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Che cosa sono le Emozioni?

Nel film “Inside Out” la Disney Pixar affronta il tema delle emozioni, nello specifico quelle di base come paura, gioia, rabbia, tristezza e disgusto, mostrando il loro ruolo e importanza nel quotidiano delle nostre vite. Il film ci ricorda che tutte le emozioni, anche quelle sgradevoli, sono degne di attenzione e vanno esplorate al fine di comprendere meglio i significati delle cose e capire cosa vogliamo o non vogliamo.

Spesso parliamo e sentiamo parlare di emozioni, ma sappiamo veramente spiegarle? Pur non essendoci una definizione scientifica univoca, potremmo descriverle come brevi, involontarie, totalizzanti risposte complesse dell’organismo ad eventi interni ed esterni rilevanti. La loro natura multisistemica implica il coinvolgimento di diverse componenti:

  • la valutazione cognitiva o appraisal, cioè l’interpretazione da parte dell’individuo di un determinato antecedente emotigeno
  • il comportamento ovvero le risposte verbali e non verbali e le azioni
  • le risposte fisiologiche o arousal dell’organismo (variazioni nella frequenza cardiaca e respiratoria, sudorazione, pallore, rossore, etc.),
  • il vissuto soggettivo o vulnerabilità emotiva agli stimoli

 

Ai fini del benessere personale, quando proviamo una determinata emozione in un determinato contesto che crea una situazione instabile, cerchiamo di modulare l’esperienza emotiva in modo tale da renderla coerente al contesto in linea con le nostre aspettative, attiviamo cioè un processo di regolazione emotiva.

Per regolazione emotiva si intende una serie di abilità che possono essere apprese sin dall’infanzia:

  • riconoscere il tipo di emozione;
  • inibire gli impulsi e i comportamenti inadeguati causati da emozioni, positive o negative, particolarmente intense;
  • organizzare le proprie emozioni in modo coordinato in vista di un obiettivo;
  • calmare in modo autonomo l’attivazione fisiologica indotta da forti emozioni;
  • mantenere focalizzata la propria attenzione in presenza di emozioni forti

 

Tuttavia non sempre siamo in grado di ripristinare la stabilità interna in seguito all’attivazione di un’emozione, ma anzi ci sentiamo sopraffatti come se non riuscissimo ad agire un controllo su ciò che accade dentro di noi. Siamo in preda alla disregolazione emotiva. 

 

Che cosa è la Disregolazione Emotiva?

La disregolazione emotiva è, malgrado gli sforzi compiuti, l’incapacità di avere una buona consapevolezza delle nostre emozioni, e soprattutto di fornire delle risposte adattive, di compiere azioni adeguate per regolare o ricondurre entro la norma gli stimoli, le esperienze, le risposte verbali e/o non verbali.

Qualora questa inabilità alla riorganizzazione emotiva si presenta per un’ampia gamma di emozioni e di contesti ed è caratterizzata da una severa vulnerabilità emotiva, cioè dalla tendenza a reagire in modo intenso e rapido di fronte a stimoli emotivi anche minimi e dal lento ripristino del tono emotivo di base, si parla di disregolazione emotiva pervasiva.

 

Le cause della disregolazione emotiva

Secondo il modello dello sviluppo biosociale dell’individuo, la disregolazione emotiva è il risultato della predisposizione biologica, del contesto ambientale e della combinazione di questi due fattori e del loro reciproco rinforzo che nel corso del tempo comporta l’acquisizione di caratteristiche individuali e strategie di coping disadattive.

Vediamo più nel dettaglio questi tre fattori:

  • La predisposizione biologica: oltre a fattori biologici (ereditarietà, traumi natali, perinatali, o traumi neurologici, malattie occorse dopo la nascita, effetti delle esperienze precoci di apprendimento), esistono due  dimensioni temperamentali particolarmente determinanti per lo sviluppo nel bambino di una severa vulnerabilità emotiva, e queste sono uno scarso effortful control (ovvero un insieme di comportamenti di autoregolazione) e un’affettività negativa (impulsività, frustrazione, incapacità di venire consolati)
  • Il contesto ambientale, in particolare quello di cura familiare, può influenzare lo sviluppo del bambino sotto tre aspetti principali:
    • la tendenza all’invalidazione delle emozioni associata ad una incapacità ad esprimerle attraverso modalità adeguate;
    • uno stile di interazione che rinforza l’attivazione emotiva;
    • una scarsa adeguatezza dello stile dei caregiver nei confronti del temperamento del bambino. Può accadere dunque che le richieste del bambino superino le capacità dell’ambiente familiare di fornire risposte.
  • L’elemento particolarmente determinante è l’invalidazione in cui si coinvolgono in un circolo vizioso di rinforzo entrambi le parti: il bambino vulnerabile emotivamente, che usa l’espressione emotiva come sistema di comunicazione e se non ottiene una risposta adeguata intensifica l’emozione per rafforzare il messaggio comunicativo; il caregiver, che non recepisce o disconosce il messaggio comunicativo, rispondendo in maniera inappropriata, imprevedibile, insensibile, estrema (ipo o iper risponde). Un esempio di invalidazione è quando il bambino piange e il caregiver non si sintonizza con i bisogni di questo, provando a consolarlo o cercando di capirne la causa, ma lo zittisce con frasi del tipo “Smetti di fare il piagnucolone” o “non hai sete, hai bevuto poco fa”. Tale discrepanza nel tempo porta il bambino ad apprendere che le esperienze dolorose sono attribuibili a sue caratteristiche individuali negative, a non avere fiducia nella sua percezione ed interpretazione degli eventi interni ed esterni, e dunque ad acquisire comportamenti disadattivi ripetitivi. 

 

La disregolazione emotiva e le sue implicazioni

La disregolazione emotiva, che ricordiamo consiste nell’inabilità a regolare l’attivazione emotiva, interferisce con lo sviluppo e il mantenimento del senso del sé, prodotto di un processo di auto-osservazione e di osservazione delle reazioni altrui alle proprie azioni, e che necessita di coerenza e prevedibilità emotiva.

Nei soggetti con disregolazione emotiva pervasiva si rileva un senso d’identità inadeguato, o a volte assente del tutto, con conseguente difficoltà relazionali interpersonali, poiché queste richiedono spontaneità nell’espressione emotiva, capacità di autoregolazione emotiva e di tolleranza degli stimoli emotivamente dolorosi. Tali soggetti possono sviluppare relazioni altamente caotiche ed anche divenire iperdipendenti dagli altri, di cui temono l’abbandono.

La disregolazione emotiva pervasiva ha anche implicazioni sul piano comportamentale, ovvero nel tentativo di regolare l’esperienza emotiva e indurre sollievo ad emozioni ingestibili, l’individuo attiva strategie disadattive, quali abuso di sostanze, tentativi autolesivi o suicidari, comportamenti impulsivi. Questi effetti della disregolazione emotiva e della disregolazione comportamentale si possono riscontrare tipicamente in pazienti con Disturbo Borderline di Personalità ma anche con Disturbi dell’Umore e Disturbi d’Ansia

 

L’aiuto psicologico

Alla luce di quanto descritto si può concludere che chiedere un supporto psicologico possa essere un passo per ristabilire un benessere personale. Il trattamento psicoterapeutico può aiutare i soggetti con disregolazione emotiva ad esplorare il repertorio che mettono in atto per modulare le loro emozioni, identificare i meccanismi di funzionamento disfunzionali e lavorare sullo sviluppo di strategie di coping alternative e adeguate.

