di autorizzare sé stesso ed il bambino a essere autentici, senza recitare il ruolo del bravo genitore perfetto e senza obbligare il bambino a fare altrettanto. La seconda grande responsabilità che si assume l'adulto in veste assoluta di genitore è trasmettere il messaggio "ce la facciamo insieme, io ti guido, ma la strada la stiamo costruendo insieme".
Queste sono le poche ma importantissime cose da tener presenti perché la strada della costruzione è molto lunga e difficile e condividere il carico permette a tutta la famiglia di “vincere” una grande battaglia: quella di volersi bene.
Possiamo dunque concludere questa breve riflessione sul percorso adottivo sottolineando l’importanza dei tempi che permettono di elaborare tutti i vissuti della coppia; fattore molto importante diventa concedersi di provare le emozioni e di chiedere un sostegno per elaborare sia il lutto rispetto alla gravidanza e al figlio tanto desiderato, sia le paure per accogliere un terzo che porta con sé tutta una serie di esperienze spesso faticose.
Il Consultorio Antera Onlus, nelle sedi di Roma, Monterotondo e Fiumicino offre la possibilità di incontrare psicoterapeuti esperti nelle difficoltà legate ai percorsi adottivi, accogliendo e accompagnando gli individui all'interno di percorsi individuali e di coppia.
Da sempre l’uomo ha cercato di esercitare la sua capacità di controllo sul mondo e su se stesso, come strategia di adattamento e sopravvivenza.
Come affermava Erodoto: “Di tutte le miserie umane la più amara è questa: conoscere così poco e non avere controllo su niente”. Oggi posiamo riscontrare come la maggior parte delle persone apprezza i vantaggi di una routine prevedibile e di far andare le cose secondo i piani.
Ma alcuni di noi si sentono molto stressati, seccati o arrabbiati quando la vita prende una piega inaspettata, sia che si tratti di un incidente per strada andando al lavoro o di qualcosa di minore come i figli che lasciano un gran disordine in salotto.
Ecco alcuni segnali che potrebbero indicare che una vulnerabilità rispetto all'instaurarsi di dinamiche controllanti:
Certamente, alcuni di questi tratti e comportamenti possono essere vantaggiosi. Ma se i tuoi controlli sono eccessivi allora questo tipo di comportamento finirà con il generare circuiti di ansia e malessere
Il nostro bisogno di sentirci sotto controllo è guidato dalla paura. Molte persone si sentono spaventate e ansiose quando pensano a tutte le cose che sono fuori dal loro controllo e a tutto ciò che potrebbe andar storto.
Controllo e certezza ci danno un senso di sicurezza. Quindi, è naturale voler controllare le cose (e le persone) con l’idea che se possiamo controllarle, saremo al sicuro e felici o di successo). Cercare di controllare le cose – essere rigidi, esigenti e perfezionisti – diventa il nostro modo di affrontare la paura e l'ansia.
Il problema è che non possiamo controllare la maggior parte delle cose nella vita e cercare di controllarle non necessariamente migliora le nostre esistenze. Come sapete, il controllo può creare una serie di problemi come stress e relazioni interpersonali tese.
La ricerca incessante di perfezione aumenta lo stress fisico ed emotivo. Ad esempio, potresti provare i sintomi comuni dello stress come mal di testa o problemi gastrointestinali, dolore al collo o alla schiena, disturbi del sonno, bassa energia, procrastinazione e sensazione di poca motivazione, irritabilità o rabbia, abbassamento del tono dell'umore o preoccupazione costante. Come puoi immaginare, questo tipo di stress ha un impatto sul tuo corpo e mente e rende difficile vivere la tua vita al meglio. Quando controlliamo, anche le nostre relazioni soffrono. Rischiano di essere difficili, prepotenti, critici nei confronti degli altri. Di solito procuriamo distanza emotiva e ferite relazionali.
Sembrerebbe difficile stimolare un qualunque cambiamento là dove si preferirebbe, come affermava Amleto “piuttosto sopportare i mali che abbiamo, che non volare verso altri che non conosciamo”. Eppure il cambiamento è possibile e auspicabile.
Mollare un po’ il controllo comporta si il rischio di confrontarsi con incertezza e paure, ma ci metterebbe in contatto con i nostri desideri e bisogni più autentici e profondi portandoci a condurre una vita più piena e sorprendente.
Il Consultorio Antera Onlus, nelle sedi di Roma, Monterotondo e Fiumicino offre l'opportunità di incontrare psicoterapeuti esperti nelle difficoltà legate all'esigenza di controllo , accogliendo e accompagnando gli individui all'interno del proprio percorso terapeutico.