Il Consultorio Antera Onlus, nelle sedi di Roma, Monterotondo e Fiumicino offre la possibilità di incontrare psicoterapeuti esperti nell’ambito della disregolazione emotiva, accogliendo e accompagnando gli individui all'interno del proprio percorso terapeutico.

 

Bambini e uso della tecnologia: imparare a muoversi fra opportunità e rischi

Negli ultimi anni, l’avanzare della tecnologia ha avuto una diffusione così rapida da sfuggirci di mano, ma al contempo, ha dato la possibilità di porsi delle domande e riscoprire vecchi mondi che erano stati quasi dimenticati. Senza tediarvi con numeri e statistiche, né tantomeno scegliere la definizione migliore tra nativi digitali (Prensky 2001) o net generation (Tapscott 1999), vogliamo riflettere sui cambiamenti che si sono registrati nel corso degli anni e che coinvolgono il modo di pensare, di apprendere, di percepire l’identità dei vostri figli e di conseguenza le relazioni con gli adulti.

 

Come mai i bambini piccoli sono così attratti dai tablet?

Partiamo dalle origini: ogni bambino possiede in maniera innata, la capacità di apprendere attraverso l’esperienza, questa capacità si chiama rappresentazione enattiva o operativa, così definita dallo psicologo cognitivista Jerome Bruner; questa abilità importantissima nelle prime esperienze, viene via via sostenuta con la crescita, dalla possibilità di sfruttare le immagini e successivamente il linguaggio, ad altre modalità rappresentative simboliche. La modalità rappresentativa, è quella che i bambini utilizzano nei loro primi tentativi di esplorazione del mondo, che avvengono principalmente a livello tattile: essendo questa, la modalità di interazione prediletta delle tecnologie touch screen, anche i bambini di pochi mesi ne sono attratti. Inoltre, gli stimoli luminosi, i colori vivaci e i suoni sono attrattive comuni con molti dei giocattoli che i bambini a questa età usano, ed è per questo che riscuotono un così grande successo.

 

Cosa succede da un punto di vista cognitivo ad un bambino quando è esposto al display tattile a lungo?

 Mentre psichiatri infantili come Serge Tisseron coniano la regola del 3,6,9,12 che suggerisce nessun schermo digitale fino ai tre anni compiuti, nessuna console di videogiochi fino ai sei anni, nessun accesso ad Internet prima dei nove e accesso libero alla rete solo dopo i 12 anni, c’è chi mantiene un atteggiamento più neutrale.
Il prof. Giuseppe Riva (docente di psicologia dei nuovi media presso l’Università Cattolica di Milano) , ha evidenziato alcuni pro e contro dell’utilizzo dei nuovi dispositivi touch screen da parte dei più piccoli, affermando che: se da un lato migliora il processo di coordinamento dei movimenti e velocizza il processo decisionale, dall’altro l’utilizzo intuitivo di tali dispositivi riduce la capacità di mantenere l’attenzione su un compito a lungo.

Inoltre Riva afferma che, il multitasking (tipico di questi strumenti) richiede un uso distribuito dell’attenzione, che potrebbe in qualche modo penalizzare lo sviluppo delle abilità di attenzione sostenuta e delle capacità attentive in generale, anche se, la stessa caratteristica, sembrerebbe stimolare le abilità di integrazione cognitiva e l’elevata intuitività, fornire un’importante motivazione e un rinforzo all’utilizzo.

Gli aspetti caratteristici dei “nativi di digitali”, sembrano essere una maggior capacità di acquisire informazioni, e quella di sviluppare processi di pensiero differenti, per via della possibilità di essere sempre connessi alla rete.

Di contro però, tali aspetti comportano un maggior rischio di “dipendenza” dalla rete stessa, in quanto senza di essa non si è mai allenata la capacità di recuperare informazioni; inoltre, è vero che i nativi digitali, posseggono un numero di informazioni estremamente maggiore rispetto ai bambini di qualche anno fa, ma accumulano molte lacune rispetto alle informazioni stesse, minando in questo modo le loro future competenze di base.

Altri studi di carattere neuropsicologico, sembrano evidenziare come l’uso di strumenti informatici attivino aree cerebrali diverse, rispetto a quelle sollecitate da altre esperienze sensomotorie, pertanto è fondamentale che vengano sollecitate entrambe.

 

Come comportarsi con i propri figli?

Per un bambino, la percezione è lo strumento con cui corpo e mondo esterno entrano in contatto, dando inizio all’opera di co-costruzione della mente, quindi, il contesto diventa di primaria importanza rispetto alla gamma di esperienze a cui il bambino può accedere, e chi ha il compito di selezionare il contesto? Voi.

Se il contesto che fornite è dato solo da supporti informatici, sicuramente i bambini diventeranno abilissimi nel riconoscere le immagini del desktop, le icone delle applicazioni e il loro funzionamento, ma avranno delle carenze in altro.

Attività di manipolazione con materiali quali plastilina, pongo, tempere a dita, costruzioni o giochi fisici come il pallone, il parco, sono molto importanti per permettere al bambino di sviluppare il proprio schema corporeo e affinare la coordinazione oculo manuale. Per i bambini, così come per gli adulti (anche se tanti lo hanno scordato) è fondamentale fare esperienze che coinvolgano i cinque sensi, e lo è ancor di più dare rilievo ai giochi esperienziali che consentono di percepire il proprio corpo nello spazio. Una difficoltà motoria, infatti, influenza sia lo sviluppo del linguaggio sia le attività di lettura e scrittura.

Purtroppo la letteratura scientifica sta iniziando a trovare delle evidenze sempre più forti del fatto che l’aumento smodato di disturbi dell’apprendimento dei piccoli di oggi possa avere una correlazione con queste difficoltà. Un uso regolamentato e consapevole del tablet può essere utile, a patto però che venga affiancato ad altre attività, come la lettura, il gioco libero, i giochi immaginativi, le attività creative e via dicendo. Non dimenticate infatti che, mentre per gli adulti tablet, smartphone sono l’ultima evoluzione di un progresso tecnologico portato avanti negli anni, per i bambini che nascono oggi si tratta di oggetti di uso comune, la cui quotidianità deve essere ancora completamente costruita. Non è un bene considerare questi strumenti una baby sitter ma occorre considerarli come un mezzo, e non un fine, di condivisione ed esperienza con i propri figli.

 

Suggerimenti per un uso corretto e funzionale della tecnologia da parte dei bambini

E importante prestare attenzione alla scelta delle app che scaricate per i vostri figli, chiedetevi se sono adatte alla sua età e alla sua persona (lo stesso vale per i programmi tv); date un’occhiata ai contenuti, al contesto (ovvero per quanto tempo, con quale frequenza e con quali modalità mio figlio utilizza il tablet o guarda la tv? Lo sostituisce a tutto il resto?).

Stabilite delle regole, per voi e per loro e soprattutto non dimenticate che siete il loro esempio, la loro guida, e come dice Marie von Ebner-Eschenbach:

I bambini danno molta più importanza a ciò che i genitori fanno, piuttosto che a ciò che essi dicono”.

E allora, quando sembra che non ascoltino le vostre parole, prendete il loro viso tra le mani, guardateli intensamente, spiegate loro quello che non hanno voluto udire e accompagnateli nel tortuoso mondo del saper fare.

 

Bambini e smartphone: quando lo psicologo può aiutare?

Il Consultorio Antera Onlus  può offrire un supporto specializzato alle famiglie che vivono delle difficoltà con i lori figli legate all’uso della tecnologia, valutando per ogni situazione la specificità di un intervento che possa essere supportivo. Se desideri maggiori informazioni o avere un confronto sulla tematica contattaci, saremo lieti di risponderti il prima possibile.

 

Bibliografia:

  • “Cosa ci ha rubato la tecnologia?”, articolo apparso su La mente è meravigliosa il 28 ottobre 2015
  • Endangered Minds: Why Children Don’t Think—and What We Can Do About It; M.Healy J. 1999
  • Genitori tecnovigili per ragazzi tecnorapidi ; Mazzucchelli C; pubblicato da Delos Digital nella collana Techovisions.
  • “Infanzia, media e nuove tecnologie: strumenti, paure e certezze” di Pira, Marrali, ed. Franco Angeli (2007).
  • MEDIA EDUCATION – Studi, ricerche, buone pratiche © Edizioni Centro Studi Erickson S.p.a.ISSN 2038-3002 –Vol. 7, n. 2, anno 2016.
  • Proust e il calamaro. Storia del cervello che legge;Wolf M; 2009.

La rabbia è un’emozione di base, universale che appartiene all’esperienza umana comune e condivisa a prescindere dall’età, dalla cultura e dall’etnia di appartenenza. Essa deriva dall’istinto di difendersi per sopravvivere nell’ambiente in cui ci si trova; possiamo dunque affermare che ha una funzione adattiva.

 

 Spesso guardando un bambino appena nato o di pochi mesi possiamo notare dei comportamenti che suggeriscono che quest’emozione esiste da sempre e permette di sopravvivere anche se sopraggiunge una condizione di disturbo.

All’inizio la rabbia è quindi adattiva; successivamente, un ambiente ostile o dei bisogni negati potrebbero far manifestare la rabbia “disadattiva” che crea malessere.

In gergo comune quella che spesso viene chiamata rabbia fa riferimento a un’emozione che può definirsi a valenza negativa e ad alta intensità che si manifesta negli individui e in alcuni casi porta all’attuazione di agiti, mentre in altri è repressa o inibita.

 

Rabbia come processo multicomponenziale 

La rabbia, come le altre emozioni è da intendersi come processo multicomponenziale, tra le sue componenti riscontriamo:

  • l’attivazione dell’organismo (le espressioni facciali e la tendenza all’azione)
  • la componente cognitiva (interpretazioni cognitive, pensieri credenze e immagini)
  • la componente fenomenologica (consapevolezza soggettiva ed etichettamento lessicale)
  • la componente espressiva comportamentale (il linguaggio del corpo)

 

 

Queste dimensioni interagiscono tra loro influenzando l’esperienza individuale della rabbia. Soffermandoci nello specifico sull’attivazione fisiologica dell’organismo, vediamo come si manifestino variazioni fisiologiche caratterizzate da  picchi in eccesso chiamati collera, esasperazione, furore , oppure  da picchi di intensità minore come l’irritazione o il fastidio. In ogni caso si tratta di una risposta emotiva intensa ma transitoria che si protrae per brevi momenti.

La manifestazione della rabbia è coadiuvata da una mimica facciale particolare: aggrottiamo la fronte, le sopracciglia e serriamo i denti. L’organismo assume una postura che gli permette di entrare in azione da un momento all’altro e si manifestano delle variazioni fisiologiche come aumento del battito cardiaco, aumento dell’afflusso del sangue nella periferia del corpo, maggiore tensione muscolare e iper sudorazione.

Tutto questo ci da come informazione che il corpo è pronto per difendersi dall’ostilità.

 

La rabbia che crea sofferenza: come riconoscerla e imparare a gestirla 

In linea generale si parla di rabbia disadattiva quando crea sofferenza individuale o compromette le relazioni sociali spingendo ad azioni dannose verso persone, cose o verso se stessi. Un accumulo di tensione può causare sintomi fisici importanti oltre che malessere psicologico quindi riconoscere, esprimere e gestire la rabbia diventa fondamentale per il nostro benessere.

Ciò che possiamo sicuramente controllare è il modo in cui reagiamo a un evento:

- Impara a riconoscere i sintomi della tua rabbia

 

la prima cosa da fare è imparare a capire quando la rabbia sta per prendere il controllo di te stesso, ricorda che è fondamentale riprendere le redini del tuo controllo prima che arrivi questa parte a gestire. Tra i segnali più comuni troviamo: mancanza di controllo delle emozioni, sensazione di essere impaziente e di essere irritato da molte persone. Saper riconoscere questi segnali permette di controllare la situazione quindi: ascolta il tuo corpo e ascolta ciò che ti sta dicendo!

 

 - Cerca delle soluzioni

uno degli errori più comuni è concentrarsi sul problema invece che sulle soluzioni possibili. Invece di lasciarti sopraffare dalla emozioni negative è molto importante lavorare sulla soluzione e chiedersi come fare a risolvere il problema.

 

 - Usa l’umorismo

Esso permette di alleggerire ciò che stai percependo come un grande problema e quindi ridimensionarlo.  Attenzione però! questo non significa negare l’esistenza del problema ma solamente cercare di non vederlo ingigantito per darci il tempo di trovare delle soluzioni idonee.

 

 - Rilassati

Quando la rabbia sembra prendere il controllo di te è molto importante fermarti e mettere all’opera le abilità di rilassamento come il training, la meditazione o la respirazione profonda che permettono di sospendere per un tempo definito il pensiero permettendo di recuperare la lucidità senza essere sopraffatto dalla reazione eccessiva.

 

 - Pratica sport

 

Come possiamo sfogare la rabbia e svuotare la mente dopo esserci caricati negativamente? Lo sport potrebbe essere un’ottima soluzione, una corsa o una semplice camminata, infatti, producono endorfine e ti aiuteranno a ristabilire un equilibrio corporeo e mentale.

 

Rabbia Repressa: Come gestirla senza esserne sopraffatti

Il Consultorio Antera Onlus, nelle sedi di Roma, Monterotondo e Fiumicino offre la possibilità di incontrare psicologi e psicoterapeuti esperti nelle difficoltà legate alla gestione della rabbia, accogliendo e accompagnando gli individui all'interno di percorsi costruiti ad hoc sulla persona.

LE “NUOVE” FAMIGLIE RICOSTITUITE

Le famiglie ricostituite di oggi sono molto diverse da quelle di un tempo. Nel passato esse si formavano dopo la morte di un coniuge, dagli anni ‘70, invece, con la possibilità anche in Italia di ricorrere a separazione e divorzio, si sono verificati cambiamenti sociali e culturali che hanno portato ad una nuova struttura di queste famiglie.

La Stepfamily Association of America le definisce famiglie “ricostituite” o “stepfamily”, ovvero famiglie composte da due partners che hanno vissuto l’esperienza della fine di un precedente matrimonio, da cui almeno uno ha avuto figli che attualmente vivono con loro. La caratteristica di fondo della famiglia “ricostituita” è quella di avere confini più sfumati e incerti di quella “nucleare” o “tradizionale” , sia in termini biologici che legali. I processi relazionali sono complessi, sia nella comprensione che nella gestione, sono dinamici ed hanno un inizio e un’evoluzione rapida. Le famiglie ricostituite sono state definite “cespugli genealogici”, per la loro ampia estensione orizzontale anziché verticale.

 

FAMIGLIE ALLARGATE E RICOSTRUITE UN FENOMENO IN AUMENTO

Le coppie che si separano sono sempre di più e fra i membri di queste coppie, circa uno su quattro si legherà ad un nuovo partner.

Secondo gli ultimi rilevamenti Istat la formazione di famiglie ricostituite è in largo aumento negli ultimi decenni, in Italia raggiungono il 28% nel 2009 (contro il 16,9% del 1998). Di queste il 37,9% vivono con figli di entrambi i partner, il 12,9% vivono sia con i figli nati all’interno dell’attuale relazione, sia con quelli nati nella precedente, l’8.6% vive con i figli della donna e l’1,5% con quelli dell’uomo.

 

DIFFICOLTÀ D’INTEGRAZIONE NELLE FAMIGLIE RICOSTRUITE

Le famiglie ricostituite vivono la crisi di chi, con storie diverse e diversi modi di affrontare i problemi, deve trovare dei compromessi per affrontare insieme situazioni nuove.

E’ importante che i precedenti rapporti coniugali e la loro chiusura siano stati adeguatamente rielaborati, con una buona definizione delle attuali relazioni e con confini chiari, in modo che i partner possano iniziare un nuovo rapporto senza il peso di rancori o insicurezze passate. E’ importante che i figli non abbiano un atteggiamento esageratamente oppositivo verso il nuovo partner, sperando una riappacificazione tra i suoi genitori. Questo sarà direttamente proporzionale ai livelli di chiarezza e definizione raggiunti.

L’età dei figli è importante: i bambini in età prescolare potrebbero manifestare regressioni a comportamenti infantili, nascondendo il desiderio di farsi accudire più di quanto il momento evolutivo prevederebbe.

Per i ragazzi la necessità di conferme da parte del genitore biologico potrebbe invece lasciare il posto alla rabbia verso il genitore acquisito, soprattutto nella fase adolescenziale, all’interno della quale avviene il processo di costruzione della loro identità e questo radicale cambiamento potrebbe essere percepito come un ostacolo nel costruirla.

 

FAMIGLIA ALLARGATA: QUALI DIFFICOLTÀ PER GENITORI E FIGLI

E’ importante ricordare che per i figli, il formarsi di una famiglia ricostituita, sancisce definitivamente la fine della relazione tra i genitori biologici, e spesso questo può essere correlato alla paura inconscia che affezionandosi al genitore acquisito, in qualche modo possano “tradire” quello biologico. Ciò potrebbe portarli ad allearsi con quest’ultimo e sviluppare un “senso di protezione” morboso.

Nel caso in cui nella famiglia ricomposta ci siano più figli nati dalle precedenti relazioni, i genitori probabilmente dovranno imparare a gestire conflitti e gelosie tra i fratelli acquisiti, solitamente più acute nel caso in cui alcuni bambini si trovino solo saltuariamente sotto lo stesso tetto.

 

RICOSTITUZIONE DI UNA NUOVA IDENTITÀ FAMILIARE

La nuova famiglia dovrà crescere rispettando i ritmi e le fasi evolutive di tutti i componenti, senza troppe rigidità, così come dovrebbe accadere all'interno di qualsiasi famiglia.

Soprattutto nel caso di bambini piccoli, sarebbe opportuno cercare di mantenere una stabilità in entrambe le case per quanto riguarda l’educazione, gli orari e le attività giornaliere e lasciare che il bambino porti con sé un oggetto, anche simbolico, che mantenga un senso di continuità “fisica” tra la casa in cui vive con il genitore biologico e quella dove vive l’altro genitore biologico con la propria famiglia.

La nuova famiglia ricostituita dovrebbe, con il tempo, cercare di trovare una propria identità familiare, con abitudini ed equilibri peculiari.

 

FAMIGLIE RICOMPOSTE: COME EVITARE PROBLEMI E DIFFICOLTÀ

Queste “nuove” famiglie ricostituite possono racchiudere al loro interno grandi risorse ed elementi di ricchezza per tutti i componenti, i quali si troveranno a contatto con abitudini, tradizioni, modelli e storie diverse dalle proprie.

Tutto questo, se integrato con nuove tradizioni e abitudini comuni, costruite e negoziate gradualmente tra i membri della famiglia ricostituita, diviene un elemento fondamentale per la crescita e il benessere di tutti, portando alla costruzione di nuovi equilibri.



DEPRESSIONE CHE COS’E’

Accade a volte che venga usato questo termine in situazioni che non hanno nulla a che fare con una depressione clinicamente significativa. Avere un umore depresso non vuol dire essere necessariamente affetti da un disturbo depressivo. Si può parlare di depressione in senso clinico quando sono presenti sintomi consistenti in un abbassamento del tono dell'umore: il depresso sente se stesso, la propria vita, la realtà circostante in maniera spiacevole e dolorosa. Sono presenti sentimenti di tristezza, di abbattimento, di pessimismo e di dolore. L'esistenza del depresso si svuota di significato e di interesse. La storia personale si carica di negatività, il passato non ha più esperienze piacevoli, il futuro è inaccessibile, sbarrato, non c'è più progettualità, il presente si contrae, diventa immodificabile. La depressione può investire la corporeità e la vitalità del soggetto, può esserci un senso di oppressione, di un malessere generico e pervasivo, con una sensazione di affaticabilità e disperazione.

 

CARATTERISTICHE DELLA DEPRESSIONE

Con il termine depressione, in realtà, non ci si riferisce ad una patologia univoca ma a una serie di disturbi, distinti tra loro, che presentano però caratteristiche comuni. Il DSM IV (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi psichiatrici) distingue: 
1) Depressione maggiore: Devono essere presenti almeno cinque dei seguenti sintomi, presenti per un periodo di 2 settimane quasi ogni giorno; almeno uno dei sintomi deve essere costituito da umore depresso o perdita di interesse o piacere.

  1. Umore depresso per la maggior parte del giorno;
  2. Marcata diminuzione di interesse o piacere per tutte, o quasi tutte, le attività per la maggior parte del giorno;
  3. Significativa perdita di peso, in assenza di una dieta, o significativo aumento di peso, oppure diminuzione o aumento dell'appetito;
  4. Disturbi del sonno;
  5. Agitazione o rallentamento psicomotorio;
  6. Faticabilità o mancanza di energia;
  7. Sentimenti di autosvalutazione o sensi di colpa ;
  8. Diminuzione della capacità di pensare o concentrarsi, o difficoltà a prendere decisioni;
  9. Ricorrenti pensieri di morte, ricorrente ideazione suicida senza elaborazione di piani specifici, oppure un tentativo di suicidio o l'elaborazione di un piano specifico per commettere suicidio

2) Distimia: è la più frequente tra le depressioni minori, cioè tutti quegli episodi depressivi meno gravi, in cui le relazioni sociali e l'attività lavorativa sono meno danneggiate. Devono essere presenti almeno due dei seguenti sintomi, in aggiunta all’umore depresso: scarso appetito, alimentazione eccessiva, disturbi del sonno, facile affaticabilità, scarsa autostima, scarsa capacità di concentrazione e sentimenti di disperazione.
3) Depressione bipolare: il sintomo principale del disturbo bipolare è l'alterazione dell'umore che passa da uno stato depressivo ad uno stato di esagerata euforia (stato maniacale). Questo stato maniacale consiste in ottimismo eccessivo, pensieri e linguaggio accelerati, avere progetti grandiosi ma poco realistici, sentirsi completamente disinibiti, eccessiva aggressività, spese folli e acquisti esagerati. In genere questi stati hanno una durata variabile da qualche giorno a qualche mese.

 

CAUSE DELLA DEPRESSIONE

Come per la gran parte dei disturbi psichici, la causa della depressione è da ricercarsi nell'interazione tra fattori biologici, psicologici e sociali. Nel 10% dei casi può essere causata da malattie come le anemie o l'ipotiroidismo, o da alcuni farmaci. Nella maggior parte dei casi la depressione insorge in seguito ad eventi fortemente stressanti; tuttavia, non tutti coloro che si trovano a dover fronteggiare situazioni stressanti sviluppano un disturbo depressivo. L'intensità e la durata dello stimolo stressante, la capacità di fronteggiare lo stress ed il tipo di sostegno ricevuto da parte degli altri sia durante che dopo l'evento stressante, così come il patrimonio genetico individuale, sono le principali variabili che, interagendo tra loro, possono determinare l'insorgenza o meno dei sintomi depressivi. Anche alcuni tratti del carattere, come la difficoltà ad affermarsi, la scarsa fiducia nelle proprie capacità, l’instabilità emotiva, la preoccupazione per il proprio stato di salute, il sentirsi perseguitati da un destino avverso, possono agevolare l’insorgere di una depressione.

 

COME AFFRONTARE LA DEPRESSIONE E IL DISAGIO PSICOLOGICO

Per affrontare la depressione sono ad oggi disponibili diversi tipi di trattamento, che comprendono terapie farmacologiche, con l’uso di antidepressivi o ansiolitici, psicoterapie con diversi orientamenti, e trattamenti non farmacologici, come esercizio fisico, privazione del sonno e terapia con la luce.. La scelta del trattamento adeguato rappresenta un processo individuale, che dipende non soltanto dalla gravità della depressione, ma anche dalle preferenze del depresso e dal parere professionale del medico curante, il quale può decidere se usare una combinazione di più trattamenti. L’aiuto e l’atteggiamento dei familiari e degli amici ha un’importanza notevole nel dare la forza di affrontare la depressione: capire i sentimenti del malato, evitare le critiche ed un possibile isolamento sociale, sottolineare che si tratta solo di una situazione momentanea, aiuterà la persona depressa a sentirsi capita e a trovare la forza per iniziare a fronteggiare il problema.

 

CONSIGLI PER CHI SOFFRE DI DEPRESSIONE

Quando si è depressi è importante difendere e sviluppare le amicizie e la fiducia negli altri, non bisogna distruggere quelle che riescono a sopravvivere alla depressione: sono una rete di sicurezza nei momenti in cui la malattia sembra precipitare. Sarebbe utile mantenere gli interessi e le attività che vi hanno sempre accompagnato, come la lettura o un’attività sportiva, anche se sembrano impegni troppo pesanti: aiutano a non peggiorare la depressione e a sfuggire dalla solitudine. Inoltre, imparando a riconoscere i motivi della propria tristezza, si possono apprendere delle regole di rilassamento, igiene di vita, impiego del proprio tempo, riconoscimento dei problemi, che possono aiutarvi nell'intervento terapeutico.

 

CONSIGLI PER CHI STA VICINO A PERSONE CHE SOFFRONO DI DEPRESSIONE

Il paziente di tutto ha bisogno, tranne che di avere qualcuno che gli si rivolga dicendogli “basta fare questo o quello”. Pretendere reazioni, incitare all’attività, proporre soluzioni, aggredire o scuotere possono solo peggiorare la situazione. E’necessario evitare di far leva sulla forza di volontà e sulla colpevolizzazione del paziente depresso che, a causa della malattia, è già in preda a sensi di colpa e privo di energia vitale. Quello che sarebbe più utile è far capire che si è preoccupati e che si è a disposizione per trovare la soluzione giusta, chiedere consiglio ad un medico o ad uno psicologo, non criticare le cure che il vostro amico o parente sta già seguendo: in caso pensiate che non siano adeguate, cercate di indirizzarlo con tatto e senza fare critiche distruttive.

 

DEPRESSIONE E PSICOTERAPIA

Esistono diversi tipi di trattamento psicologico, come quello individuale, quello di gruppo o familiare, che attraverso colloqui ed esercizi, gestiti da un terapeuta qualificato, aiutano il paziente a superare la crisi, lo rassicurano e lo sostengono. La terapia cognitivo-comportamentale (ad oggi la più efficace) evidenzia abitudini e comportamenti che possono favorire lo sviluppo dei sintomi, esaminando i pensieri e la visione della realtà del depresso. La terapia interpersonale inquadra le modalità di relazione con gli altri. La psicoanalisi fa emergere le cause profonde del malessere.

 

TERAPIA NON FARMACOLOGICA A SUPPORTO DELLA DEPRESSIONE

L’esercizio fisico può curare la depressione aiutando a vedere la vita con più ottimismo, dando una sensazione di soddisfazione e, a livello biologico, riducendo il livello dell’ormone coinvolto nella depressione. Camminare, andare in bicicletta, nuotare, giocare a pallavolo, persino fare del giardinaggio sono attività consigliate. Altri tipi di terapie che potrebbero essere utili (sotto consiglio medico), ma non molto usate sono: privazione del sonno, dopo la privazione totale o parziale di un sonno notturno, si ottiene un miglioramento dei sintomi depressivi immediato ma momentaneo: in circa la metà dei casi, infatti, dopo una dormita si torna allo stato iniziale; terapia con la luce, l’esposizione ad una luce dieci volte più intensa di quella di una stanza, determina il miglioramento dei sintomi dopo alcuni giorni, in circa il 60% dei pazienti affetti da depressione legata alla stagione; terapia elettroconvulsiva(TEC), la più controversa tecnica terapeutica. Prescritta in casi gravi con sintomi che compromettono le funzionalità del paziente, quando per esempio ha istinti suicidi, sintomi psicotici. Il paziente viene sottoposto ad una scarica elettrica che aiuta il rilascio nel cervello di sostanze antidepressive.

 

TERAPIA FARMACOLOGICA  A SUPPORTO DELLA DEPRESSIONE

Nella cura della depressione può essere usata, sotto consiglio e controllo medico, una terapia farmacologia. I farmaci antidepressivi agiscono ottenendo diversi tipi di effetti: un effetto antidepressivo propriamente detto, riducendo l’umore triste, il pessimismo, l’angoscia e riducendo i sintomi somatici, come il senso di oppressione e di stanchezza; un effetto stimolante, che è conseguente a quello antidepressivo e agisce sull’apatia e sulla vigilanza, ma può produrre insonnia. Va tenuto presente che tali farmaci richiedono un certo tempo prima che facciano effetto: di norma tre o quattro settimane. Questo rende spesso necessario associare all’antidepressivo un farmaco ansiolitico o ipnotico che ha il compito di contrastare le manifestazioni della depressione, quali ansia, agitazione, insonnia. A questo scopo si usano principalmente le benzodiazepine, che hanno il vantaggio di una notevole rapidità d’azione. 
Indichiamo di seguito le classi dei farmaci antidepressivi, con rispettivo principio attivo e nome commerciale:

  1. Litio: sotto forma di sali;
  2. Antidepressivi triciclici: composti dai principi attivi imipramina, amitriptilina, nortriptilina (Laroxil, Anafranil, Protiaden, Tofranil, Noritren);
  3. Inibitori delle monoaminossidasi (IMAO): composti da fenelzina, tranilcipramina (Nardil, Parnate);
  4. Inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina(SSRI): composti da fluoxetina, sertralina, fluvoxamina, paroxetina, citalopram (Prozac, Zoloft, Seroxat, Elopram);
  5. Inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina e della noradrenalina(SSNRI): analoghi ai precedenti per quanto riguarda il meccanismo di azione;
  6. Antidepressivi atipici: composti da desulepina, amineptina, trazodone (Maneon, Survector, Lantanon, Trittico).

    Tra le benzodiazepine più usate citiamo:

    1. Diazepam: nome commerciale Valium;
    2. Larozepam: nome commerciale Tavor;
    3. Clonazepam: nome commerciale Rivotril

Ognuno di essi ha differenti meccanismi di azione e tempi di azione, e differenti effetti collaterali. Lo psichiatra personalizza la cura in base alle esigenze del singolo paziente.

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RICONOSCERE LO STRESS

Il termine stress  indica la risposta di adattamento prodotta dall’organismo ad un generico stimolo proveniente dall’esterno o dall’interno, che determina l’attivazione del sistema endocrino, del sistema nervoso autonomo e del sistema immunitario con la conseguente produzione di modificazioni corporee e psichiche volte a ripristinare l’equilibrio turbato. Dunque di per sé lo stress costituisce una risposta fisiologica a determinati cambiamenti e consente al nostro organismo di raggiungere il necessario adattamento per sopravvivere. Tuttavia, quando la reazione da stress è troppo intensa e soprattutto protratta nel tempo, le variazioni divengono stabili, predisponendo l’organismo all’insorgenza di problematiche sia fisiche che psicologiche anche gravi: questa situazione che prende il nome di di-stress determina una diminuzione delle capacità di risposta e di adattamento. Con il termine stressor si designano gli stimoli, le situazioni che determinano la risposta di stress. Fermo restando che esistono delle situazioni oggettivamente più stressanti di altre, ciascuno reagisce in base ad un sistema di pensieri appreso altamente personale: questo significa che si può rafforzare un’esperienza stressante o addirittura creare lo stress sulla base di uno stimolo leggermente negativo.

 

CARATTERISTICHE DELLO STRESS

La reazione ad uno stimolo che turba il nostro equilibrio investe l’intero organismo. Il sistema nervoso autonomo fornisce il segnale necessario per l’aumento di adrenalina e noradrenalina al fine di attivare l’organismo e prepararlo a fronteggiare o ad evitare al più presto la situazione stressante. Il sistema endocrino modifica la produzione di diversi ormoni: aumentano adrenalina noradrenalina e cortisolo, mentre diminuiscono gli ormoni sessuali. Il sistema immunitario è molto sensibile allo stress: inizialmente si verifica una diminuzione della risposta immunitaria, mentre successivamente si ha un aumento nella produzione di anticorpi. Tali modificazioni sono funzionali alla sopravvivenza, ma nelle situazioni in cui si protraggono per troppo tempo determinano dei problemi, anche piuttosto gravi: frequente sensazione di stanchezza generale, accelerazione del battito cardiaco, difficoltà di concentrazione, attacchi di panico, crisi di pianto, depressione, attacchi di ansia, disturbi del sonno, dolori muscolari, ulcera dello stomaco, diarrea, crampi allo stomaco, colite, malfunzionamento della tiroide, facilità ad avere malattie, difficoltà ad esprimersi, sensazione di noia nei confronti di ogni situazione, frequente bisogno di urinare, cambio della voce, iperattività, confusione mentale, irritabilità, abbassamento delle difese immunitarie, diabete, ipertensione, cefalea.

 

CAUSE DELLO STRESS

Da quanto esposto fin qui, si comprende come la risposta d stress, in quanto risposta vitale per l’ adattamento, sia determinata da una situazione esterna o da uno stimolo interno che minacciano l’equilibrio raggiunto. Fondamentale è la percezione soggettiva che ciascuno ha dello stimolo: il sistema di pensieri personale influenza il modo in cui la persona sperimenta le situazioni. Questo spiega perché negli esseri umani lo stress può manifestarsi anche in risposta a stimoli interni, psichici, (aspettative e ricordi negativi) e perché alcuni sperimentano come altamente stressanti situazioni che per altri non lo sono, o comunque le persone producono risposte di stress di diversa intensità di fronte allo stesso stimolo, fermo restando che alcune situazioni sono oggettivamente più stressanti di altre. Per comprendere meglio il significato di quanto detto, analizziamo cosa avviene. La risposta di adattamento, si compone di tre distinte fasi: 1) Fase di allarme: mobilitazione delle energie difensive (innalzamento della frequenza, della pressione cardiaca, della tensione muscolare, diminuzione delle secrezione salivare, aumentata liberazione di cortisolo, ecc.) 2) Fase di resistenza: tentativo dell’organismo di adattarsi alla situazione; i meccanismi fisiologici tendono a normalizzarsi, anche se lo sforzo per raggiungere l’equilibrio è intenso. Infatti se la condizione stressante continua, oppure risulta troppo intensa, si entra nella 3) Fase di esaurimento: incapacità dell’organismo di difendersi e di adattarsi. Si assiste in questa fase alla comparsa di "malattie dall'adattamento" rappresentate per esempio, dal diabete o dell'ipertensione arteriosa (malattie psicosomatiche)

 

COME AFFRONTARE LO STRESS

Lo stress di per sé non costituisce una patologia; anzi è una risposta necessaria alla sopravvivenza. Ciascuno di noi almeno una volta nella vita si è sentito stressato: dal lavoro, dallo studio, dagli impegni familiari. La quotidianità è costellata da tanti piccoli momenti stressanti che contribuiscono ad esaurire le risorse dell’organismo. La risposta di adattamento allo stress rappresenta di fatto un meccanismo compensatorio che consente l’adattamento ad una situazione avversa e che è alla base della nostra capacità di fronteggiarla: in tal modo avviene il ripristino del giusto equilibrio delle funzione biologiche. Tutto questo determina un abbassamento del tono generale dell’organismo, dovuto certamente al dispendio di energie, ma soprattutto alle difficoltà di recupero delle energie perse. Quando la durata e l’intensità dello stress superano un certo limite, il divario tra risorse richieste dall’organismo per fronteggiare la situazione e ciò che si riesce a rigenerare aumenta progressivamente, determinando uno sbilanciamento e conseguentemente un esaurimento delle riserve dell’organismo. Pertanto il trattamento dello stress è differenziato relativamente alla durata, all’intensità e alle strategie più o meno efficaci che la persona adotta per fronteggiarlo: se si tratta di un momento più o meno circoscritto nel tempo, relativamente intenso, possono essere sufficienti tecniche di rilassamento, da eseguire anche da soli a casa, al limite qualche rimedio fitoterapico per il sistema ormonale e per quello nervoso. Chiaramente se si tratta di una situazione cronica, potenzialmente molto pericolosa per il nostro organismo, occorre intervenire anche con psicoterapia e se necessario, nei casi più gravi, psicofarmaci prescritti da un medico, complementari al un percorso psicoterapeutico.

 

CONSIGLI PER CHI SOFFRE DI STRESS

Probabilmente la terapia più efficace per contrastare gli effetti dello stress è costituito dal rilassamento che può essere raggiunto mediante l’utilizzo di svariate tecniche. Il vero benessere si fonda sia sul corpo che sulla mente, considerati nel loro legame indissolubile. Rilassarsi significa riposarsi a livello fisico e psicologico, ridurre lo stato di tensione che prepara l’organismo all’azione rendendoci inquieti e a disagio attraverso un addestramento progressivo all’autocontrollo e al rilassamento muscolare. Vediamo le tecniche più utilizzate: 
Il biofeedback  (retroazione biologica): insegna a rilassarsi da soli e a gestire funzioni del nostro corpo ritenute indipendenti dalla nostra volontà, come la tensione nervosa, il battito cardiaco, la sudorazione, ecc… Una macchina viene collegata al muscolo della fronte mediante tre sensori che captano lo stato di tensione della muscolatura frontale, indicativa del livello di stress dell’intero organismo, e lo trasformano in un segnale acustico, tanto più frequente, quanto più elevato sarà il livello di stress. In questo modo la persona percepisce la propria tensione emotiva in tempo reale e, cercando di evitare che la macchina suoni, impara ad esercitarsi per riportare alla normalità le sue funzioni interne. I risultati si ottengono nel medio-lungo termine: di solito il trattamento ha una durata di 12-15 sedute di 30-40 minuti ciascuna da effettuare 1 o 2 volte alla settimana.
Il training autogeno : ideato dallo psichiatra tedesco Shultz, è basato su una serie di esercizi da ripetere con costanza e disciplina per alcuni minuti al giorno, al fine di raggiungere uno stato di rilassamento muscolare e psicoemotivo autoprovocato (autogeno appunto). s pratica distesi su un divano o su una poltrona, in un ambiente tranquillo, in semi-oscurità, slacciando cinture e indumenti troppo stretti. Accanto ad esercizi fondamentali, quali autoinduzione di calma, sensazione progressiva di peso e di calore, si praticano esercizi complementari, quali esercizio del cuore, della respirazione e della fronte fresca, che provocano un rilassamento ancora più profondo. Fondamentale è la costanza nell’allenamento, da protrarre per almeno sei mesi. 
Rilassamento muscolare progressivo : metodo basato sull’apprendimento della decontrazione muscolare volontaria, incentrato sulla presa di coscienza da parte della persona dello stato di contrazione o di distensione di ciascuno gruppo muscolare, passando man mano in rassegna tutto il corpo, concentrandosi su un muscolo per seduta, fino a raggiungere la decontrazione totale. L’apprendimento è piuttosto complesso e di lunga durata (un anno e più). 

  • Il controllo della respirazione : tecnica basata sul presupposto che respirazione e tensione muscolare sono direttamente collegate; la tensione nervosa altera il ritmo e la profondità del respiro, con conseguente diminuzione dell’ossigenazione del sangue. L’allenamento consiste nel riapprendere volontariamente le modalità di respirazione diaframmatici che è un metodo di rilassamento naturale 
  • Agopuntura : applicazione di aghi in modo tale da favorire la produzione di tranquillanti interni (endorfine); determina rilassamento muscolare, rallentamento del battito cardiaco, abbassamento della pressione arteriosa. Ogni seduta dura 30-40 minuti, i benefici si sentono già dopo 3-4 sedute, ma è efficace a livelli di stress non altissimi.
  • Musicoterapica : ascolto a basso volume di brani lenti e ripetitivi secondo i gusti della persona che determina un aumento dell’ attività dell’emisfero destro del cervello, responsabile dell’immaginazione e della  creatività, con diminuzione del lavoro dell’emisfero sinistro, sede del linguaggio, del pensiero razionale e della capacità di calcolo. 
  • Massaggio : Esercita un’azione muscolo-rilassante e stimolante la circolazione locale, producendo un effetto tranquillizzante attraverso il contatto fisico. Risulta efficace a bassi livelli di stress.

 

STRESS E PSICOTERAPIA 

Eventualmente è possibile intraprendere un percorso psicoterapeutico che consenta di effettuare un lavoro sullo stress attraverso l’apprendimento di un’autoregolazione e l’allenamento ad una maggiore autonomia, ad un maggior piacere e benessere; allenamento a gestire meglio il tempo, le risorse finanziarie ed altri tipi di risorse, nonché la propria vita relazionale e sociale. Insomma il punto è cercare di equilibrare gli appagamenti e le frustrazioni quotidiane

 

STRESS E TERAPIA FARMACOLOGICA

Non è sempre necessario assumere farmaci per curare lo stress, e comunque non esistono farmaci specifici. Tuttavia vi sono delle situazioni che presentano una tale gravità da rendere impossibile l’avvio di una psicoterapia o l’applicazione di una tecnica di rilassamento e che mettono a repentaglio gravemente la salute della persone proprio per gli effetti che lo stress esercita sull’intero organismo. In questi casi il medico può ritenere opportuna la somministrazione di farmaci volti a ristabilire un equilibrio nei vari sistemi implicati nella risposta di stress (in particolar modo il sistema endocrino e il sistema nervoso per i quali potrebbe essere indicata anche una fitoterapia) e nei casi più gravi si provvederà alla somministrazione di psicofarmaci, soprattutto nei casi in cui lo stress assume connotazioni fortemente depressive o ansiose. Si rimanda pertanto agli psicofarmaci utilizzati in caso di ansia e di depressione. Comunque la farmacoterapia non è sufficiente: essa costituisce soltanto un sussidio volto a ristabilire un equilibrio minimo perché si possa intervenire attraverso le terapie precedentemente illustrate.

 

COSA SONO GLI ATTACCHI DI PANICO

L'attacco di panico è una crisi d'angoscia estrema, sconvolgente, improvvisa, che comporta sintomi fisici e psichici propri dell'ansia, al massimo dell'intensità, fino a provocare la paura di morire, di impazzire e di perdere il controllo. A ciò si associano sintomi neurovegetativi quali palpitazioni, dolore toracico, sensazione di soffocamento, vertigini, vampate di calore, brividi di freddo, tremori e sudorazione. Questo disturbo compare soprattutto durante l'adolescenza o la prima età adulta e, anche se le cause precise non sono chiare, sembra esserci un nesso con le più importanti fasi di transizione della vita che portano inevitabilmente una certa quantità di stress e ansia. Tuttavia, tali episodi di panico non si verificano durante il periodo di stress, ma quando esso è stato superato, ovvero quando si allenta la tensione emotiva. I primi episodi di panico sperimentati si imprimono in modo indelebile nella mente della persona colpita, in quanto si tratta di un’esperienza inattesa e molto spiacevole. Può capitare che, dopo gli attacchi di panico, si sviluppi un processo di evitamento, per cui si limitano sempre più i movimenti e le attività, si evitano situazioni e luoghi specifici che si pensa siano associati allo scatenarsi dell’attacco. Se tale evitamento interferisce con le attività importanti di tutti i giorni, si parla di agorafobia associata ad attacchi di panico (paura ed evitamento di posti e situazioni da cui sarebbe difficile o imbarazzante allontanarsi oppure da quelle situazioni in cui si pensa di non poter avere un aiuto sufficiente).

 

CARATTERISTICHE DEGLI ATTACCHI DI PANICO

  • palpitazioni,  tachicardia;
  • sudorazione;
  • tremori fini o a grandi scosse;
  • sensazione di soffocamento;
  • sensazione di asfissia;
  • dolore o fastidio al petto;
  • nausea o disturbi addominali;
  • sensazione di sbandamento, di instabilità, di testa leggera o di svenimento;
  • derealizzazione (sensazione di irrealtà) o depersonalizzazione (essere distanti da sé stessi);
  • paura di perdere il controllo o di impazzire;
  • paura di morire; parestesie (sensazioni di torpore o di formicolio);
  • brividi o vampate di calore.

Gli attacchi di panico possono insorgere quasi del tutto inaspettatamente, oppure in alcune specifiche circostanze che diventano particolarmente temute. Ad esempio, in una piazza, in mezzo alla folla, in un ascensore, sotto una galleria, quando si parla in pubblico, nel traffico. E’ proprio dal successivo evitamento dei luoghi in cui si è verificato il primo episodio di panico, che possono nascere le fobie, come paura degli spazi aperti (agorafobia), paura degli spazi chiusi (claustrofobia), paura di esporsi in pubblico (fobia sociale).

 

CAUSE DEGLI ATTACCHI DI PANICO

  • fattori genetici: fattori psicologici: il disturbo può essere l’espressione di uno stato di malessere psicologico di cui il soggetto non è consapevole e che esprime con lo scatenarsi dei sintomi. Riferendosi al contesto giovanile, gli attacchi di panico possono essere associati a vari fattori, come solitudine, incomunicabilità, situazioni familiari critiche, difficoltà nell’approccio con il mondo del lavoro, e possono anche insorgere in concomitanza con l’assunzione di marijuana, cocaina o amfetamine;
  • fattori ambientali: spesso gli attacchi di panico si verificano in seguito ad eventi stressanti, come problemi familiari, di lavoro, cambiamenti importanti nella qualità della vita o nella generale organizzazione familiare, frustrazioni o relazioni particolarmente impegnative.

  

COME AFFRONTARE GLI ATTACCHI DI PANICO E IL DISAGIO PSICOLOGICO DERIVANTE

Il disturbo da attacchi di panico è ampiamente curabile, con una varietà di trattamenti disponibili che possono portare a miglioramenti significativi nel 70-90% dei casi.

L’importante è intervenire precocemente in modo da aumentare la possibilità di bloccare la progressione del disturbo agli stadi successivi, in cui potrebbero nascere ulteriori complicanze, come l’insorgenza di fobie. Prima di intraprendere qualsiasi trattamento, sarebbe meglio sottoporsi ad una serie di esami medici per escludere la possibilità di altre cause dei loro sintomi come un eccessivo livello dell'ormone tiroideo, epilessia o aritmia cardiaca, che possono causare sintomi somiglianti. Per curare gli attacchi di panico vengono usate terapie farmacologiche e psicoterapie, meglio se in associazione.

Molti dei trattamenti sono estremamente efficaci, anche se una parte delle persone che ha completato con successo una terapia può continuare a sperimentare l’ansia anticipatoria (preoccupazione eccessiva che il panico si ripresenti in determinate situazioni). In questi casi è particolarmente utile una psicoterapia di tipo cognitivo-comportamentale, che aiuta ad imparare nuovamente ad affrontare le situazioni che scatenano ansia e panico.

In aggiunta a questi trattamenti, si può agevolare la guarigione dagli attacchi di panico attraverso una giusta predisposizione interna della persona coinvolta e delle persone che le sono accanto. Non vanno poi trascurati i metodi di rilassamento come il training autogeno o la musicoterapia. La scelta del tipo di trattamento dipende dalle caratteristiche del quadro clinico del soggetto, ma anche dalle sue personali preferenze.

 

CONSIGLI PER CHI SOFFRE DI ATTACCHI DI PANICO

Quando si è colpiti da un attacco di panico, la prima cosa importante è sapere e ricordarsi che si tratta di un episodio della durata di pochi minuti e che non comporta rischi per l'organismo, né puó provocare la perdita di controllo di se stessi o la morte. Durante questo momento di ansia, l'ideale sarebbe cercare di respirare lentamente, mettersi in una posizione comoda e tranquilla, ad esempio, se é possibile, sedersi o sdraiarsi.

Se ci si sente svenire, é utile sollevare le gambe. Può servire anche pensare a situazioni piacevoli, a paesaggi rilassanti ed, eventualmente, alla voce del proprio terapeuta.

 

CONSIGLI PER CHI STA VICINO A PERSONE CON ATTACCHI DI PANICO

Per chi vuole stare accanto ad una persona che soffre di attacchi di panico, ci sono dei semplici consigli da seguire che possono aiutare a vivere meglio il problema. Intanto bisogna sapere che comprensione e disponibilità all’ascolto sono fondamentali per chi soffre, come lo è il riconoscimento dei piccoli miglioramenti: condividere la gioia, può trasformarsi in un forte punto di appoggio.

Le cose che si possono fare sono valorizzare i momenti di autonomia e non sostituire mai chi sta male, nei compiti che è in grado di svolgere, anche se con fatica; riflettere e discutere insieme come collaborare per raggiungere un miglioramento dell'autonomia; aspettare che sia il malato a chiedere aiuto, piuttosto che farsi avanti con eccessive premure.

E’ meglio, inoltre, cercare di ridurre scontri con la persona che soffre ed evitare di colpevolizzarla per non aver fatto ancora passi avanti. in modo da permettergli di vivere meglio stimoli e ansie.

E' fondamentale quindi conoscere gli attacchi di panico per poter mettere in campo azioni atti a superarli. 

 

ATTACCHI DI PANICO E PSICOTERAPIA

La psicoterapia aiuta a condurre alla comprensione ed alla soluzione dei problemi psicologici, nonché, ad una reale e definitiva autonomia. La forma di psicoterapia che la ricerca scientifica ha dimostrato essere più efficace e più breve, è la cognitivo-comportamentale, individuale o di gruppo che sia: è utile, infatti, sia a bloccare l’insorgenza degli attacchi di panico, sia a ridurre l’ansia anticipatoria (a cui invece non riescono ad arrivare i farmaci da soli).

Questo tipo di terapia, mira ad individuare e modificare i pensieri catastrofici collegati alla reazione ansiosa, ad identificare e modificare alcuni comportamenti che alimentano la risposta ansiosa e ad imparare ad affrontare le situazioni ansiose. Oltre ad una psicoterapia individuale, può essere molto utile ed efficace partecipare a gruppi di mutuo-auto aiuto: il gruppo permette ai pazienti di confrontarsi con altre persone con lo stesso problema, trovandovi conforto ed incoraggiamento.

Ci sono poi la psicoterapia dinamica, che, ricercando nel passato i conflitti emotivi che potrebbero spiegare la comparsa del disturbo, aiuta una comprensione migliore di essi, traendone un beneficio nel superare il problema, e la psicoterapia eriksoniana, detta anche psicoterapia ipnotica o ipnoterapia: l'ipnosi, direttamente o meno, gioca un ruolo importante nel determinare il rapporto tra paziente e terapeuta, prima, e la risoluzione dei sintomi, dopo.

 

ATTACCHI DI PANICO E TERAPIE FARMACOLOGICHE 

  • antidepressivi triciclici: il più utilizzato è quello contenente imipramina, di cui viene usata una lenta introduzione per aiutare a minimizzare gli effetti collaterali che spariscono dopo poche settimane. (nome commerciale: Tofranil);
  • IMAO: il loro uso richiede l'osservazione di alcune specifiche restrizioni alimentari e massima attenzione all’assunzione contemporanea di alcune molecole, in quanto possono interferire causando improvvisi e pericolosi effetti collaterali. (Nome commerciale: Parmodalin);
  • SSRI: Quest'ultima classe presenta, rispetto alle precedenti, una maggiore maneggevolezza e minori effetti collaterali. Il principio attivo più usato è la paroxetina (nome commerciale: Seroxat);
  • Benzodiazepine: riducono notevolmente l’ansia, hanno effetto rapido e pochi effetti collaterali. Spesso vengono abbinate agli antidepressivi triciclici, ma vengono usate anche sole se il disturbo è lieve. I principi attivi più usati sono il clonazepam ed il lorazepam (rispettivi nomi commerciali: Rivotril, Tavor).

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